Nella scuola, e in ogni ambito educativo, è necessaria un’urgente presa d’atto della rivoluzione digitale in corso ed è improcrastinabile la sensibilizzazione e la formazione di insegnanti e studenti per accrescere una generale consapevolezza dei molti rischi ma anche delle innumerevoli opportunità che il mondo digitale offre.
Serve, insomma, soprattutto, un radicale cambio di metodo nell’insegnamento, accompagnato dall’acquisizione e integrazione di nuovi linguaggi, dalla pacificazione fra tradizione e innovazione e da un riequilibrio tra posizioni apocalittiche. Tutto questo, al principio della cosiddetta quarta rivoluzione industriale, detta anche tsunami digitale[1] quella dell‘internet delle cose (IoT- Internet of Things), quella dei makers, delle start-up, della cultura open, delle smart cities, della condivisione (sharing), non è più rinviabile.
Per i decisori politici, inclusi coloro che si occupano di istruzione, dovrebbero pertanto costituire finalità cogenti le istanze e le sollecitazioni in relazione all’apprendimento lungo tutto l’arco della vita, nell’ottica di quanto indicato nei programmi europei della Long Life Learning Programm (LLP) e all’acquisizione di competenze digitali per i cittadini (framework DigComp) e per gli educatori e gli insegnanti (DigCompEdu).
Caratteristiche dell’insegnante ideale
Quali caratteristiche dovrebbero, dunque, possedere gli insegnanti ideali per essere efficaci riferimenti nell’apprendere, nell’orientare, nell’essere promotori di una visione condivisa di valori, nel sostenere la motivazione e l’interesse degli studenti di nuova generazione nell’acquisizione delle competenze richieste dalla società contemporanea, ipercomplessa e in fluido divenire prossima ventura?
Si tratta di essere in grado di mantenere costanti i propri obiettivi, valori e ricerca di senso e di saper orientare prima di tutto sé stessi (e solo successivamente gli altri): essere in grado cioè di mutare paradigma nell’apprendere e nell’imparare, prima, e nell’insegnare, poi.
Si tratta per primi di mettere in pratica ciò che si insegna. Si insegna ciò che si è.
Significa smettere di pensare a quanto culturalmente appreso come a qualcosa di acquisito una volta per tutte, come ad un punto di arrivo, come ad “motore immobile” di proprietà e iniziare invece a trasformare continuamente la propria limitata potenza in atto, a tramutare ogni punto di arrivo in una nuova ripartenza, ad assumersi il rischio di creare qualcosa (perché a limitatissima immagine e somiglianza) e di accettare critiche ed errori, cercando continuamente di superare i propri limiti.
Significa uscire dalla propria sicura zona di comfort legata alla propria competenza disciplinare, e sapersi decentrare e decostruire.
Significa modificare sostanzialmente il rapporto asimmetrico verticale tra docente e discente, trasformandolo in un rapporto asimmetrico orizzontale in cui tutti imparano ed apprendono contestualmente. Rapporto in cui i valori di relazione, rispetto, alterità, reciprocità, prossimità e prossemica (analogica e/o digitale) sono assolutamente centrali, sempre e comunque.
Significa essere consapevoli di essere solo piccoli ingranaggi e, tuttavia, indispensabili volani di un meccanismo più ampio ed essere disponibili a maggiori apertura, umiltà, ascolto e riflessione.
Significa sperimentare l’apprendere insieme, di docenti e discenti, e il trasformare l’obiettivo dell’apprendimento in prodotto comune in un lavoro di squadra e non nel frutto ambito di una sfrenata competizione individuale in cui vince il più forte o il più furbo.
Significa saper ridere delle proprie incompetenze e lasciarsi istruire in profondità dai più piccoli: con leggerezza non con superficialità.
Significa stimolare e sostenere un apprendimento coinvolgente che potenzi le capacità di individuare nuove direttrici di sviluppo nei singoli e nei gruppi di individui, che riformuli gli ambienti stessi dell’apprendimento e che, nel tempo, contribuisca a mutare il contesto sociale: un costruttivismo sociale[3] in perpetuo divenire e miglioramento.
Il docente come “sommelier digitale”
Docenti, studenti e più in generale, gli utenti delle nuove tecnologie e della rete, non sono più solo consumatori di contenuti mediali o di software (consumer) ma si evolvono in co-creatori[4], prosumer, di nuove narrazioni esperienziali, autobiografiche, spirituali, valoriali, promozionali e commerciali.
L’utilizzo di software e di applicazioni per la creazione e la gestione, di spazi virtuali e fisici condivisi per l’elaborazione (e molto altro) stanno configurando molto rapidamente le direzioni future di sviluppo delle metodologie e dei contenuti dell’insegnamento, della formazione e della comunicazione e del mondo del lavoro.
Un docente che si propone come “Sommelier Digitale” dovrebbe imparare a mettersi continuamente in discussione, ad imparare e re-imparare sempre, a ricercare, combinare e ricombinare, produrre e ri-produrre, creare e ri-creare, con sempre nuove, maggiori e condivise, creatività e originalità, prima durante e dopo l’insegnamento: dovrebbe essere un digital maker. Divertendosi, perché la creatività è l’intelligenza che si diverte[5].
Dovrebbe sperimentare per primo per individuare rischi e opportunità, possibilità e limiti, regole e protezioni, sperimentazioni e prassi.
Dovrebbe poi essere in grado di coinvolgere, guidare e seguire, camminare insieme e lasciar andare, condividere e gratificare.
Significa saper uscire dai propri confini e saper chiedere aiuto e sostegno ad altri, conosciuti e sconosciuti perché valori come la cooperazione, l’intelligenza collettiva e l’umiltà, vengono insegnati e praticati in rete in modo naturale e strettamente empirico, fattuale e laboratoriale.
Un insegnante dovrebbe anche saper essere un ponte[6] sicuro tra gap: tra “nativi digitali” (Digital Natives), immigrati digitali (Digital Immigrants), e Generazione Y o Millennials o Echo Boomers.
Un insegnante dovrebbe avere una visione d’insieme legata allo sviluppo e al mantenimento del bene comune che sviluppi senso, responsabilità e interdipendenza diffuse, in cui ognuno è responsabile non solo di ciò in cui è specializzato ma anche degli effetti globali delle proprie azioni e interazioni.
Un “Sommelier Digitale” è anche un “transumante digitale”: dovrebbe saper individuare percorsi e orizzonti di transizione, in cui tutto è andare ma contemporaneamente un ricorsivo tornare, in modi sempre nuovi, fluidi e inediti.
Infine, un insegnante digitale dovrebbe anche saper essere pietra d’inciampo: fermarsi e fermare, distruggere e ricostruire, riflettere e opporsi se individua criticità dannose o letali all’orizzonte.
Tracce digitali e immortalità
Gli agiti digitali permettono di possedere un pizzico di immortalità: nel web, tutto si crea, tutto si co-crea, tutto si de-costruisce e si co-ricostruisce.
Nulla si distrugge. Tutto permane. Al massimo si deindicizza[7]: nessun oblio e nessuna invisibilità sono permesse.
Tutto è memoria[8]: errori e vittorie[9]. Un errore è per sempre. Tutto è in-segnare: tutto segna, dentro e fuori, in e out.
Ogni individuo non è invisibile e, per la prima volta nella storia dell’uomo, anche ai più semplici e ai più umili è data una possibilità (nel bene e nel male) di lasciare perenne traccia del proprio passaggio in questa vita terrena mediante un’impronta digitale nel web, senza dover essere necessariamente persona di rilievo del mondo della cultura, dell’arte, dell’economia, della politica, delle scienze.
Questo crea un’incredibile produzione di dati.
Il concetto di privacy è di fatto quasi irraggiungibile: i dati già presenti nel web, disegnano sagome assai precise di profilazione, persino dei sentimenti[10].
Le tracce digitali sono persino oggetto di contendere ereditario[11]: dopo la morte fisica, le briciole digitali seminate permettono di ricostruire un percorso di vita.
Non saper porre limiti, non saper gestire i propri dati, non chiederne e ottenerne cancellazione, modificazione o integrazione significa delegare l’intera propria esistenza, al di qua e aldilà, ad altri.
La solitudine del docente digitale
Nell’oceano web ogni individuo viene riconosciuto come valore (positivo, negativo, neutro), oltre che per la propria presenza e permanenza, per la propria potenza di calcolo posta al servizio del miglioramento della conoscenza collettiva.
Ogni individuo è contemporaneamente parte di comunità virtuali e analogiche ma è anche solo.
Solo di fronte ad una tastiera, solo nell’interazione e nella produzione di contenuti e di tracce digitali.
Solo nel processo decisionale personale, nelle proprie riflessioni, nella decimazione delle fonti, nelle scelte consapevoli e responsabili delle proprie azioni digitali e non.
Solo e poco informato su implicazioni, pro, contro, uso corretto di devices, connessioni e reti.
Molto poco informato in diversi ambiti: salute, privacy, GDPR, cyber security, copyright, diritto d’autore e molto molto altro.
Un docente digitale si trova in compagnia di altre solitudini anche durante le riunioni dei consigli di classe, di organi collegiali o con le famiglie: differenti sensibilità, competenze, precomprensioni a favore o contro, motivazioni ed energie, età, stati di salute, contingenze familiari, gender gap, religioni, culture, rendono poliederica, multiculturale e mai noiosa ogni interazione.
L’approccio scolastico tradizionale alla conoscenza – analogico, frontale, sequenziale, lineare, argomentativo, organizzato e testuale – entra in conflitto con le nuove logiche crossmediali – digitali, social, shared, reticolari, distillate, granulari, modulari, sincrone, asincrone e contestuali: lo scontro avviene ora per ora, aula per aula, settimana dopo settimana, riunione dopo riunione.
Gli irrisori riconoscimenti stipendiali a fronte dell’impegno profuso e la continua mutevolezza normativa sono spesso all’origine del disimpegno di molti: tanto, al prossimo governo, si cambia di nuovo.
La solitudine, la responsabilità, l’errore e il giudizio sociale fanno paura: in molti non li affrontano illudendosi che questioni e problemi, magicamente, si risolvano da soli, applicando in modo estensivo l’autopoiesi dello struzzo.
Per questo, un docente digitale spesso si trova relegato in un piccolo gruppo o addirittura isolato: ciò nonostante, pervicacemente consapevole della necessità della propria azione, persevera, quasi solitario.
Ma il cambiamento è ormai avviato, sempre più percettibile, sempre più evidente, sempre più necessario.
Nei corsi di formazione per docenti (quelli motivati, quelli che si iscrivono e frequentano corsi) spesso emerge la sorpresa dell’essere, invece, in ottima compagnia nella monade di clausura di stretta osservanza analogica in cui vivono immersi (le frasi tipiche che più spesso emergono: “Ma allora, non ero solo io ad aver pensato a questo…” oppure “ Teniamoci in contatto…” per un bisogno di condivisione e un sostegno), e ci si stupisce di come persino i reali conventi di clausura analogici abbiano preso atto del cambiamento in corso e abbiano anche regolamentato l’uso del digitale….[12]
L’importanza del confronto e di una corretta informazione
Ultimamente per i docenti le occasioni di confronto, buona informazione e disseminazione si stanno moltiplicando anche grazie ad iniziative come Maker Faire, Tablet School, Didacta, Futura e altre che permettono scambi di esperienze, attive possibilità di implementazione e sviluppo delle proprie competenze e condivisione di riflessioni e soluzioni creative.
Un recente contributo importante ad una corretta informazione è stato apportato durante gli Stati Generali della Scuola Digitale (organizzati da Dianora Bardi, Impara Digitale il 26 Novembre 2018 a Bergamo) in cui sono stati resi pubblici studi su diverse implicazioni tra uso non regolato e non mediato di devices da parte di bambini e adolescenti e comportamenti compulsivi e di dipendenza (Daniela Lucangeli, docente Ordinario di Psicologia dello Sviluppo all’Università di Padova) e studi su possibili inferenze tra modificazioni transitorie di alcuni parametri, sviluppo di neoplasie ed esposizione prolungata a nuove bande di frequenza elettromagnetica, in particolare il 5G[13] (Ernesto Burgio esperto di sviluppo sostenibile, bioetica e nuove biotecnologie genetiche).
Tutte le relazioni presentate hanno posto in evidenza la necessità di un’approfondita e urgente riflessione sul tema ma anche, contestualmente, di una massiva alfabetizzazione digitale e di un’informazione capillare sul corretto uso dei devices.
Ogni strumento è potenzialmente pericoloso e letale se usato in modo improprio o eccessivo, sia esso analogico o digitale: “il troppo stroppia” e “in medio stat virtus”.
Ogni strumento va conosciuto e padroneggiato.
Anche altre recenti notizie in merito a studi condotti sulla dipendenza da videogioco (il caso Fortnite)[14] evidenziano la necessità di una solida educazione digitale, di una precoce prevenzione delle dipendenze appena instaurate e di un corretto avviamento a strutture in grado di gestire quelle ormai consolidate.
Quali competenze per un docente digitale
La scuola, come palestra di vita, è il luogo privilegiato in cui suggestioni e mescolanze, digitali e analogiche, pubbliche e private, provenienti dai più disparati settori del mondo del lavoro e della cultura, consentono agli studenti lo sperimentarsi in un gran numero di contesti in modo protetto, in inedite combinazioni e sperimentazioni.
L’innovazione che nasce in gruppi ibridi di lavoro costituiti da docenti, studenti e stakeholders afferenti da diversi ambiti della cultura umanistica, scientifica e tecnica porta ad un’accelerazione esponenziale nell’acquisizione, nella creazione, nella trasformazione e anche nell’abbandono di conoscenze per repentina obsolescenza.
I docenti delle varie discipline scolastiche dovrebbero individuare sempre più numerosi punti di contatto, per offrire in chiave ologrammatica una visione fluida e dai confini permeabili e sempre nuove opportunità di riflessione e condivisione spirituali, valoriali, inclusive, interreligiose, economiche, etiche, ecc., in un continuo circolare fluire tra sempre nuove e inedite separazioni e collegamenti.
Si tratta di fare proprio un nuovo linguaggio comunicativo che si esprime attraverso questi termini fondanti: ibridazione, interconnessione, integrazione, organizzazione, modularizzazione, contestualizzazione, contaminazione e globalizzazione di conoscenze, creatività e innovazione. Pur mantenendo le proprie peculiarità disciplinari.
Non comprendere significati e valenze di questo nuovo linguaggio, e soprattutto non applicarli, significa esserne tagliati fuori e questo si traduce in una maggiore difficoltà nel comunicare, nel relazionarsi, nell’usufruire di beni e servizi (es. SPID), nel trovare un impiego e quindi in una scarsa o nessuna possibilità di incidere sulla realtà in modo significativo.
Non incidere sulla realtà significa subire passivamente orientamenti, politiche, scelte etiche e valoriali decisi da altri e non avere la possibilità di esprimere in modo efficace proprie idee e convinzioni.
Non imparare questo nuovo linguaggio e non utilizzare le opportunità offerte dal digitale significa, in tempi brevi, condannarsi all’esilio comunicativo e relazionale.
Un quadro realistico della scuola italiana
Per chi volesse cimentarsi con un breve questionario e avere un quadro più o meno realistico della situazione nella scuola italiana, ecco una survey creata sulla base del documento DigCompEdu e somministrata ad oltre 1200 docenti italiani di ogni ordine e grado: al termine del questionario è possibile visualizzare i dati finora raccolti.
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- MAYER Marco, “Lo “Tsunami Digitale” ed il futuro dell’Italia”, 21 settembre 2014, da Formiche http://www.formiche.net/2014/11/21/lo-tsunami-digitale-ed-il-futuro-dellitalia vedi anche http://www.academia.edu/9519995/Lo_Tsunami_Digitale_ed_il_futuro_dell_Italia ↑
- MIDORO Vittorio, “Costruttivismo sociale e ambienti di apprendimento”https://www.youtube.com/watch?v=kEEfh0LlkGk ↑
- Con tutte le derivazioni anche teologiche del termine, vedi VACCARO Andrea, “La Linea Obliqua. Il ruolo della tecnologia nella riflessione teologica”, EDB, Bologna 2015. ↑
- affermazione attribuita ad Albert Einstein ↑
- a Bridge over troubled water ↑
- https://dirittoalloblio.info/tag/deindicizzazione ↑
- Il diritto all’oblio è un diritto di creazione giurisprudenziale, collocato tra i diritti inviolabili menzionati dall’art. 2 dell Costituzione italiana. E’ il diritto di un individuo ad essere dimenticato, o meglio, a non essere più ricordato per fatti che in passato furono oggetto di cronaca. Il suo presupposto è che l’interesse pubblico alla conoscenza di un fatto è racchiuso in quello spazio temporale necessario ad informarne la collettività, e che con il trascorrere del tempo si affievolisce fino a scomparire. Fonte: Corte di giustizia europea, Comunicato stampa n.70/2014, Lussemburgo, 13 maggio 2014
- L’Avvocato generale della Corte di Giustizia Ue, Maciej Szpunar, dà ragione a Google nella controversia con il regolatore francese sulla protezione dei dati, proponendo di limitare all’ambito dell’Unione europea la deindicizzazione alla quale devono procedere i gestori di motori di ricerca. Articolo dell’11/01/2019 ↑
- Il protocollo anti-suicidi di Facebook che prevede la richiesta di intervento delle forze dell’ordine e una gestione non regolata e priva di consenso informato dei dati sulla salute mentale ↑
- https://www.repubblica.it/tecnologia/social-network/2018/01/15/news/facebook_post_mortem_cosa_accade_all_account-186534620/ ↑
- Istruzione Cor Orans della Congregazione per gli istituti di vita consacrata – il testo originale↑
- https://askavusa.files.wordpress.com/2016/05/allegato-n1-lettera-aperta-al-parlamento-della-task-force-pubblica-4.pdf ↑
- http://www.gianmariacomolli.it/wp-content/uploads/2018/06/Fortnite-pu%C3%B2-creare-dipendenza.-Vittime-anche-i-bambini.pdf ↑