Alla fine, il tema reale, concreto e tangibile dell’innovazione è quello della capacità effettiva di realizzare il cambiamento progettato. Capacità di execution, era la denominazione di tendenza fino a pochi mesi fa. Capacità di gestire progetti, come è stato evidente da quando si è capito che raggiungere un obiettivo richiedeva un lavoro da parte di più attori con risorse limitate e tempi definiti. Da sempre, quindi.
E poiché innovazione è cambiamento realizzato, la capacità di gestire progetti diventa la capacità necessaria per innovare. Così, la trasformazione digitale di un’organizzazione, di una pubblica amministrazione ad esempio, si basa sulla presenza di processi, strumenti e competenze che permettano di concretizzare l’innovazione progettata, su impulso esterno (normativa europea, nazionale) o su indicazione strategica interna.
L’infrastruttura portante della trasformazione digitale di una PA è, in altri termini, il suo sistema di project management. Se non c’è, o è molto fragile, parziale, ecco che non solo l’innovazione specifica guidata da una strategia locale ha scarsa possibilità di realizzarsi, ma anche “l’innovazione imposta” da programmi nazionali è difficile che possa concretizzarsi nei tempi, nei modi e con i risultati richiesti.
C’è, poi, naturalmente, l’eventualità che anche i programmi nazionali non siano stati strutturati secondo le regole base di project management e che non abbiano previsto, ad esempio, una fase di definizione dei requisiti condivisa con i principali stakeholder (come le stesse amministrazioni coinvolte nell’attuazione), oppure un’approfondita analisi del contesto di dispiegamento del programma (valutando, ad esempio, strategie diverse a seconda della tipologia e della dimensione delle amministrazioni coinvolte). O, ancora, che non sia chiara la responsabilità completa di un programma o che chi ha la responsabilità formale non sia nelle condizioni normative e di dimensionamento per assumerla sostanzialmente.
Vengono in mente i fallimenti o le difficoltà di molti programmi nazionali di innovazione digitale, dove le cause sono da rilevare più su questi aspetti di natura metodologica e organizzativa che in quelli di natura tecnica. E anche quando sono stati di natura tecnica, spesso la causa è ancora da ricercare in uno dei fattori critici di successo di un progetto: scarso commitment, scarsa condivisione e qualità dell’analisi dei requisiti. Elementi tutti necessari per realizzare una efficace gestione del cambiamento, che ha un connotato naturale: la contrapposizione a una situazione consolidata, il superamento di interessi contrari, e quindi la produzione di una destabilizzazione (temporanea, ma spesso profonda).
È, questa, la storia recente di ANPR e anche, in parte, quella di Spid. Due programmi nazionali strategici che hanno ancora una parte di attività da definire: ANPR nei modi, nella strategia di approccio, nei tempi sul dispiegamento presso le amministrazioni, Spid nelle modalità di evoluzione verso la fase di maturità sia nella sua compiuta attuazione sia nella diffusione nella popolazione, principale criterio di successo e obiettivo finale strategico. In altri ambiti, l’equivalente di un progetto di realizzazione di un servizio che non prevede azioni specifiche perché il servizio, una volta realizzato, sia effettivamente utilizzato.
A livello di singola amministrazione, il problema si riproduce e in qualche caso si amplifica.
Poche le amministrazioni che definiscono e gestiscono in modo strutturato i progetti trasversali (interfunzionali, interdirezionali) e che dispongono di sistemi di supporto, monitoraggio e controllo sullo stato di avanzamento. Ancora imperano i silos e poco spazio ha la logica del controllo di gestione come elemento chiave di governo dei progetti.
Poche amministrazioni hanno sistemi di project management che consentono sia la gestione del singolo progetto sia la gestione dell’insieme dei progetti. Soprattutto, nonostante una norma internazionale già presente da un po’ di tempo (UNI ISO 21500) e un passato recente in cui gli organismi che hanno preceduto AgID (AIPA, CNIPA) si sono fatti carico di definire linee guida e manuali di supporto alla gestione dei progetti di innovazione, ci rimane come ultimo atto quelle delle Linee Guida Attuative di ANAC, sul nuovo Codice degli Appalti, dove viene affermato che il Rup (Responsabile unico di Procedimento) deve avere adeguate competenze di project management.
Troppo poco. Poco per una reale inversione di tendenza, per un’attenzione adeguata “all’execution”.
Ma se alle strategie e alle soluzioni tecnologiche non si associa un’infrastruttura di project management, un reale cambiamento culturale, la trasformazione digitale rischia di rimanere potenziale. Non in pratica.