Sia chiara una cosa: la Commissione europea non ha bocciato il Piano Strategico Banda Ultralarga. Anzi. Si aspettava dall’Italia un impegno e un riconoscimento maggiore ad un Piano che aveva già ottenuto il via libera europeo, considerato dunque compatibile con la disciplina comunitaria sugli aiuti di Stato.
In cosa consiste quel qualcosa di più lo si può leggere nella lettera della Commissione Europea stessa, ovvero, rendere quel Piano, un Piano dotato delle risorse adeguate per superare il gap infrastrutturale nazionale, definendo altresì i tempi di realizzazione e specificando quali, dei tre modelli descritti nel Piano Strategico Banda Ultralarga, sarebbero stati adottati. Una forte regia nazionale, insomma, che si può garantire solo quando si hanno in mano le risorse o, alternativamente si possiedono le leve giuste per imporre, dal centro, tempi di esecuzione e obiettivi chiari.
Ripeto, nulla contro il Piano Nazionale Banda Ultralarga che, fra l’altro, continua ad essere attuato nelle regioni italiane che, per l’appunto, hanno deciso di aderivi, definendo, di volta in volta, le risorse dedicate, i tempi di esecuzione e il modello tecnico da adottare.
Fino ad oggi vi sono stati assegnati fondi della Regione Calabria, Campania, Molise e prossimamente Puglia e Sicilia con risorse, obiettivi e tempistiche chiarissime: ca. 500 milioni di euro, coprendo oltre 2,5 milioni di unità immobiliari in 360 Comuni entro il 2015 le prime tre Regioni ed entro il 2016 per Sicilia e Puglia.
Per capire meglio il meccanismo, facciamo un rapido passo indietro al 2009, quando andammo a presentare il Piano Nazionale Banda Larga alla Commissione Europea. Quel Piano che, ad oggi ha permesso a 4 milioni di italiani (che entro un anno e mezzo diventeranno sei milioni) di poter accedere al servizio di connettività ad internet di base (almeno 2 mbps).
Anche quello è un regime d’aiuto e indica un modello – che d’ora in poi chiameremo modello Infratel – che definisce il come spendere le risorse pubbliche per realizzare infrastrutture di rete nella aree a fallimento di mercato. Non si tratta quindi, di un Piano già dotato dei finanziamenti adeguati per essere portato a completamento. Perché? Perché gli 800 milioni di euro previsti dalla legge 69 del 2009 non furono mai deliberati dal CIPE e le alternative erano solo due: sedersi ed aspettare che qualcuno sbloccasse quei fondi o, rimboccarsi le maniche e cercare finanziamenti alternativi. Non ci sedemmo mai e riuscimmo a trovare 1.1 miliardi di euro, utilizzando per la prima volta fondi comunitari per lo sviluppo regionale sia agricoli per lo sviluppo rurale, nonché 150 milioni di euro nazionali che, tre anni dopo, il Ministro Corrado Passera stanziò per completare il Piano. Sarebbe stato molto più semplice avere 800 milioni di euro subito, ma raramente le cose vanno così – soprattutto in Italia – e, in cerca di un’alternativa abbiamo creato il più virtuoso esempio di collaborazione fra Stato e Regioni, tutte unite a risolvere questo importante obiettivo.
Il Piano Strategico Banda Ultralarga è l’evoluzione del Piano banda larga upgradando il servizio offerto da 2 Mbps a 30 Mbps, sino a 100 Mbps nelle aree socioeconomicamente strategiche. Un regime d’aiuto autorizzato e a disposizione di tutte le amministrazioni pubbliche che vogliono investire in banda ultralarga autonomamente o avvalendosi di Infratel Italia, garantendo, fra le altre cose, un modello di intervento unitario e coordinato, importanti economie di scala e l’azzeramento dei tempi burocratici legati all’approvazione dei piani. A tale Regime d’aiuto è stata autorizzata la spesa di 2.5 miliardi di euro, eventualmente modificabili dopo il 2015.