Industry 4.0

Le macchine industriali italiane sono vecchie: lo studio di UCIMU

UCIMU (associazione confindustriale) ha reso noto nei giorni scorsi, presso la Camera dei Deputati, alcuni dati molto interessanti relativi al parco macchine utensili e sistemi di produzione dell’industria italiana. Investimenti a picco e aggiornamenti a passo ridotto. Così, Industry 4.0 è un miraggio

Pubblicato il 09 Feb 2016

Gianni Potti

Presidente Fondazione Comunica e founder DIGITALmeet

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UCIMU ha reso noto nei giorni scorsi, presso la Camera dei Deputati, alcuni dati molto interessanti relativi al parco macchine utensili e sistemi di produzione dell’industria italiana. Ucimu è l’associazione aderente a Confindustria che rappresenta appunto i produttori di macchine utensili italiane. Occhio che per macchine si intendono sistemi per produrre, dalle macchine da asportazione e deformazione, ai robot.

Il dato che emerge riguarda molto, molto da vicino, la Fabbrica 4.0 di cui si parla tanto (finalmente anche in Italia e non solo in Germania e in Europa). In questi giorni vi è infatti un fiorire di riunioni del MISE, di Confindustria, dell’Ambasciata di Germania, della commissione attività produttive della Camera, tutte tese a capire (con qualche anno di ritardo) il fenomeno Fabbrica 4.0. E ben venga questo interesse, anche se, come spesso accade a noi popolo italico, Fabbrica 4.0 sa un po’ di moda perché se ne ha tutt’ora una scarsa cognizione di causa e non vengono studiati a fondo i fenomeni…

Ecco allora che i dati forniti da UCIMU diventano un utile tassello per meglio comprendere di cosa stiamo parlando e cosa impatta nel Paese. L’analisi ci dice principalmente quattro cose:

– che oggi in Italia ci sono meno macchine utensili e sistemi di produzione che nel 2005: a fronte di una ripresa della domanda quindi, è grave il rischio che l’offerta italiana non possa rispondere;

cresce significativamente l’età media del parco macchine, a livelli mai registrati prima, con un aggiornamento tecnologico e di innovazione carente;

– nel periodo 2010-2014 il processo di investimento è crollato e la quota di macchine installate è dimezzata rispetto alle rilevazioni precedenti;

l’adozione di tecnologie avanzate (quali il controllo numerico e i sistemi di automazione e integrazione) procede ma a ritmi ridotti.

Ma facciamo un piccolo passo indietro e andiamo a vedere di cosa stiamo parlando, ovvero la dimensione assoluta del Parco Macchine italiano, stimato in più di 300 mila macchine utensili. Da tener presente che in questo dato non sono comprese le macchine installate presso le unità produttive di dimensioni minori (sotto i 20 addetti).

Il Parco Macchine e sistemi di produzione si è dunque sensibilmente ridotto rispetto a quanto rilevato nel 2005, come conseguenza della crisi, e della diminuzione di aziende e addetti delle imprese metalmeccaniche in Italia e del calo degli investimenti. Il calo è dell’11% sul dato grezzo; se teniamo conto dei nuovi impianti censiti in questa indagine (trattamenti termici, finitura superficiale, lavaggio industriale, marcatura), il calo effettivo sale al 15%.

La crisi economica, lunga e profonda, che ha colpito l’Italia tra il 2009 e il 2014, ha lasciato una pesante impronta sul parco macchine, perché gli investimenti sono crollati nell’ultimo periodo coperto dall’indagine.

Di conseguenza, l’età media è cresciuta notevolmente rispetto alle precedenti rilevazioni. Nel 1996 e nel 2005 più di un quarto del parco macchine aveva un’anzianità di 5 anni o inferiore. Nel 2014 tale quota è crollata al 13%. Di converso, la quota di macchine con oltre 20 anni è aumentata dal 15% del 2005 al 27% del 2014. Per fortuna cresce la quota di mezzi di produzione a tecnologia avanzata.

Quanto alla geografia del parco macchine nazionali la Lombardia mantiene il primo posto e mostra per la prima volta una tendenza al recupero di quote. Il Piemonte conferma l’erosione del suo peso e scende al quarto posto. Si arresta la crescita del Triveneto, che scende al 17,6% ma mantiene il secondo posto. Cresce ancora l’Emilia Romagna, sempre in misura contenuta (un punto per decennio). Il Centro e il Sud mantengono, anzi accrescono di circa un punto, le loro quote (ma questo risultato dipende da poche grandi unità locali presenti in quei territori). Il massimo numero di Macchine Utensili ogni 100 addetti si registra in Emilia Romagna, riflettendo la più forte presenza di piccole imprese e dei settori maggiormente intensivi di macchinari (Prodotti in metallo, Macchine e materiale meccanici). All’opposto, Sud e Isole, sono caratterizzate dal peso decisivo di grandi unità produttive del settore automotive.

Da tutto ciò emerge come il sistema industriale italiano, piaccia o no, è strutturalmente vecchio e non aggiornato, e che sia urgente intraprendere la strada della re-ingenirizzazione dei processi produttivi indicata dalla strategia della Fabbrica 4.0. Ma attenzione dobbiamo partire dal manifatturiero per arrivare al gestionale, al finanziario, al digitale. Guai pensare, anche nelle prossime politiche governative, di ridurre il tutto al digitale. La vera sfida riguarda il cambio di passo della politica industriale del nostro Paese. Ormai è un imperativo per il nostro sistema produttivo ibridare il vecchio manifatturiero con i servizi innovativi e tecnologici ad alto valore aggiunto (il cd Cyber Physical), l’unico che oggi crea competitività sui mercati.

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