Nei prossimi anni l’Unione Europea punterà moltissimo sull’economia digitale mettendo al centro della propria Agenda Digitale la diffusione del Cloud Computing attraverso 6 punti fondamentali che sono: l’armonizzazione dell’Offerta Cloud, lo sviluppo di Partnership tra Pubblico e Privato, la definizione di linee quida per i contratti, lo stimolo di azioni di joint procurement, la valorizzazione delle best practice e la promozione dell’interoperabilità e la portabilità dei servizi.
L’UE stima di poter raggiungere entro il 2020 2,5 milioni di nuovi posti d lavoro ed un aumento del PIL di 160 Miliardi di Euro, pari a circa l’1% del PIL Europeo. Ma cosa potrebbe voler dire il Cloud per la Pubblica Amministrazione italiana?
L’Osservatorio Cloud e ICT as a service che segue ormai da 3 anni l’evoluzione del Cloud Computing in Italia con una ricerca sul campo che ha visto nell’ultimo anno il coinvolgimento di oltre 130 Grandi imprese, 660 PMI, oltre 30 operatori dell’offerta ed oltre 500 iniziative da fonti secondarie,
ha realizzato una Ricerca ad hoc sul mondo della PA, coinvolgendo con interviste dirette a 35 Pubbliche Amministrazioni, le società In House e validando i risultati delle rilevazioni con le principali società dell’Offerta che operano nel settore.
Potenzialmente il Cloud potrebbe costituire per la PA una sorta di «mossa del cavallo», in quanto permette di ridurre i costi e le inefficienze dei sistemi attuali, di prescindere dai gap accumulati muovendo verso un nuovo paradigma di informatizzazione, di abbassare la massa critica di investimento e i fabbisogni di competenze consentendo anche alle PA più piccole ed oggi tecnologicamente “follower”, di accedere ai benefici di una nuova digitalizzazione diffusa.
L’analisi della situazione attuale del patrimonio tecnologico della Pubblica Amministrazione mostra un’infrastruttura molto frammentata e gestita in modo spesso inefficiente. Guardando l’attuale scenario dei Data Center, fonte importante di costi e complessità gestionale di una infrastruttura informatica, si vede che la sola PA centrale ha, secondo le ultime rilevazioni, 1033 Data Center, cui vanno aggiunti i 3000 della PA locale e della Sanità.
In questi Data Center viene gestito un hardware disomogeneo e non industry standard, utilizzato per una frazione delle proprie potenzialità, con il ricorso a tecniche di virtualizzazione solo per un 25% delle macchine. Su questo hardware, inoltre, sono presenti applicazioni prevalentemente legacy, scritte in linguaggi ormai superati e costosi da manutenere.
Conseguentemente la spesa IT, sebbene non elevata in valore assoluto, risulta gravemente inefficiente e porta con sè costi nascosti di gestione pari a circa 1 miliardo l’anno in risorse umane impegnate per la gestione ed una spesa energetica disottimizzata stimabile in 270-300 Milioni.
La fotografia che ne emerge appare sbiadita e di difficile interpretazione, tuttavia esiste un percorso di trasformazione, che può portare fin da subito benefici tangibili e misurabili, e nel medio-lungo periodo opportunità di un ordine superiore, con ripercussioni positive sul sistema nel suo complesso.
Il primo passo di questa trasformazione, la prima opportunità, è rappresentata dalla razionalizzazione dell’infrastruttura.
Nella ricerca, al fine di valorizzare i benefici ottenibili in una situazione di mercato, allo stato dell’arte, è stato comparato il comportamento medio delle Pubbliche Amministrazioni con quanto fatto dai casi benchmark a livello italiano ed internazionale. Il primo elemento preso in considerazione riguarda il personale dedicato alla gestione dei Datacenter che è di circa 20000 persone, di cui 7300 nella PA centrale e 13000 in PA locale e sanità, risorse spesso dedicate alla gestione operativa e non efficiente dei Data Center. In secondo luogo la ricerca si è focalizzata sull’individuazione dell’adozione di politiche di gestione green dei Data Center, oggi poco diffuse sia nel mondo della Pubblica Amministrazione che nelle imprese private, perché prevalentemente il controllo della Spesa Energetica non è nelle mani dell’IT manager che quindi non ha conoscenza né visibilità della spesa complessiva. Il consumo di energia dei data center della PA è oggi enorme e si traduce in emissioni di CO2 pari a quelle 325000 auto. Una larga parte di questo consumo potrebbe essere evitato, con vantaggi economiche e ambientali enormi: le rilevazioni sui casi mostrano un PUE, l’indice che raffronta il consumo complessivo di Energia a quello strettamente necessario per l’andamento degli elaboratori, molto alto (da 2 fino al 3) con una media che si assesta a 2.5, molto lontano dalle migliori pratiche che consentirebbero di arrivare sotto l’1.5.
Il terzo elemento riguarda la spesa dei server che pesa oggi per circa 140 mln di euro all’anno e che potrebbe essere fortemente razionalizzata con un impiego maggiore dell’hardware.
In uno scenario di razionalizzazione che consideri questi 3 aspetti in 5 anni è possibile conseguire un risparmio di 3,7 Miliardi. Se si aggiungono a questi elementi anche un processo di razionalizzazione dei Data Center sul territorio e il progressivo utilizzo di tecniche di virtualizzazione in modo diffuso, che permettano di superare il paradigma 1 server-1 applicazione il beneficio potrebbe crescere fino a 5,6 Miliardi.
Intervenendo sulle infrastrutture di erogazione dei sistemi informativi è possibile quindi ottenere benefici rilevanti in termini di risparmio di costi. Il cammino prevede vari step: standardizzazione dell’HW, consolidamento dei server, virtualizzazione e infine automazione della gestione.
In realtà limitarsi a questo vuol dire vedere solo la punta dell’iceberg dei possibili benefici che è possibile raggiungere.
Scavando più a fondo c’è un insieme molto più grande e importante di opportunità che la Pubblica Amministrazione può cogliere sfruttando il Cloud: esistono differenti possibilità per operare dei netti miglioramenti, e più si va a fondo più i benefici sono importanti, di ordini di grandezza più alti rispetto al solo intervento sulle infrastrutture.
Innanzitutto si può parlare delle piattaforme, ovvero di tutti gli ambienti necessari per la realizzazione di applicazioni software. Facendo delle scelte precise e standardizzando le piattaforme è possibile attuare forti economie di scala, soprattutto perché è possibile focalizzare gli investimenti per sviluppare competenze specifiche da riutilizzare trasversalmente e perché sarà poi più semplice garantire la manutenzione dei sistemi e la loro integrabilità.
Andando ancora più a fondo, esiste tutto il mondo delle applicazioni, oggi enormemente frammentato. Trasformare moltitudini di applicazioni ad hoc – che hanno copertura funzionale molto simile o spesso uguale – in servizi standard e condivisi resi accessibili attraverso la rete darebbe enormi benefici. Sarebbe possibile per gli Enti accedere a soluzioni innovative e ad ampia copertura senza dover effettuare investimenti, cogliendo quindi anche nuove opportunità di informatizzazione per gli Enti più piccoli, che oggi si vedono precluse molte possibilità. L’utilizzo di servizi standard porterebbe inoltre alla diffusione di best practice nei processi sottostanti, andando a migliorare e uniformare i livelli di servizio nei confronti dei cittadini.
Continuando con questa logica si può pensare per gli Enti di andare a centralizzare e condividere processi non chiave, che hanno funzionamento e output standard e il cui svolgimento interno non costituisce un valore aggiunto per l’Ente. Sarebbe così possibile rifocalizzare le risorse locali verso attività più importanti a contatto con il cittadino, mentre si garantirebbe uno svolgimento più efficace delle attività comuni.
Ma da dove iniziare per rendere queste opportunità un beneficio immediato e concreto?
Occorre ragionare in termini di shared services, ovvero standardizzare e poi aggregare servizi per poi erogarli in modo condiviso.
Questo vuol dire però, per i diversi enti mettersi d’accordo, uniformare le proprie esigenze e rinunciare a localismi ed interessi clientelari.
Non è certo questa un’idea nuova, si parla da decine d’anni di riutilizzo e condivisione di servizi per la PA, grazie al Cloud, però, oggi questo può essere reso più fattibile ed economicamente conveniente.
Esistono diversi modelli di Cloud per la PA:
- Cloud Privato – un singolo ente della PA crea sistemi centrali per erogare al suo interno infrastrutture, piattaforme e applicazioni come servizi, secondo la modalità Cloud. Questo modello offre il grande vantaggio del controllo da parte della PA.
· Cloud Pubblico – gli enti accedono attraverso la rete a risorse approvvigionate da provider di mercato permettendo un contenimento degli investimenti e di stimolando l’offerta di mercato.
· Community – un ente progetta e realizza dei servizi centralizzati e standardizzati ad una serie di altri enti della PA. Si tratta di una prospettiva possibile attraverso la creazione di nuovi enti attuatori e società di scopo o la valorizzazione di quelli esistenti.
Mentre all’estero il Cloud abilita già forme evolute di Shared Service, in Italia siamo ancora agli albori. Si segnalano iniziative sporadiche di adozione di Cloud computing per lo più approvvigionato dalla nuvola pubblica per applicativi standard (ad esempio mail o office automation) o limitati a livello infrastrutturale. Per quanto riguarda gli Shared Services esistono iniziative consortili o regionali, ma siamo ancora lontani da una diffusione sistemica sul territorio nazionale.
In Italia, per le specificità della realtà locale, si segnalano diverse barriere all’attuazione e diffusione dei servizi condivisi: inerzia al cambiamento organizzativo, legislazione complessa, stratificata e conservativa, elevata autonomia locale con una carenza di leadership centrale, frammentazione dei livelli amministrativi, mancanza di linee guida di supporto ed infine limiti infrastrutturali e patrimonio IT obsoleto.
Su queste barriere, che spesso si trasformano in alibi, il Cloud può però avere un effetto dirompente.
Il Cloud va a cambiare direttamente il paradigma di adozione ed erogazione dei servizi IT, andando verso un modello dove gli shared services sono il modo naturale per fare l’IT.
Il percorso che occorre fare per andare in questa direzione richiede un insieme di azioni a vari livelli
Come intraprendere un percorso tanto complesso?
Il primo passo consiste nel lavorare sull’infrastruttura cominciando a razionalizzare i Data center. Lavorare sui Data center consente di avviare il percorso garantendo ritorni già nel medio-breve termine concreti e piuttosto semplici da quantificare, togliendo quindi scetticismo e spingendo verso l’azione.
In questo senso lavorare sull’infrastruttura è oggi un passo importantissimo e non più procrastinabile, la base da creare per poter poi ottenere vantaggi molto più importanti per la Pubblica Amministrazione e per gli stessi cittadini.