trasformazione digitale

IoT: come l’industria si prepara allo switch-off dei vecchi sistemi



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L’industria affronta la sfida della trasformazione digitale tra investimenti, cicli economici e tecnologie in continua evoluzione. Le implicazioni di questo cambiamento per i gestori di servizi pubblici e le possibili ripercussioni dello switch-off di sistemi tradizionali

Pubblicato il 21 nov 2023

Nicola Ruggiero

Focus Group srl



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Viviamo nell’era della trasformazione digitale, dove ogni sistema, macchinario ed elemento della nostra vita deve essere connesso, controllabile, gestibile e fornirci una quantità di dati tali da farci analizzare anche gli angoli più imperscrutabili della realtà, ciò con l’uso dei big-data, dell’intelligenza artificiale e con gli algoritmi più avanzati.

Tutto bello, tutto perfetto, tutto all’avanguardia: ma ci siamo mai chiesti come si faceva fino a pochi anni fa? Possibile che non vi fossero dati o non si monitorassero grandezze fisiche e sistemi industriali?

Tecniche e tecnologie per raccogliere i dati prima degli algoritmi

Ovviamente il controllo, la telemetria, il telecontrollo e la misura di macchine e sistemi, soprattutto in ambito industriale, esistono da decenni e l’industria adotta da decenni tecniche e tecnologie per raccogliere i dati sempre appoggiandosi su sistemi altrui che nel tempo sembravano immutanti ed una costante presenza.

Ad esempio, i sistemi PLC o SCADA, che da sempre controllano i maggiori processi industriali, hanno fondato la loro forza sulla raccolta dati attraverso mezzi di trasmissione fisici (spesso rame) sia per connessioni locali (ad esempio RS232, RS422, ModBUS, Ethernet) che a lunga distanza (esempio con modem su linea telefonica communtata o linea dedicata).

Ora si può immaginare che l’utilizzo di una rete di trasmissione altrui (esempio operatore telefonico) è stata l’unica soluzione per trasportare i dati. Niente affatto in quanto, in passato, spesso ogni azienda, o gestore di servizio pubblico o privato, si è costruita la propria rete di trasmissione dati su frequenze libere o licenziate, con ripetitori radio che coprivano aree geografiche vastissime (da intere regioni all’intero territorio nazionale). Con ciò aggiungendo la complicazione di gestire e mantenere in massima efficienza una propria rete radio in aggiunta al sistema core-business della propria azienda.

Le prime reti radiomobili per la telefonia e la trasmissione dei dati

Nel tempo sono nate le prime reti radiomobili per la telefonia e la trasmissione dei dati, aprendo il mercato a dispositivi per la trasmissione via GSM/GPRS miniaturizzati e facendo leva sulla copertura nazionale dell’operatore telefonico e, quindi, potenzialmente dando la possibilità a tutti di avere il proprio sensore o macchinario in un posto e vederne i dati da remoto.

Questo è stato il momento in cui la prima ondata di grossi investimenti è stata fatta da intere filiere industriali: clienti finali, macchinari, sensori, device per la trasmissione dei dati. E tante applicazioni sono nate prima dell’attuale rivoluzione dell’IoT.

Avendo a disposizione una rete potenzialmente presente dappertutto, una maggiore capacità di calcolo a bordo della strumentazione, in molti casi sono nati device che facevano della geolocalizzazione e del sincronismo con un segnale campione il loro punto di forza.

La geolocalizzazione

Analizziamo meglio: la geolocalizzazione ha iniziato ad avere un proprio valore di massa con l’avvento dei primi GPS: sebbene di minor precisione rispetto ad oggi, permettevano in ogni caso di avere una precisione sul punto molto elevata soprattutto rispetto ai sistemi in essere al tempo (esempio LORAN, poi spento). Altro elemento era il sincronismo: mentre era facile ottenerlo con precisioni anche inferiori al millisecondo su lunghe linee fisiche di trasmissione, non lo era affatto via radio fino all’avvento del GPS.

Ma il segnale GPS, ancora oggi, è facilmente ricevibile in spazio aperto e in zone prive di ostacoli, al chiuso è difficile, mentre ambienti interrati e fortemente schermati è impossibile.

Il segnale radio FM analogico

Ecco che, molto spesso ed ancora oggi, come fonte per un segnale che possa essere utilizzato come sincronismo si utilizzano i segnali radio in FM analogico. Questo per la caratteristica delle onde elettromagnetiche nella banda FM di penetrare anche ambienti sotterranei o schermati ed essere demodulate con ricevitori a basso costo anche dove il GPS tipicamente non arriva.

È chiaro che il segnale radio FM analogico non è il migliore dei sincronismi a cui si possa pensare oggi, anche perché di per sé non lo è. Però, ad esempio, in caso di applicazioni di geolocalizzazioni di fenomeni fisici sul territorio, utilizzando tecniche di riallineamento delle tracce audio e correlazioni multiple dello stesso fenomeno visto da due (o più) punti diversi, si ottiene una precisione dell’ordine del metro, più che sufficiente in moltissime applicazioni.

Tecniche di questo tipo, ad esempio, sono molto usate ancora oggi da tutta una serie di avanzatissima e moderna sensoristica IoT in grado di trasmettere su rete Nb-IoT o CAT-M, quindi al passo con i tempi, per il rilievo di rumori, vibrazioni, onde acustiche, fenomeni di pressione ed altre grandezze fisiche su tubazioni delle reti idriche, gas, fognature, ponti, viadotti, gallerie o altre infrastrutture che normalmente sono interrate ed hanno pochi punti di accesso ma sparse sull’intero territorio nazionale

Negli anni, in ambito infrastrutture e impianti produttivi, sono stati fatti ingenti investimenti con cicli a volte decennali per arrivare ad un suo completamento. Soprattutto per infrastrutture critiche che coprono l’intero territorio nazionale.

I danni collaterali dello switch-off

Viene da farsi almeno due domande: quanto il progresso tecnologico in ambito industriale è vincolato a cicli economici e tecnologie precedenti e, ancora di più, quali opportunità o danni collaterali ci sarebbero da switch-off di sistemi nati per altro uso con impatto su industrie non direttamente legate al servizio offerto?

Cerchiamo di capire, nel primo caso è indubbio che investimenti fatti soprattutto da grandi gruppi industriali o dalla pubblica amministrazione hanno una previsione di vita perlomeno decennale se non, in alcuni casi, di 20 o 30 anni. Pensiamo ad esempio a tutte le reti di telecontrollo basate ancora oggi su sistemi 2G o GPRS. Questi sistemi non si spegneranno ancora per moti anni perché il parco installato di strumenti e applicazioni è molto elevato, spesso anche nelle nostre case con le SIM dei sistemi antintrusione per esempio; lo switch-off costringerebbe ad investimento di massa poco immaginabile in tempi rapidi. Sebbene oggi si spinga su tecnologie di trasmissione come il 5G, l’Nb-IoT ed il CAT-M, piuttosto che LORA o altre reti simili, gli operatori telefonici sanno che dovranno supportare il mercato con vecchie tecnologie ancora a lungo.

Lo switch-off del 3G e della TV analogica

L’operazione di switch-off del 3G è stata possibile proprio perché l’industria viaggiava più su 2G, ma ha in ogni caso costretto a cambiare sistemi a quella parte minore del mercato che per applicazioni di telecontrollo o monitoraggio si era appoggiata già al 3G.

Passando al mondo consumer, relativamente più semplice è stato lo switch-off della TV analogica, anche se ha costretto tutti noi a comprare almeno un decoder se non addirittura un nuovo televisore, eppure ci sono voluti diversi tentativi, diversi anni ed incentivi statali.

Nel secondo caso, immaginando anche lontanamente lo switch-off di una rete dedicata al consumer e all’informazione, ad esempio la radio analogica FM, ci sarebbe un effetto indotto sull’industria e sui sistemi distribuiti sul territorio difficilmente prevedibile. Infatti, ad oggi, tutti gli strumenti che utilizzano un segnale libero e disponibile in maniera passiva, facilmente decodificabile, di uso comune, ad esempio le radio FM analogiche o il GPS o altri simili, non hanno bisogno di alcun accordo con il fornitore del servizio stesso (la singola radio FM o il gestore del sistema satellitare), quindi lo usano senza essere registrati a differenze di sistemi dove c’è una subscription chiara, esempio una fee ed una SIM, dove perlomeno si conoscono i clienti-utilizzatori e si può fare una strategia di switch-off che minimizzi l’impatto.

Questo che sembra un tema collaterale in realtà negli ultimi anni sta ponendo molte domande proprio ai grandi gestori e alle grandi aziende che si apprestano a fare investimenti per la trasformazione digitale: da un lato sono pronte ad investire in tecnologie ultramoderne e performanti, dall’altro temono di vedere vanificare in pochi anni il loro investimento perché si poggiano ancora su reti e sistemi che potrebbero spegnersi a breve.

Sappiamo che l’industria segue con un certo ritardo le evoluzioni tecnologiche che prima arrivano sul mercato consumer, sappiamo che gli investimenti, una volta fatti, devono arrivare il più possibile alla fine del loro ciclo economico e finanziario per renderli sostenibili, ma la velocità dei cambi tecnologici degli ultimi anni, soprattutto nel mondo dell’IoT, dell’AI e delle reti wireless in genere, pone sfide decisionali importanti soprattutto i gestori dei principali servizi pubblici  che si trovano a dover decidere sulla base di incognite che non rientrano nei loro ambiti di gestione, neanche quando si tratta di mercati regolamentati.

Conclusioni

Questa è solo una dimensione, magari minore e collaterale, della trasformazione sociale che stiamo attraversando: prima di essere digitale deve essere economica e finanziaria perché deve incorporare nei nuovi modelli di business cicli di vita degli investimenti più brevi anche per la pubblica amministrazione, deve essere poi culturale in quanto bisogna essere preparati al fatto che certe tecnologie possano non essere più disponibili e quindi avere il coraggio di usarle sapendo che potremmo dover cambiare approccio in corso d’opera o negli anni a venire ma non per questo avendo fatto un cattivo investimento, ed infine anche regolamentare poiché nel pianificare ciò che avviene in un mercato (esempio le telecomunicazioni) deve tener conto anche dell’impatto sugli altri mercati e sulle altre industrie.

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