Abbiamo perso il treno che, transitando dalla Camera dei deputati, avrebbe permesso all’Italia di rendere efficaci e produttivi gli investimenti sul 5G. Salire su quel convoglio significava rendere un servizio al Paese; non salirvi, magari per dar retta a qualche impuntatura ideologica o ai falsi allarmismi di qualche estremista minoritario ma rumoroso anti 5G, significa far perdere l’ennesima occasione all’Italia di compiere un salto in avanti in termini tecnologici.
Emendamento saltato per limiti elettromagnetici sensati
Il convoglio a cui faccio riferimento è un mio emendamento di cui molti hanno parlato e scritto senza leggerlo e senza inserirlo nel contesto più generale nel quale va inserito.
Perché i sindaci “anti-5G” sbagliano e ledono gli interessi dei cittadini
Com’è ormai noto, l’emendamento è saltato pur non essendo mai stato votato; automaticamente non essendo mai arrivato il parere del Governo. E’ pesato in particolare, pare, l’opposizione del ministro allo Sviluppo economico.
L’emendamento al decreto Semplificazioni attualmente in discussione alla Camera (per la conversione), che porta la mia firma e quella dei colleghi Nobili e Fregolent, proponeva di adeguare i limiti per le emissioni dei campi elettromagnetici a quanto avviene nel resto d’Europa sulla base di acclarate e consolidate evidenze scientifiche.
L’obiettivo dell’emendamento che abbiamo presentato, dunque, era agganciare i nostri parametri a quelli europei, consentendo così di soddisfare, in modo omogeneo col resto del continente, il rispetto del principio di precauzione previsto dalla legge nazionale: infatti, la raccomandazione del luglio 1999 era già ispirata da questo principio e con ogni certezza sarà seguito anche in eventuali modifiche che l’Unione Europea potrà apportare.
Ma il Governo si impegna a rivedere i limiti elettromagnetici
Il 23 luglio è stato approvato alla Camera l’ordine del giorno di Marco di Maio che impegna il Governo a intervenire sui limiti elettromagnetici. Il Governo ha dato parere favorevole.
La partita non è chiusa, insomma. Ma resta complicata.
(aggiornamento del 23 luglio)
Servono limiti ragionevoli per le emissioni elettromagnetiche
Anche se va ricordato che nonostante la raccomandazione sia del 1999, essa è stata sottoposta a revisione scientifica circa ogni quattro anni e sempre confermata; inoltre, nel 2020, l’ente internazionale preposto all’individuazione dei limiti, l’ICNIRP (International Commission on Non-Ionizing Radiation Protection), ha pubblicato un aggiornamento dei limiti che di fatto conferma i presupposti scientifici dalla raccomandazione del 1999.
Ed è sempre sulla base di quella raccomandazione che a livello europeo tutti gli Stati, salvo la Bulgaria, hanno livelli di intensità del campo elettrico superiore a quello italiano. La stragrande maggioranza si colloca a 61 V/m, come stabilito dalle raccomandazioni, mentre l’Italia si ferma a 6 V/m.
L’Italia si allinei ai migliori
Tra chi ha scelto il limite adottato a livello europeo ci sono Stati considerati normalmente “campioni” di ecologismo come Svezia, Finlandia, Danimarca, ma anche Francia, Germania, Spagna, Austria, Irlanda, Portogallo, Lettonia, Estonia, Cipro, Lussemburgo, Paesi Bassi, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia, Ungheria e Regno Unito. Tutti Stati che hanno un livello di intensità a 61 V/m. Non per questo sono considerati stati nemici dell’ambiente o, peggio, della salute dei bambini, come si sente accusare dai comitati del no e dagli oppositori allo sviluppo di questa tecnologia.
In poche parole, l’Italia ha arbitrariamente adottato limiti inferiori a quelli raccomandati (rispettivamente 1/10 e 1/100 per forza e densità del campo).
L’assurdo che penalizza il 5G
Eppure, la quinta generazione di comunicazioni cellulari utilizza frequenze più elevate, con minore capacità di penetrazione delle masse e copertura degli spazi. Pertanto, il 5G richiede livelli di campo maggiori, pena l’impossibilità di erogare tutti i servizi altrimenti resi possibili da questa tecnologia.
Con i limiti attuali, l’efficacia della rete 5G in Italia limiterebbe l’impatto di numerose linee di investimento contemplate dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, che complessivamente cubano per circa 11 miliardi di euro. Si tratta di circa il 5% dei fondi complessivi del PNRR.
Intervenire sul 5G è necessario per la ripresa del Paese
Il nostro emendamento andava interpretato nel contesto digitale italiano per come è e non per come vorremmo che fosse. Se, infatti, siamo ci siamo appena laureati campioni d’Europa con lo splendido trionfo di Wembley contro l’Inghilterra, non siamo certo all’altezza di quel primato sul fronte della transizione digitale. C’è un dato tra i tanti che lo certifica in maniera oggettiva e “disinteressata”. E’ quello stabilito dall’indice DESI, cioè lo “European Digital economy and society index”, che ha il compito di verificare lo stato di salute dei Paesi europei a proposito di transizione digitale. In base a questo insieme di parametri, l’Italia viene collocata al 25° posto in Europa (peggio di noi solo Grecia, Romania e Bulgaria), al di sotto di quasi dieci punti rispetto alla media europea (noi 43,6, la media EU 52,6).
Ed è anche da questa consapevolezza che il Piano nazionale di ripresa e resilienza costruito dal presidente Draghi, assieme al Governo e su indirizzo del parlamento, ha sensibilmente modificato la versione elaborata dal precedente Esecutivo a dato una maggior rilevanza al tema della transizione digitale (a cui peraltro è dedicato un apposito ministero).
Oltre ai 6,5 miliardi di euro direttamente dedicati per 5G e ultrabroadband, indirettamente l’impatto del 5G sarebbe fortemente abilitante per molte delle politiche che vi sono incluse. Sono almeno 12 le linee di investimento interessate dallo sviluppo di questa tecnologia, che se fosse ulteriormente frenata arrecherebbe un danno significativo allo sviluppo degli investimenti più innovativi e di maggior impatto sulla popolazione (in particolare quella delle realtà più lontane dai grandi centri urbani).
Ed è largamente riconosciuto che a concorrere con lo sviluppo del 5G ci sia la revisione dei limiti elettromagnetici, che in Italia sono più bassi che altrove.
Cosa ostacola il 5G italiano
Adesso che l’emendamento è saltato, si confermano gli ostacoli storici a un progresso, sui limiti, che pure è salutato con favore dalla maggioranza (in una recente indagine conoscitiva parlamentare), dall’Antitrust, da Confindustria.
Ma a fronte del vantaggio economico che il nostro Paese ne può ricavare, cosa impedisce di adottare quei limiti e consentire così una più rapida diffusione della tecnologia 5G, un minor numero di antenne, un minor numero di contenziosi e benefici per tutti? L’obiettivo è strizzare l’occhiolino ai comitati del No?
E, soprattutto, quale alternativa si propone?
L’alternativa all’aumento dei limiti è la proliferazione degli impianti di trasmissione, che autorevoli studi stimano, nell’ipotesi più conservativa, in 6000 siti aggiuntivi con il conseguente aumento di emissioni di gas climalteranti per (sempre nell’ipotesi più conservativa) 45.000 tonnellate di CO2 all’anno.
Accanto a questo, la proliferazione degli impianti produrrebbe peraltro una maggiore conflittualità sui territori – tra le amministrazioni locali e le soprintendenze, nonché oneri per le imprese e le pubbliche amministrazioni coinvolte. Al contrario, il potenziamento degli impianti attuali consentirebbe un uso ottimale dei telefoni cellulari, con una riduzione del rischio associato al surriscaldamento dei dispositivi più vicini agli utilizzatori.
Non sfuggono a nessuno le infinite applicazioni pratiche del 5G, che porterebbe effetti benefici soprattutto nelle aree più svantaggiate del Paese e spingerebbe sull’acceleratore della ripartenza nelle aree zone più avanzate.
Allora perché non cogliere questa opportunità? Perché perdere questo treno? Se qualcuno teme di cadere nell’impopolarità per il chiasso e le polemiche generate da minoranze rumorose, spesso volgari e particolarmente aggressive, giova citare il recentissimo rapporto “Il valore della connettività nell’Italia del dopo Covid-19” realizzato dal Censis.
La maggioranza si dice favorevole all’installazione della tecnologia 5G, ritenendola strategica per rispondere all’obiettivo di garantire una connessione a tutti, sempre e ovunque: il 60,4% dei cittadini è favorevole a rendere il 5G subito operativo ovunque (il dato sale al 67,4% tra i laureati e al 77,3% tra i giovani). Solo il 14,4% teme per la salute. Scarso è quindi il credito di rumor generati da fake news e teorie complottiste per cui il 5G sarebbe nocivo per la salute.
È arrivato il momento di dimostrare che è definitivamente abbandonata la strada della “decrescita felice” per imboccare finalmente quella della crescita sostenibile, innovativa, inclusiva.
L’emendamento saltato non è la parola fine a questa missione, che continueremo a sostenere in altre sedi.
Update, articolo aggiornato dopo cancellazione emendamento