Si è appena concluso il Consumer Electronic Show 2018 di Las Vegas, principale evento mondale dell’industria elettronica e delle tecnologie dell’informazione. Due aspetti emergono con evidenza e stimolano una riflessione.
Il primo: la concentrazione degli investimenti nel settore dell’Intelligenza Artificiale su aree dove il “cognitive computing” si avvia a estendere le capacità delle macchine fino a riconoscere le nostre “emozioni”, fino a farle diventare “capaci di emozioni” (es. il robot Forpheus presentato al CES dalla Omron). Perché insistere in questa direzione quando sappiamo da molto tempo che questa capacità umane sono basate proprio sul nostro rapporto con gli altri, sulla interazione dei nostri sensi con il mondo? Perché invece non indirizzare gli sforzi verso ausili (anche cognitivi) per gli umani? Perché cercare di far emulare le nostre emozioni dalle macchine invece di insegnare alle macchine ad aiutarci a vivere meglio le le nostre emozioni? In altre parole, pensiamo a tecnologie centrate più sull’umano che sulle tecnologie stesse.
Il secondo: l’industria elettronica insiste a non cogliere uno degli aspetti fondamentali dello scenario dei prossimi anni, ovvero il cambiamento climatico e i limiti del pianeta. Pochissimi si stanno chiedendo fino a quando dureranno le “terre rare” necessarie per produrre chip, oppure stanno predisponendo dispositivi adatti alla prossima economia circolare, quindi riciclabili, riparabili, destinati a durare molti anni. Questo è uno degli aspetti affrontati nel libro appena uscito “Slow Tech and ICT” (Palgrave, 2018)
Guardando all’ultimo rapporto di Greenpeace su questi temi sembra che solo la piccola olandese Fairphone abbia seriamente accettato questa sfida, mentre i titani continuano a sfornare continuamente gadgets insostenibili ambientalmente.
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