Erano passati undici mesi dal Grande Ictus Mnemonico. Le Memorie di Ricostruzione Biologica di ogni essere umano si erano fermate con tutte le altre della galassia. Incominciarono le prime chiamate allarmate alle Memory Squad. Gli specchi avatarianti restituivano dei primi volti arruganti. “Zampe di gallina”, le chiamavano un paio di secoli prima. Un indizio di borse sotto gli occhi. Qualche cenno di stempiatura. Forse delle ombre, non ancora macchie, sulle mani. Si chiusero in casa. Uno dopo l’altro.
L’età di ogni umano ritornava riconoscibile. Calcolabile. Stigmatizzabile. Il discrimine per fasce d’età si sarebbe rimesso in moto contrapponendo le generazioni. Miliardi di lotte intestine. Di conflitti nelle famiglie ormai tutte reticolari. Di assalti dei giovani sui vecchi. L’età come fattore d’odio ritornava l’unica miccia alla violenza. La galassia non si poteva permettere un passato sepolto.
“È arrivata una segnalazione… potrebbe essere chi cerchiamo da mesi…” insieme al bus a due piani, rosso e sfiatato, sbandava Akila Khaspros, la comandante della Memory Squad 11. “Confermo e spiego…” ringalluzziva Xina Shaiira, analista del terreno e dell’ambiente, seconda in comando della squadra. “Forse abbiamo trovato un umano con un volto senza una minima grinza, come eravamo tutti noi undici mesi fa!” stizziva un poco lisciandosi il collo con la mano sinistra.
La principessa Zaarda dem Furghen galleggiava immobile. La pioggia la levigava. L’ancella seguace cantilenava e un poco si arrugava. Il terrier si azzampò. Abbaiò furibondo il cespuglio d’alloro. “È lei!” urlò l’agente Shaiira. Zaarda saltò sull’acqua. Due mani aggrappano l’orlo della piscina. Due gambe in fuga. Il terrier ringhiava. La squadra scavicchiava il cancello. Zaarda scalava i gradoni interni a manciate. La porta possente si abblindò. Zaarda affiatante. Sul letto in cerca del perché. L’agente Xina Shaiira: “Apra! Siamo in missione di sequestro! Apra!… Non ci faccia abbattere la porta!” Shaiira livida. La porta profonda. La stanza senza finestre. Il rifugio anti assalto della principessa. Una camera di silenzio. Un boudoir di sguardi. Un parquet di felpati. Uno specchio di antico argento. Le pareti di ricordi di centosettantanove primavere. “Non c’è un’età migliore ma solo un’età lenta o veloce o ferma.” Il soffitto allampadato ma spento. Al buio. Come cieca. A tastoni sulle guance e sulla fronte.
Le cariche silenziose dissolsero la porta. La luce dalla porta ferì la principessa. L’agente Shaiira pavimentò spavalda. Il terrier sfuriò alle caviglie. Zaarda si chinò sulle mani chiuse. Shaiira le agggrappò le spalle. Zaarda scivolò fulminea. Scivolò nella discesa segreta a chiocciola. Scivolò sul prato perfetto. Scivolò giù dal dosso. Ormai lontana. Imprendibile. La squadra ricomposta si dipanava. In ogni direzione. Ora era un diluvio. Invisibile Zaarda. Gli agenti tagliavano il torrente verticale. Si falciavano le facce. Si sguazzavano le suole. Zaarda aggirò l’intelligenza di Shaiira. Shaiira immaginò la furbizia di Zaarda. Shaiira l’aspettò al patio. Zaarda lo imboccò usuale. Shaiira la avvinghiò alle ginocchia. La principessa Zaarda dem Furghen sanguinò alla bocca sulle piastrelle cotte. Le braccia distese. Le dita chiuse. Shaiira senza freno. Violentava i tacchi sulle nocche bianche. Si rigavano di rosso. Si aprivano devastate. Rotolava via un uovo. Di madreperla. Cadeva giù dal patio. Si dischiudeva sotto il fortunale. Si svuotava in un rigagnolo color pelle. Polvere che scompariva nelle zolle fradice. Insieme al sangue fradicio. Zaarda fradicia girò la testa dal pavimento fradicio verso Shaiira. Shaiira fradicia: “Cos’era quella terra chiusa nell’uovo?”
“Cipria…” in lacrime.
(32-continua la serie. Ogni episodio è “chiuso”)