La dichiarazione del vicepresidente della Commissione UE Neelie Kroes al convegno di Davos sulle priorità dell’agenda digitale europea e in particolare sul grave problema della mancanza di adeguate competenze ICT in Europa risuona strana nel contesto di questa campagna elettorale. Afferma la Kroes che “da qui al 2015 rischiano di rimanere vacanti fino a un milione di posti di lavoro in ambito digitale mentre, attraverso la costruzione di infrastrutture, potrebbero essere creati 1,2 milioni di posti di lavoro. A lungo termine ciò porterebbe alla creazione di 3,8 milioni di nuovi posti di lavoro in tutti i settori dell’economia.” E questo perché il digitale sta pervadendo tutti i settori produttivi e quasi tutti i lavori richiederanno una seppur minima competenza digitale. Lo spazio per gli esperti ICT diventerà sempre più ampio. Secondo la Commissione UE la carenza europea è già un’emergenza, certamente più marcata per quei Paesi che stanno più indietro, e che rischiano di zavorrare l’economia europea. L’Italia è uno di questi.
Ci si aspetterebbe allora che la campagna elettorale avesse “il passaggio al digitale” del Paese come uno dei punti centrali, pervasivo rispetto ai temi economici, sociali, culturali. E che soprattutto sotto i riflettori fossero i temi sui quali siamo più indietro rispetto agi obiettivi fissati dall’Agenda Digitale Europea: la diffusione della banda larga, la diffusione del commercio elettronico, l’utilizzo di Internet e dei servizi di e-government.
Le assenze nei programmi
Invece sono proprio questi i temi che brillano per la loro assenza nei programmi elettorali.
L’argomento “Agenda Digitale” appare in alcuni programmi, ma mai come centrale e pervasivo, strategico. Nei pochi casi in cui trova uno spazio non incidentale, è al più una delle sezioni del programma, mai presentato e trattato come fulcro strategico per lo sviluppo e per il futuro del nostro Paese. Nessuna sorpresa, e non può essere certo un caso che in Italia non ci sia ancora una strategia organica sul digitale.
Ma dopo i primi tentativi della “Cabina di Regia per l’Agenda Digitale” del governo Monti e la legge “Crescita 2.0” approvata di fretta e senza discussione parlamentare a fine dicembre ci si poteva aspettare che un po’ di maggiore consapevolezza potesse penetrare anche nella nostra classe politica.
Ma andiamo sui programmi delle coalizioni.
ñ Coalizione di centrodestra. Nel programma della coalizione (pubblicato con colori e simboli diversi da PDL e Lega) il capitolo “Agenda Digitale” c’è e riprende in buona parte quanto già presente nella proposta di legge Palmieri (poi integrata con la proposta Gentiloni), tranne per quanto concerne il commercio elettronico e l’alfabetizzazione digitale. Il capitolo è abbastanza articolato, e anche nelle altre sezioni del programma sono presenti elementi dell’Agenda (ad esempio sulle sezioni dedicate alla Scuola, alla Pubblica Amministrazione). Sembra mancare anche qui però una visione strategica d’insieme.
Coalizione di centrosinistra. Nel programma della coalizione non si citano mai termini come “internet”, “rete”, “banda larga”, “telelavoro”. L’agenda digitale è citata soltanto in un elenco di aree di investimento. La rete non entra in gioco neanche nel capitolo “democrazia”. E non va molto meglio neanche considerando i siti dei partiti maggiori della coalizione. Ma i documenti programmatici attualmente segnalati dal sito del PD mostrano la “visione” di un’Agenda Digitale vista sostanzialmente come capitolo infrastrutturale, mentre il programma di SEL, che sembra più aperto ai temi della rete e del digitale, li tratta in profondità soltanto nel capitolo “Culture” (dedicato in gran parte al settore dell’audiovisivo e dell’industria cinematografica, ed è solo qui che troviamo, finalmente, modalità innovative come il coworking).
In questi giorni il PD ha avviato una consultazione su un nuovo documento di posizionamento e proposte sul digitale. In questo documento si riprendono diverse delle misure contenute nella proposta di legge Gentiloni, e si trattano in profondità i temi della diffusione della banda larga, della connessione delle scuole, dell’open government, dello sviluppo digitale delle imprese e la correlazione con università e ricerca. Mancano ancora dei punti significativi: un approccio organico e ampio all’alfabetizzazione digitale, alla cultura digitale e a nuovi modelli di lavoro, i diritti civili digitali, la neutralità della rete, il ruolo del software libero, mentre il tema delle smart city è inserito, in modo riduttivo, all’interno della sezione “infrastrutture”. Ma è l’inizio, forse, di un cambio di approccio.
Coalizione Monti. Qui nel programma il capitolo “Agenda Digitale” è presente, ma è molto legato a quanto approvato già dal Parlamento e avviato dalla Cabina di Regia. In qualche modo si nota quasi la necessità di evidenziare l’eredità e il legame con l’attuale anche a scapito di una riflessione realmente autocritica su un risultato certamente positivo ma tutto sommato modesto, che ha prodotto “un’agenda incompleta”.
Le carenze più rilevanti, come la mancanza di misure sul commercio elettronico e sull’alfabetizzazione digitale, sostanzialmente rimangono e anche sul resto si lancia una generica “continuazione del lavoro intrapreso”. Fanno eccezione in qualche modo i temi dell’open government e degli open data, certamente i più strutturati nei lavori della Cabina di Regia.
Movimento Cinque Stelle. L’imbarazzo è per un programma sostanzialmente non aggiornato. C’è sicuramente una visione organica sui diversi temi, ma in questi anni si è andati in qualche caso più in là di quanto forse auspicato (ad esempio, di comunità intelligenti e dati aperti non c’è traccia). Altro esempio di aggiornamento necessario: nel capitolo “informazione” si chiede la copertura totale ADSL. Non a caso, nel Forum del Movimento, una delle proposte più votate del mese di gennaio è la richiesta di discutere e aggiornare il programma in forma collaborativa. Paradossalmente, l’area che aveva lanciato tra le prime la necessità di mettere al centro della politica il digitale e la rete sembra tra quelle che hanno realizzato meno elaborazioni recenti.
Coalizione Rivoluzione Civile. Il programma sostanzialmente si concentra sul fronte legalità e diritti e non vede come centrali i temi del digitale. Anche quando si tratta di lavoro, non sono considerate le nuove modalità e i nuovi modelli legati all’economia digitale. L’innovazione è citata come una delle aree su cui incentivare gli investimenti delle imprese, mentre per la rete l’unica frase è “vogliamo il libero accesso a Internet, gratuito per le giovani generazioni e la banda larga diffusa in tutto il Paese”, quasi più uno slogan che un punto programmatico.
Fare per fermare il declino. Il programma, contenuto nelle 10 proposte per la crescita, non vede centrale il tema del digitale, ma lo tratta all’interno delle proposte per rendere più efficienti i settori della Sanità, della Giustizia, e per operare una riduzione della spesa pubblica.
Quali prospettive?
Le premesse non sembrano le migliori, non tanto per la copertura più o meno alta dei temi dell’Agenda Digitale nei diversi programmi, quanto per la sua totale assenza come elemento strategico di crescita e trasformazione economico-sociale. Non a caso è anche questa la conclusione dell’Osservatorio sulle politiche per il digitale che sta analizzando i programmi e le dichiarazioni dei diversi partiti “si può affermare che: nessun partito ha una visione politica complessiva del settore digitale; le divergenze non sono solo sul tipo di azioni da intraprendere ma anche su quali siano i problemi da affrontare.”
L’impressione è che le (poche) competenze presenti nelle diverse forze politiche non abbiano lo spazio e il peso che sarebbe necessario per introdurre un cambio radicale di prospettiva sul digitale. Poiché questo problema è abbastanza trasversale, ecco che allora il percorso più efficace può essere quello di favorire la crescita di consapevolezza generale mettendo a fattor comune le idee, le proposte e le energie dei singoli parlamentari convinti della strategicità del digitale. Il successo che sta avendo l’iniziativa della Carta d’Intenti per l’Innovazione, una piattaforma di dieci priorità programmatiche promossa dalla società civile su cui si stanno impegnando parlamentari di tutte le aree politiche, indica forse un percorso, da consolidare magari in un intergruppo parlamentare con un colloquio sistematico con imprese, università e ricerca, cittadini. E quindi con la necessaria pressione e con l’adeguato sostegno della società civile.
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