infrastrutture di rete

L’Italia delle telecomunicazioni: stato dell’arte e prospettive per il 2021

Dopo un 2020 caratterizzato dal forte stress subito dalle reti di telecomunicazione durante il lockdown, lo scenario futuro sarà legato anche alle modalità di allocazione dei fondi messi a disposizione dal Next Generation Eu e che confluiranno nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Le sfide e i temi sul tavolo

Pubblicato il 14 Gen 2021

Lorenzo Principali

direttore Area Digitale di I-Com

Domenico Salerno

direttore Area Digitale dell’Istituto per la Competitività (I-Com)

telecomunicazioni

Stilare un bilancio del 2020 è operazione altamente delicata: se il terremoto portato dalla pandemia ha condotto a un netto salto in avanti sia dal punto di vista dell’adozione delle tecnologie digitali, sia soprattutto dal punto di vista della consapevolezza della strategicità delle infrastrutture di telecomunicazione per le nostre vite, dall’altro lato la drammaticità della situazione economica e sociale rende davvero difficile vedere il bicchiere mezzo pieno.

Ciononostante, in questo articolo cercheremo di fare chiarezza circa lo stato attuale del settore delle tlc e dare uno sguardo alle prospettive per il 2021, sperando che nell’anno nuovo comincino a germogliare i semi piantati per la diffusione delle infrastrutture, l’adozione dei servizi e l’avvio del processo di digitalizzazione che dovrebbe scaturire dall’impiego dei fondi del Next generation EU.

Le infrastrutture di rete alla prova Covid-19

Come noto, il lockdown ha inevitabilmente generato un impatto dirompente sulle reti tlc italiane, con l’aumento esponenziale del traffico determinato da servizi ad alta intensità di dati (piattaforme videoludiche, portali di streaming, formazione a distanza, video call), i quali hanno messo a dura prova un sistema che, fortunatamente, ha tenuto. I dati Agcom indicano un incremento del flusso dati su rete fissa quasi raddoppiato rispetto al 2019 nei mesi di marzo (+90%) e aprile (+80%), presentando inoltre una crescita YoY superiore al 30% per tutto il periodo estivo. In misura inferiore l’incremento ha interessato anche le reti mobili, che hanno visto un picco di crescita del 79% a marzo e del 78,9% ad aprile, sebbene un forte aumento (oltre il 50%) fosse già stato registrato nei mesi precedenti il lockdown, dunque indipendentemente da fattori esogeni.

Variazioni annuali traffico dati su base mensile (%, 2019 -2020)
Reti fisseReti mobili
Gennaio17,552,8
Febbraio22,453,3
Marzo90,479
Aprile80,278,9
Maggio51,555,7
Giugno37,351,9
Luglio32,249,1
Agosto34,548,6
Settembre33,345,8

Agcom, 2020

Nonostante l’esplosione del traffico, si è detto, il sistema ha resistito bene. Nel dettaglio, un’analisi effettuata da MedUX ha stimato un calo della velocità di download su rete fissa nelle ore di punta (h20‐21) di appena il 10% a livello nazionale (8% per i servizi FTTH). Attenzione però: la grande prova di resilienza mostrata dal comparto non significa rallentare lo sforzo in termini di investimenti in infrastrutture digitali. Al contrario, le reti di nuova generazione rappresentano l’arma in più per superare gli effetti economici della crisi pandemica nel prossimo futuro.

Next Generation Eu e PNRR: quale piano per le infrastrutture di rete?

A proposito di resilienza, lo scenario futuro delle reti di telecomunicazione sarà legato anche alle modalità di allocazione dei fondi messi a disposizione attraverso il Next Generation Eu e che confluiranno nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, la cui bozza prevede di allocare alla missione “Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura” risorse per complessivi 48,7 miliardi di euro, ovvero 24,9% del totale. Nel dettaglio, la missione è stata suddivisa in 3 assi principali:

  • Digitalizzazione, innovazione e sicurezza nella PA (10,1 miliardi di euro);
  • Innovazione, competitività, digitalizzazione 4.0 e internazionalizzazione (35,5 miliardi di euro);
  • Cultura e turismo (3,1 miliardi di euro).

Ammettiamolo: soltanto 12 mesi fa, allocare 10 miliardi per la digitalizzazione, ovvero meno di un quarto della cifra che dovrebbe essere stanziata, sarebbe parsa un’operazione stratosferica. Allo stesso tempo, è importante osservare come la bozza del Piano divenuta pubblica non specifichi in alcun modo l’ammontare delle risorse da destinare allo sviluppo delle reti, citando genericamente “interventi per la riduzione del digital divide […] il raggiungimento degli obiettivi europei della Gigabit society” e facendo una sorta di piccola lista delle priorità: completamento del progetto Banda ultra larga (in particolare nelle aree grigie); copertura in fibra ottica di realtà pubbliche ritenute di prioritaria importanza; promozione dei servizi 5G e sicurezza del 5G. Cogliamo l’occasione per approfondire ed estendere tale elenco nei paragrafi che seguono.

L’avanzamento del Piano Banda Ultra Larga

La storia del Piano Bul sembra ormai avere origini mitologiche, sebbene sia stata approvata appena 5 anni fa. Un lustro che, nel mondo del digitale, pare un’era geologica. Per fare un esempio, TikTok doveva ancora nascere. Approvata per favorire la copertura in fibra delle aree a fallimento di mercato, la Strategia nazionale per la Banda Ultralarga ha mobilitato finora circa 12 miliardi di investimenti tra pubblici e privati. L’ultima Relazione sullo stato di avanzamento del Progetto diffusa da Infratel (datata 30 novembre 2020) mostra uno scenario positivo sia dal punto di vista progettuale (con oltre 8300 progetti in fibra consegnati su circa 8900 previsti e quasi 7000 consegnati su 7100 per quanto riguarda il Fixed Wireless Access), che autorizzativo (con 7700 approvazioni per il FTTH e 6500 per l’FWA). Per quanto riguarda la progettazione esecutiva, al 30 novembre 2020 risultano consegnati quasi 4200 progetti in fibra e 1650 in FWA, tradotti in 5128 cantieri aperti (3600 FTTH e 1528 FWA) e 3126 impianti ultimati (1712 FTTH e 1414 FWA). Secondo la Relazione, il valore complessivo degli ordini di esecuzione equivale a circa 1,4 miliardi di euro, di cui 796 milioni già in fase di avanzamento (pari a circa il 58%).

Enel, Macquarie e gli sviluppi del progetto “Rete Unica”

L’evoluzione della copertura in Banda ultra larga è strettamente collegata al progetto Rete Unica. Dopo lo scorporo da parte di Tim delle proprie infrastrutture passive della rete di accesso secondaria (dall’armadio di strada alle sedi degli utenti), sia in rame che in fibra, affidate alla newco Fibercop (è partita nel frattempo un’istruttoria dell’Agcm), pochi giorni fa il cda di Enel ha approvato il mandato a vendere il proprio 50% di Open Fiber (più precisamente, tra il 40% e il 50%) al fondo australiano Macquarie. Per quanto questo potrebbe costituire uno dei passi fondamentali in vista dell’integrazione, la complessità dell’accordo illustrato nel comunicato di Enel (che indica, tra le molteplici precisazioni, la previsione della possibilità che il closing si concluda dopo il 30 giugno, il riconoscimento di due diversi earn-out e, in teoria, anche lo stesso potere di veto governativo previsto dal Golden Power) consigliano di attendere.

D’altra parte, il segnale lanciato dal Governo nella bozza del PNRR sembra chiaro: promuovere la nascita di “un progetto fibra che eviti il rischio di duplicazioni nella messa a terra della rete”. Nel documento si sottolinea inoltre la necessità di garantire “la piena concorrenza nella fornitura dei servizi anche attraverso opportune forme di separazione delle attività all’ingrosso di gestione della rete da quelle dei servizi al dettaglio”. Sebbene questa non possa essere considerata una dichiarazione formale, lascia comunque presagire la possibilità che, nel corso del prossimo anno, possano avvenire profondi cambiamenti nel comparto delle reti fisse.

Le aree grigie e la copertura effettiva

Per quanto concerne le aree grigie, considerate particolarmente strategiche a livello industriale poiché ospitano buona parte dei distretti industriali nazionali, alla luce dell’ultima consultazione Infratel emergono due ordini di considerazioni: in primo luogo, se le opere di infrastrutturazione seguissero quanto effettivamente dichiarato dagli operatori, tali aree risulterebbero quasi integralmente coperte entro il 2022; in secondo luogo, analizzando il mix tecnologico, ci si accorge che appena il 10,5% dei civici “grigi” risulta coperto in fibra, mentre il restante è raggiunto prevalentemente da connessioni in rame (75,3%), destinata a rimanere preponderante anche nel 2022 (65,6%). Infatti, in seguito agli interventi attualmente previsti, la fibra arriverebbe al 17% mentre l’Fwa ad alta capacità coprirebbe circa il 10% dei civici delle aree grigie. Alla luce di questi dati appare necessario prevedere un intervento ad hoc per incrementare la copertura in fibra e rilanciare la competitività del sistema industriale con applicazioni IoT e programmi quali Industria/Impresa 4.0, cogliendo al volo l’opportunità offerta dai nuovi fondi.

I voucher per stimolare la domanda

In questo senso, non può che essere accolta positivamente l’inclusione delle imprese tra i beneficiari degli incentivi per l’adozione di servizi di connettività ultra broadband. Nel dettaglio, l’utilizzo dei voucher come mezzo di incentivazione della domanda in favore di famiglie, imprese e scuole fa parte del piano approvato dal Cobul a maggio 2020 con l’obiettivo di promuovere l’adozione della connettività ad almeno 30 Mbps. Le imprese verranno incluse nella seconda fase (la prima è dedicata alle famiglie con ISEE fino a 20.000 euro), con contributi tra i 500 e i 2.000 euro a seconda della dimensione della sede e del numero dei dipendenti. Le risorse economiche disponibili per l’intero piano, derivanti dai Fondi Sviluppo e Coesione (2014-2020), sono pari a circa 923,2 milioni. Tali misure appaiono quantomai importanti per stimolare l’adozione del broadband, anche in considerazione del gap tra copertura e adozione mostrata da Agcom: quest’ultima, infatti, indica un tasso di sottoscrizione del 37% delle famiglie, a fronte di una copertura che ne raggiunge quasi il 90%.

Lo stato dell’arte del 5G

Archiviato il buon posizionamento dell’Italia nella classifica del DESI (indicatore per la verità poco rilevante poiché limitato all’assegnazione delle tre bande pioniere), si osserva come l’opera di infrastrutturazione delle reti 5G nel 2020 abbia subìto una serie di rallentamenti, dovuti principalmente alla crisi pandemica e in parte all’ondata di fake news che hanno scatenato l’opposizione di numerose amministrazioni locali (poi limitata dall’articolo 38 del Decreto Semplificazioni poi convertito in legge). Il nostro Paese, inoltre, è uno dei primi dell’Ue ad aver lanciato il servizio commerciale 5G (a giugno 2019, insieme alla Spagna) ed è al terzo posto, dopo Spagna e Germania, per numero di sperimentazioni, sebbene queste risultino fortemente in calo nel biennio 2019-20. Attualmente il servizio commerciale 5G risulta attivo in 13 città (Roma, Milano e aree limitrofe, Napoli, Bologna, Torino, Firenze, Genova, Brescia, Sanremo, Ferrara, Livigno, Cortina, Selva di Val Gardena) e dovrebbe arrivare a coprire la maggior parte dei centri urbani principali nel corso del prossimo anno.

5G e sicurezza cibernetica

In ambito sicurezza, il processo di composizione del quadro normativo a garanzia delle reti 5G si sta rivelando piuttosto complesso. La legge numero 133 del 2019 ha istituito il perimetro di sicurezza nazionale cibernetica, aprendo un percorso attuativo frazionato con scadenze temporali diversificate attraverso quattro Dpcm e un regolamento atti a stabilire, tra l’altro, le modalità e i criteri procedurali di individuazione dei soggetti inclusi nel perimetro.

Il primo Dpcm (del 30 luglio 2020), è intervenuto su quattro punti fondamentali:

  • la definizione delle le modalità di individuazione dei soggetti da includere;
  • la declinazione dei criteri con i quali i soggetti individuati predispongono e aggiornano l’elenco di reti, infrastrutture e servizi informatici;
  • l’attribuzione al Centro di valutazione e certificazione nazionale (CVCN) del potere di effettuare verifiche ed imporre condizioni e test di hardware e software;
  • e l’istituzione di un Tavolo interministeriale con funzioni di supporto del CISR.

L’articolato processo regolatorio è stato peraltro rallentato dall’emergenza sanitaria, e lo schema di regolamento sull’attività di CVCV e CV è ancora in fase di sviluppo.

Il tema della sicurezza cibernetica è stato ripreso dal Governo anche nella sopracitata bozza del PNRR. In particolare, oltre a menzionare quanto fatto nel recente passato, nel documento si evidenzia la volontà di istituire un “centro di sviluppo e ricerca sulla Cybersecurity” che opererà attraverso la costituzione di partenariati pubblico-privati in cui verrebbero coinvolti i campioni nazionali del settore e le università. Il centro dovrebbe essere il naturale interlocutore italiano per il Centro europeo per lo sviluppo industriale, tecnologico e della ricerca in materia di sicurezza cibernetica (in fase di costituzione) e della relativa rete di centri nazionali di coordinamento.

In conclusione, siamo di fronte a un’occasione forse irripetibile di realizzare finalmente il tanto agognato salto tecnologico verso la digitalizzazione della società. Cittadini, imprese e pubbliche amministrazioni sembrano finalmente pronti a compierlo. È arrivata l’ora di dimostrare che volevamo farlo davvero.

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