il quadro

Lezioni a distanza, le infrastrutture abilitanti dal cloud alle reti

Sistemi cloud e reti dedicate intervengono a supporto di un modello destinato a imporsi oltre la crisi sanitaria. Lo scenario di scuole e atenei alle prese con la rivoluzione digitale. Il caso dell’Università di Pisa

Pubblicato il 06 Apr 2020

Antonio Cisternino

Università di Pisa

smart city digital

La didattica a distanza sta balzando al centro della scena in tempi di Covid-19. In poche settimane il sistema di formazione italiano ha affrontato una transizione epocale. Mostrando come insegnare a distanza sia possibile anche senza ricorrere a dispositivi ultra-sofisticati, ma semplicemente utilizzando strumenti già disponibili. Un’analisi delle tecnologie in campo e delle problematiche da risolvere per rendere scuola digitale e università online una risorsa strutturale nel campo della formazione.

Tecnologie e infrastrutture in campo

Con l’uscita del Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 4 marzo tutto il sistema della formazione nazionale si è trovato costretto a transire in una modalità di didattica a distanza data la necessità di contenere la diffusione del coronavirus.

La diffusione delle tecnologie digitali ha spinto docenti sin dagli anni ’90 a porsi il problema di come utilizzare queste tecnologie in modo efficace per l’insegnamento. Sono stati sviluppati modelli, metodologie, e strumenti (Moodle è sicuramente un sistema molto noto e che ha incarnato questo movimento per lungo tempo) che hanno però faticato a divenire “di massa” restando uno strumento che si è affiancato ad altri, soprattutto nell’alta formazione. Nelle scuole l’informatizzazione si è spesso materializzata in strumenti come le LIM (lavagne interattive) non accompagnate dalla necessaria formazione del personale che doveva usarle.

Quello che ha sempre frenato l’adozione di queste metodologie è sempre stato lo sforzo necessario alla preparazione del materiale didattico digitale, attività sicuramente più onerosa di quella tradizionale. Inoltre, la continua evoluzione degli strumenti e della popolazione discente che è rapidamente stata definita la generazione dei “nativi digitali ha ulteriormente acuito quella barriera tra studenti e docenti su metodi e tecniche e materiali per la didattica che, per questioni anagrafiche prima e tecniche poi, è rimasta ampiamente ancorata a canoni tradizionali.

Infine, molti degli strumenti sviluppati da questo movimento erano orientati al supporto didattico al docente, poiché non era ragionevole pensare che l’infrastruttura di rete fosse capace di trasmettere flussi di rete a cui oggi ormai siamo tutti abituati. Più recentemente, al crescere della banda di rete disponibile, sono emersi nuovi servizi didattici come, ad esempio, Coursera che hanno portato al centro dell’attività formativa il video come veicolo per la didattica cosiddetta “frontale”, affiancato da quiz di verifica continua di apprendimento. Questi nuovi sistemi hanno riaperto il dibattito sulle metodologie per la didattica a distanza mentre il sistema formazione Italia continuava secondo il modello largamente tradizionale.

È importante anche osservare come l’uso delle tecnologie digitali richiede infrastrutture che purtroppo sono spesso assenti o carenti, soprattutto nel sistema scolastico italiano, e che ne hanno ritardato l’adozione.

L’arrivo del coronavirus si è abbattuto sul sistema formativo nazionale come un tornado forzando l’intero sistema ad una transizione di portata storica e che sicuramente condizionerà il modo di funzionare anche quando, nella speranza che sia il prima possibile, l’emergenza cesserà.

La scelta del cloud

L’annuncio della sospensione della didattica frontale per scuole e università ha richiesto una rapida riorganizzazione dell’intero sistema di formazione nazionale e l’unica possibilità era quella di erogare l’equivalente di lezioni frontali usando sistemi di videoconferenza a distanza.

La rete delle scuole, ma anche quella delle università, non è dimensionata per supportare milioni di flussi streaming contemporanei, un flusso in streaming richiede tra 300Kbps e 1Mbps, il che significa che servire una scuola con più di 1000 flussi richiede più di 1Gbps. Se poi si considera che gli studenti italiani (scuola e università) sono poco meno di 10 milioni, poter supportare un sistema di video lezioni era difficilmente attuabile utilizzando le reti a disposizione degli istituti e degli Atenei.

Il Consorzio GARR che mantiene la rete della ricerca nazionale ha osservato un’esplosione nelle connessioni di rete e nella banda usata dagli Atenei rispetto all’uso ordinario nonostante gli studenti fruiscano delle lezioni on-line largamente da casa e quindi utilizzando la propria connessione e non quella degli istituti. Inoltre, la rete, soprattutto nel caso delle Università, è necessaria anche per le attività di ricerca e un uso esclusivo dedicato dallo streaming della didattica avrebbe compromesso importanti attività che comunque vanno portate avanti nonostante la crisi.

Molti atenei italiani hanno scelto di utilizzare sistemi on-line come, ad esempio, Microsoft Teams, WebEx, Google Meet e Zoom, per erogare le proprie lezioni a distanza, sfruttando le risorse che i grandi cloud mondiali hanno a disposizione per sostenere l’incredibile carico che questo cambio di modalità ha portato. Per supportare l’emergenza molti dei grandi servizi cloud hanno messo a disposizione piani speciali, a volte gratuiti, per supportare l’emergenza, ma il carico si è fatto sentire e anche questi colossi hanno dovuto rivedere le risorse messe a disposizione per sostenere una transizione epocale di una nazione prima e ora di un continente.

Questa transizione non sarebbe stata certamente possibile usando esclusivamente le risorse a disposizione del sistema della formazione nazionale.

La “corsa” dell’Università di Pisa

Il 4 marzo sembrava una giornata abbastanza normale all’Università di Pisa, certo eravamo tutti allertati e si sapeva che la situazione stava precipitando, ma le lezioni erano tenute in aula e si cominciavano le prime riunioni dell’unità di emergenza per potenziare la didattica a distanza non sospettando che la sera stessa il Presidente del Consiglio dei ministri avrebbe accelerato questa transizione in modo inatteso.

Una volta definite le piattaforme cloud da usare, nel nostro caso Microsoft Teams e Google Meet, il problema era quello di costruire tutte quelle strutture dati necessarie a definire le aule virtuali per ciascuno dei più di 2.000 corsi previsti per il secondo semestre e consentire ai docenti e agli studenti di poterle accedere mediante le proprie credenziali. C’era poi da preparare il materiale necessario a rendere fruibile il sistema nel più breve tempo possibile, in modo che i docenti e gli studenti potessero effettivamente utilizzare la piattaforma predisposta.

La sospensione delle attività didattiche del 5 e del 6 marzo hanno consentito di lavorare per preparare l’infrastruttura e comunicare con i docenti per metterli in condizione di poter effettuare le lezioni a distanza nel proprio orario. Dopo 4 giorni oltre il 90% degli studenti accedeva alla piattaforma e lunedì 9 marzo le attività didattiche dell’Ateneo ripartivano a distanza.

Dopo neanche un giorno le connessioni alla didattica on-line provenivano da tutto il territorio nazionale e anche da altre nazioni, testimoniando la piena entrata in funzione di questa modalità didattica. Gli studenti lodavano l’iniziativa celebrando l’introduzione di mezzi a loro sicuramente più vicini e familiari, e anche i docenti commentavano favorevolmente l’introduzione di questa nuova modalità nel proprio modo di insegnare.

Una transizione così rapida non è straordinaria per il gesto tecnico in sé (che è stato comunque importante e centrale alla transizione), ma per l’impegno che lo spirito di emergenza ha favorito nel fare un salto culturale in un breve lasso temporale, consentendo di proseguire un percorso che altrimenti si sarebbe interrotto. È stato questo incredibile sforzo collettivo a rendere possibile nel mio ateneo e in molti altri, portando una rivoluzione culturale le cui implicazioni si riveleranno solo nel tempo.

La centralità del “fare sistema”

Transizioni analoghe si sono tenute in tutti gli atenei italiani e anche nelle scuole, facendo scoprire che per la didattica a distanza può essere sufficiente utilizzare i dispositivi tecnologici che tutti utilizziamo senza una reale necessità di dispositivi speciali. Abbiamo anche forse per la prima volta toccato con mano perché la rete è ormai un bene primario, e la difficoltà con cui la banda larga si è diffusa nel nostro paese dovrebbe farci riflettere sulle opportunità che non riusciamo a cogliere a causa della mancanza di investimenti infrastrutturali su tutto il territorio nazionale.

In momenti di crisi la solidarietà e il supporto reciproco sono importanti per mantenere un tessuto che ci rende una nazione, e le università in particolare si sono coordinate anche grazie all’azione della Conferenza dei Rettori che ha coordinato sia l’interazione con i vendor ICT per supportare in modo organico il processo di transizione alla didattica a distanza, offrendo momenti di condivisione di conoscenze ed esperienze all’interno degli atenei.

A due settimane di distanza dall’inizio della didattica a distanza la maggior parte degli studenti universitari hanno accesso ai propri corsi on-line e anche le scuole si sono organizzate e stanno operando in questa nuova modalità.

https://www.agendadigitale.eu/scuola-digitale/esami-a-distanza-causa-coronavirus-come-fare-nodi-e-soluzioni/

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