Il 5G, ossia la nuova infrastruttura di telecomunicazione mobile che consente una specializzazione delle reti ed una loro configurazione in base alle specifiche esigenze del cliente, è rientrato a pieno titolo nei controlli e nelle segnalazioni legate al golden power: si tratta, in questo caso, di una politicizzazione dello strumento che non può non avere ripercussioni sui cittadini.
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Facciamo il punto, cominciando dalle origini del Golden Power.
Come nasce lo strumento del Golden Power e perché
L’origine dei poteri speciali, nella forma di azioni privilegiate (Golden Rule) nelle mani dei governi o di poteri di intervento dei governi nelle operazioni societarie riguardanti is “settori strategici” risale alla prima fase delle privatizzazioni, quella avviata da Margaret Thatcher per intenderci. Occorreva un meccanismo di bilanciamento che potesse consentire al governo di intervenire in una fase in cui venivano privatizzate le grandi società di servizi, trasporti, telecomunicazioni, infrastrutture. Con qualche ritardo anche in Italia venne definito un provvedimento che si ispirava alla norma del Regno Unito, in una fase in cui prendevano corpo le prime privatizzazioni (quelle delle aziende IRI) e cominciava a delinearsi l’acquisizione di autonomia della Banca d’Italia rispetto alle politiche ei spesa e di indebitamento del Tesoro.
Questa preoccupazione del politico rispetto alla perdita di controllo delle aziende “strategiche” avviate alla privatizzazione o alla globalizzazione, ossia alla loro immissione in un mercato mondiale dei prodotti e soprattutto dei capitali, ha guidato l’evoluzione delle norme sul golden power, che ogni governo di qualunque segno esso sia, considera essenziali per garantirsi un controllo sui settori strategici.
Le norme hanno subito ripetute censure da parte dell’Unione Europea, preoccupata della evidente violazione dei principi di libera circolazione dei capitali e di libero stabilimento delle imprese, che i poteri speciali dei vari governi mettevano in discussione, a favore di una visione ristretta dell’interesse nazionale e della sicurezza.
Per sfuggire a queste sacrosante critiche, i governi italiani hanno risposto estendendo i poteri di controllo e condizionamento del governo sulle operazioni societarie, in nome di un interesse superiore della sicurezza nazionale, dapprima limitato alla difesa, e poi allargato a quasi tutti i settori più importanti, dalle banche, alle telecomunicazioni, all’energia, alle infrastrutture e ai trasporti.
In parallelo all’allargamento degli spazi potenziali di intervento e di limitazione dell’autonomia imprenditoriale da parte del governo, le relazioni che esso stesso presenta al Parlamento dimostrano che l’esercizio dei poteri di veto, (la più severa forma di intervento) è rimasto assolutamente minimo, mentre qualche maggiore diffusione hanno avuto le prescrizioni.
Sembra quindi che, a fronte di una estensione del campo di azione del golden power, assai scarso sia stato l’impatto effettivo delle sanzioni. Come ebbe ad osservare Roberta Angelini nel 2019, quando raccomandava una modernizzazione del golden power, promuovendo “protocolli di intesa bilaterali da stipularsi tra la Presidenza del Consiglio quale sede del coordinamento intragovernativo funzionale all’esercizio dei poteri speciali e le singole Autorità indipendenti interessate”, a partire ovviamente dalla Consob.[1]
Nella figura che segue si può vedere come, su un totale di centinaia di segnalazioni, le prescrizioni siano state alcune decine e i veti poche unità[2].
Il golden power per il 5G
Se si analizzano gli interventi dei poteri speciali (veti, prescrizioni o raccomandazioni) conferiti al governo dalle norme golden power, si nota (figura 2) che la stragrande maggioranza degli interventi si riferiscono alla difesa, ed in particolare a Leonardo (che è già una azienda controllata dallo stato tramite la Cassa Depositi e Prestiti) e al 5G dove gli interventi cercano di limitare il ricorso alle soluzioni tecnologiche cinesi nei segmenti della rete più esposti ai rischi di intrusione malevola.
Si tratta in genere di richieste di presentazione dei piani di investimento nelle infrastrutture da parte degli operatori, a cui il governo prescrive di fare attenzione agli aspetti della sicurezza delle reti e quindi pone limitazioni e ostacoli amministrativi rispetto all’acquisizione e al posizionamento dele strumentazioni di origine cinese. [3]
La giustificazione, sul piano politico e normativo, è la sicurezza nazionale, poiché le aziende cinesi, in particolare Huawei, sono sotto osservazione per una serie di motivi, e non solo in Italia, anzi, non prioritariamente in Italia. I rischi maggiori “riguardano la compromissione della confidenzialità (ossia lo spionaggio del traffico e dei dati scambiati in rete) l’operatività di rete (ossia la disgregazione delle reti 5G) e l’integrità (ossia la modificazione o alterazione del traffico e dei sistemi informativi”[4]
La posizione di Huawei è difficile non solo in Italia. L’azienda cinese è accusata di avere una governance e una struttura proprietaria non trasparenti, di sottostare a una legislazione nazionale che comunque impone alle aziende obblighi di comunicazione con il governo che possono confliggere con le norme di tutela dei dati, della sicurezza e della privacy dei paesi in cui Huawei opera come fornitore di tecnologie di rete.
Si tratta di rischi “potenziali”, a cui in qualche misura sono soggette anche le multinazionali occidentali quando si scontrano con le esigenze della sicurezza nazionale, particolarmente negli Stati Uniti.
I tentativi di Huawei di far valere le proprie ragioni, opponendosi agli interventi discriminatori dei governi occidentali, sono in genere falliti, anche quando si appellavano ai diritti garantito dagli accordi internazionali.[5]
L’uso politico del golden power
Ci troviamo, quindi, davanti ad una “politicizzazione” nell’uso dello strumento del golden power, in particolare nell’approccio alla realizzazione del 5G. Questa politicizzazione vede il gruppo dei paesi aderenti all’alleanza per la sicurezza Five Eyes (Australia, Canada, Nuova Zelanda, UK, Usa) spingere per politiche attive di blocco dell’accesso dei produttori cinesi ai rispettivi mercati, e quindi l’inibizione potenziale dei fornitori cinesi ai mercati stessi. È di particolare interesse, da questo punto di vista, l’esperienza del Regno Unito, avviata ancora in epoca pre-brexit, con la costituzione di un centro di competenza dedicato all’analisi tecnica dei rischi dei prodotti Huawei. L’ analisi ha condotto a conclusioni drastiche sui rischi derivanti dall’utilizzo delle apparecchiature Huawei nel “core” più sensibile della rete, con la conclusione che tali rischi potessero non essere gestibili dal National Cyber Security Center. Una valutazione che, come noto, ha spinto il governo del Regno unito a bandire le apparecchiature Huawei e a rimuoverle entro il 2027.[6]
La politicizzazione, che in nostro governo ha ereditato dal precedente, prende le mosse dalle scelte strategiche americane di mettere in discussione lo sforzo cinese di raggiungere il primato nella rete di nuova generazione, ma rimane entro i limiti dell’approccio europeo di gestione del rischio.
“L’idea di limitare l’accesso al fornitore, ad es. Huawei, che offre il prezzo più basso sul mercato, è antitetica ai principi del libero mercato alla base dell’ordine economico globale. L’invocazione della sicurezza nazionale per giustificare tali mosse complica solo la questione e conferma la nostra ipotesi che il lancio del 5G sia politicizzato. Poiché la retorica della sicurezza nazionale si sta sempre più infiltrando negli affari economici globali, essendo già annunciata come un ‘passaggio a un nuovo ordine mondiale geoeconomico’, resta da vedere se i meccanismi di risoluzione delle controversie creati dall’ordine economico internazionale possano impedire agli Stati di imporre la loro volontà sui loro collegi elettorali nazionali così come sui loro partner commerciali”.[7]
Queste amare conclusioni sono ampiamente condivisibili: dei provvedimenti restrittivi, non basati sulla valutazione del rischio, beneficeranno i produttori europei, Nokia, Ericsson, ma non i consumatori e neppure le aziende di telecomunicazioni, a cui i ritardi, i maggiori costi, le inefficienze prodotte da un sistema vincolistico arrecano danni operativi e finanziari.
Note
- ) Roberta Angelini, Idee per una ‘modernizzazione’ del golden power, in: Dipartimento per la Sicurezza, Golden power, 2019. ↑
- ) Presidenza del Consiglio dei Ministri, Relazione al Parlamento in materia di poteri speciali sugli assetti proprietari nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, nonché per le attività di rilevanza strategica nei settori dell’energia dei trasporti e delle comunicazioni (Golden Power), luglio 2021. ↑
- ) Carmine Fotina, Tlc, la stretta del governo sui gestori: meno Cina e più Europa nel 5G, Il Sole 24 ore 28 aprile 2023. ↑
- ) Roxxana Radu, Cedric Ramon, The governance of 5G infrastructure: between path dependency and risk-based approches, Journal of Cybersceurity, 13 August 2021. ↑
- ) Iryna Bogdanova, Politicization of the 5G rollout: Litigation way for Huawei? EJIL: Talk!, February 10, 2023. ↑
- ) Radu, Ramon, cit. ↑
- ) Bogdanova, cit. ↑