L’ultimo anno in Italia è stato decisamente incoraggiante sul fronte banda larga. Il Paese si è finalmente dotato di una strategia BUL seria ed ambiziosa, incentrata su un modello di rete aperta, e fondata sul presupposto che le reti BUL non sono meramente una problematica di mercato TLC ma un’infrastruttura per la società. Un nuovo importante attore, ENEL, è entrato sul mercato dell’infrastruttura, il che da una parte rappresenta una seria alternativa al monopolio di fatto di TIM, e dall’altra introduce il modello di rete aperta e neutra. Governo e regioni hanno trovato una convergenza di posizione su come implementare tale strategia, e le risorse finanziarie esistenti (in gran parte fondi strutturali europei) sono state raggruppate e integrate da nuovi fondi. Le prime gare per portare la BUL nelle aree a fallimento di mercato sono state bandite e, ricorsi permettendo, i primi lotti sono stati assegnati. L’Italia ha anche aderito alla nuova rete di “Broadband Competence Offices” che dovrebbe fornire competenze e supporto alle amministrazioni locali per superare gli ultimi ostacoli allo sviluppo della nuova rete.
Obiettivi in evoluzione
E gli sviluppi degli ultimi mesi dimostrano che la scelta chiara e ambiziosa della strategia verrà premiata in termini di future-proofness. L’autunno scorso, la Commissione europea ha definito i nuovi obiettivi per il 2025 (100 Mbps al 100% della popolazione e 1 Gbps ai punti di interesse socio-economico, inclusi esercizi commerciali e scuole) che alcuni Stati membri hanno già incorporato nelle proprie strategie, in alcuni casi eccedendoli (per esempio la strategia svedese varata prima di natale prevede l’accesso a 1 Gbps al 98% della popolazione).
Mentre i nuovi obiettivi, così come quelli precedenti, vengono rigorosamente definiti in termini di prestazioni e la neutralità tecnologica rimane un principio chiave, quello che diventa sempre più lapalissiano è che serve una nuova infrastruttura, e che questa infrastruttura è la fibra ottica fino all’utente finale.
Infrastruttura e tecnologia.
A questo proposito è bene ricordare che infrastruttura e tecnologia sono concetti strettamente correlati, ma fondamentalmente distinti. L’infrastruttura è il mezzo fisico attraverso il quale viene trasmessa l’informazione (il doppino di rame, i cavi in fibra ottica, o le torri e siti per antenne e base station) e in genere ha una durata di vita superiore a 50 anni. La tecnologia è ciò che consente di trasmettere le informazioni su quell’infrastruttura. In termini pratici, sono gli apparati attivi necessari a codificare l’informazione, e hanno di solito una durata di vita compresa tra 5 e 15 anni. La prestazione di una connessione a banda larga dipende dall’efficacia con cui le proprietà fisiche di un’infrastruttura sono sfruttate da una specifica tecnologia. E il fatto che la fibra abbia una banda passante circa sei ordini di grandezza in più rispetto al rame non ha a che vedere con la tecnologia.
E qui arriviamo al punto. Il VDSL2 è una straordinaria tecnologia che riesce a spremere una velocità di trasmissione vicina ai limiti fisici del doppino telefonico. Introdurre il vectoring o avvicinare ulteriormente gli armadi di strada all’utente potrebbe spremere un altro po’ di velocità, ma a costi sempre crescenti e compromettendo l’accesso in unbundling.
I costi
Insomma, è sempre più difficile far finta che ci siano altre soluzioni: bisogna portare questa benedetta fibra in tutte le case e tutte le aziende, almeno nel medio-lungo termine. Il Fibre to the Home (FTTH) è complesso (specie quando si entra dentro i condomini), e richiede tempo e soldi. Ma quanti soldi? Le ultime cifre parlano di 156 miliardi per connettere tutte le abitazioni e imprese dell’Unione europea (secondo uno studio eseguito da Comsof e che verrà presentato in settimana alla FTTH Conference a Marsiglia). Probabilmente non così proibitivo, considerato che stiamo parlando di infrastruttura che verrà utilizzata per decenni. Inoltre una volta installata, la fibra ha costi di gestione decisamente inferiore rispetto al rame, al punto tale per cui spesso basta allungare l’orizzonte dell’investimento oltre i 5-10 anni canonici per cambiare il business case a favore del FTTH anche in aree a bassa densità abitativa. Un numero crescente di enti, sia pubblici che privati, hanno fatto i loro conti e stanno investendo in FTTH in zone rurali in giro per l’Europa, dalla Slovenia alla Norvegia.
Fibra e “fibra”
Fatte le considerazioni sopra, non c’è dubbio che ci sia spazio per altre soluzioni ad interim, e che queste possano comunque portare ad un miglioramento sostanziale in aree che ancora oggi hanno connessioni del tutto inaccettabili.
Sarebbe però opportuno smettere di chiamare fibra ciò che fibra non è. Ormai tutti gli operatori offrono “fibra” a destra e a manca. Peccato che quando si va a vedere, nella maggior parte dei casi si tratta di un upgrade del buon vecchio doppino telefonico, con VDSL2. Chiamare quelle offerte “fibra” perché gli armadi di strada sono connessi alla rete in fibra (FTTC) non solo è scorretto (mi chiedo perché non vengano sanzionate come pubblicità ingannevole), ma porta a uno screditamento del settore in genere. Che cosa racconteremo quando tra qualche anno (pochi, credetemi) bisognerà per davvero sostituire i cavi in rame con cavi in fibra? Finora avevamo scherzato ma stavolta facciamo davvero?