Anche il 2016 riflette una situazione stazionaria sul digitale in ambito europeo. È questa la lettura che si può dare dei primi dati pubblicati da Eurostat (quest’anno la sezione è denominata Digital Economy and Society, poiché l’indice che aggrega questi dati è il DESI, che sarà valorizzato completamente nei prossimi mesi).
In particolare, rimane positivo il trend nelle aree in cui erano già stati raggiunti i target europei fissati per il 2015, come
- Popolazione che usa servizi di eGovernment e trasmette moduli, che nel 2016 sale al 28% (2% in più del 2015);
- Popolazione che acquista online, che va al 55% (2% in più del 2015).
Soltanto per uno degli altri indicatori su cui erano stati posti degli obiettivi si registra un progresso significativo: si tratta della Popolazione che usa internet regolarmente, che va al 79% (3% in più del 2015).
Sono da rilevare comunque progressi, anche se con un ritardo ancora presente rispetto ai target fissati per il 2015, per due altri indicatori
- Popolazione che non ha mai usato internet, va al 14% (raggiungendo e superando finalmente il target del 15%, fissato per il 2015);
- Popolazione che usa servizi di eGovernment torna a crescere, dopo la regressione del 2015, e con il 48% si avvicina, ma ancora non raggiunge il target del 50% fissato per il 2015).
Era chiaramente troppo lontano dai target l’indicatore relativo alle PMI che vendono online, che va al 17%, 1% in più del 2015 ma ben 16% in meno del target fissato per il 2015, ma ci si aspettava qualche progresso in più. Chiaramente una situazione stagnante e lontana dagli obiettivi.
Dati che testimoniano di una situazione europea con leggeri progressi, ma comunque lontana dall’evoluzione auspicata con i vari programmi lanciati in questi anni. Permangono due problemi chiave, dal cui superamento dipende in gran parte la possibilità di puntare a concreti miglioramenti:
- I divari tra i Paesi sono troppo elevati. Anche nel 2016 non si è riusciti a diffondere le buone pratiche né a creare un ambiente favorevole per lo sviluppo di tutti i Paesi. La spinta sulle politiche del Digital Single Market vanno certamente in questa direzione, ma gli effetti non si vedono ancora. Come ho già rilevato nel commentare i dati degli anni scorsi, la situazione è così divaricata tra Paesi virtuosi e ritardatari che monitorare il valore medio è sempre più un esercizio di stile, con poco significato sostanziale. Ad esempio, se prendiamo in considerazione l’indicatore che ha avuto le maggiori variazioni (Popolazione che non ha mai usato Internet) la media del 14% si ottiene grazie a Paesi come la Danimarca, che è al 2% e Paesi con gravi ritardi, come la Bulgaria (al 33%) o la Romania (al 30%); oppure quello sulla popolazione che acquista online, dove il 55% è la media tra l’84% della Danimarca e il 12% della Romania (l’Italia è al 29%);
- Il ritardo delle PMI sul digitale non si riduce. Non ci sono progressi significativi per l’indicatore più critico (PMI che vendono online), dove si avverte tra l’altro una divaricazione notevole tra i Paesi. Il valore della media europea (17%), molto basso, è derivato, infatti, dal 30% dell’Irlanda (tra l’altro in riduzione rispetto al 2015) e da percentuali superiori al 26% di Paesi come Repubblica Ceca, Danimarca e dal 5% della Bulgaria o dal 7% di Romania e Italia. Il tema del ritardo delle PMI sul digitale è complesso, ma il basso livello di competenze digitali dei lavoratori, dei manager e degli imprenditori è certamente una delle cause di maggior peso.
Il quadro, complessivamente, rimane quindi critico e soltanto un cambio sostanziale di strategia può consentire di pensare a futuri concreti miglioramenti. Anche la necessità di ristrutturare l’iniziativa della “Grand Coalition for digital jobs” con il lancio della “Digital Skills and Jobs Coalition” denota la difficoltà della Commissione UE nell’incidere concretamente sui temi profondi e complessi come quello del lavoro. L’auspicio è che il programma della Commissione UE per il 2017 (in cui il Digital Single Market è una delle 10 priorità) sia dotato degli strumenti adeguati per la sua attuazione positiva.
La situazione dell’Italia
Anche quest’anno non si rilevano progressi significativi, tali da far percepire un reale recupero nei confronti degli altri Paesi Europei. In qualche caso il progresso è maggiore della media europea, ma non al punto da far pensare che abbiamo già avviato un cambio di passo.
In particolare, rimane decisamente alta (25%) la percentuale di chi non ha mai usato Internet, e la riduzione che si registra (quasi il 3%) è sì significativa, ma incide poco in un panorama in cui si registrano riduzioni del 5% (Polonia) e paesi come Francia e Germania hanno percentuali inferiori alla metà di quelle dell’Italia e continuano a diminuire.
Non andiamo bene rispetto all’indice sul livello delle competenze digitali, basato su DIGCOMP, che ci vede stazionari con solo il 43% di popolazione in possesso di competenze digitali “di base o superiori”, e così siamo superati dalla Polonia (che sale dal 40 al 44%) e restiamo davanti soltanto a Cipro, Romania e Bulgaria, lontani da Paesi come Spagna (54%), Francia (56%), Germania (67%), con la media europea al 56%, in progresso rispetto al 2015. Nel 75% degli Italiani che naviga su Internet, quindi, c’è una percentuale consistente di popolazione (più di un terzo) che lo fa con una consapevolezza digitale bassa.
Troppo bassa ancora la percentuale di chi utilizza Internet regolarmente (67%), nonostante un buon progresso nell’ultimo anno (4%) ma insufficiente anche per raggiungere il livello del Portogallo. Dati preoccupanti anche per gli usi di Internet, dove il DESI ci piazzava all’ultimo posto nell’ultima rilevazione e che sembra confermarsi, se valutiamo la stasi sostanziale sugli usi più significativi come l’internet banking (dove l’Italia passa dal 28 al 29% e la Spagna, ad esempio, dal 39 al 43%), gli acquisti di viaggi (27%) o la partecipazione ai social network, la lettura di quotidiani online, l’ascolto di musica, la visione di video e pure la fruizioni di giochi (21%).
La forbice tra le regioni rimane significativa, anche se permane la situazione di generale ritardo del 2015. In particolare, rispetto all’uso regolare di Internet la differenza tra la prima regione (la Lombardia, con il 75%) e la Sicilia e la Calabria (le peggiori, con il 55%) ci sono ben 20 punti. Il dinamismo territoriale è molto diversificato: il Molise ha un incremento del 9%, seguito dal Lazio con il 6% e la Lombardia con il 5%.
La delusione forse maggiore è sull’utilizzo dei servizi di e-government, dove evidentemente non si vedono ancora gli effetti delle politiche nazionali, con alcuni programmi strategici che non hanno ancora dispiegato risultati significativi al momento della rilevazione (vedi Spid, linee guida per il design dei siti web) e dove l’adesione delle PA è ancora timida e lenta. Qui la percentuale di chi ha sottoposto moduli compilati all’amministrazione rimane al 12% contro una media europea del 28%,
Sull’utilizzo del digitale da parte delle imprese, la posizione delle PMI italiane rimane tra le più basse: la percentuale di PMI che vendono online è del 7%, stazionaria, in una situazione, però, in cui paesi come Spagna e Germania registrano, invece, progressi e vanno a percentuali rispettivamente del 19% e del 26%).
Auspici
Nell’ambito del digitale il 2016 si chiude quindi con dati ancora non positivi, pur se in miglioramento (lento, purtroppo). Dati frutto di un 2016 ancora di avvio di nuove iniziative (non tutte quelle necessarie), con un dispiegamento non completato, e quindi impatti poco evidenti.
Sul fronte dell’innovazione della pubblica amministrazione il 2016 ha visto l’avvio concreto di progetti fondamentali come SPID, ma anche la falsa partenza di altri come ANPR, per cui era stato definito un obiettivo del 100% di comuni subentrati a fine 2016 e che invece ha visto solo da poche settimane il subentro del primo comune.
Allo stesso tempo abbiamo finalmente un documento di Strategia per la Crescita Digitale corredato di indicatori anche correlati a quelli DESI, ma i dati 2016 rimangono lontani dagli obiettivi dichiarati, che comunque forse possono essere definibili con più ambizione e in ogni caso con un approccio di stretta correlazione con gli interventi in atto.
Dal punto di vista normativo è certamente importante la presenza di un nuovo CAD, che contiene alcune innovazioni significative, che deve però essere ancora corredato di alcune regole tecniche oltre che di interventi sulla macchina amministrativa previsti dalla riforma della PA e che oggi sono chiaramente a rischio (es. norme sulla dirigenza). La presenza del Commissario Straordinario potrebbe costituire un elemento di accelerazione del cambiamento, ma diventa chiave la relazione positiva con AgID, che potrebbe essere evidenziata dalla pubblicazione del Piano Triennale per l’IT delle PA, atteso prima per la fine del 2016 e ormai per i primi mesi del 2017, ma ancora senza una previsione definita.
Sul fronte delle imprese abbiamo visto solo un importante intervento in ambito Industria 4.0, ma mancano interventi mirati a favorire l’innovazione delle PMI, così come mancano sul fronte delle competenze digitali, dove l’unica iniziativa programmatica rimane quella del Piano Nazionale Scuola Digitale, con scarso impatto a breve sulla popolazione adulta.
Insomma, il panorama vede diversi elementi positivi, ma ancora troppi indizi della mancanza del cambio di passo necessario, che richiede invece di operare rapidamente, ma anche in modo organico, perché solo operando contemporaneamente su tutti i fronti strategici si possono ottenere i risultati di cui abbiamo bisogno. Agendo insieme, e collaborando.