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Make or buy: strategie per realizzare il datacenter regionale



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Le amministrazioni regionali devono scegliere tra gestione interna, esternalizzazione o coproduzione per realizzare datacenter Tier III. L’analisi esamina tre modelli italiani (CSI Piemonte, Lepida e Marche), valutando vantaggi e criticità di ciascuna strategia per l’innovazione digitale della pubblica amministrazione

Pubblicato il 6 nov 2024

Michela di Matteo

Responsabile Ufficio gestione contrattuale lavori pubblici, Consiglio Regionale Regione Toscana

Niccolò Cusumano

Associate Professor of Practice Government Health and Not for Profit, SDA School of Management



data center (1)

Molte amministrazioni regionali a partire dalla fine degli anni Novanta hanno avviato modelli organizzativi fondati sulla cooperazione e sulla compartecipazione con altri enti, capaci di produrre e sostenere i processi di innovazione. Tali modelli hanno avuto come presupposto la realizzazione di datacenter (DC) con cui potere erogare i servizi alle pubbliche amministrazioni stesse, alle imprese e ai cittadini.

Datacenter regionali: la scelta delle amministrazioni

L’evoluzione tecnologica, la crescita della domanda di servizi digitali, ma anche le nuove esigenze di sicurezza, impongono nuovi investimenti, per cui le Amministrazioni si trovano di fronte alla scelta se mantenere “in house” l’infrastruttura tecnologica, aggiornandola e potenziandola, oppure rivolgersi a soluzioni di mercato.

Prendiamo il caso di un ente che per soddisfare i propri bisogni in continuità con gli investimenti già operati, intendesse procedere al potenziamento delle infrastrutture IT già presenti e all’ampliamento dei servizi erogati attraverso la realizzare un nuovo DC, che rispetti i parametri previsti dal certificato TIA 942 con livello almeno Tier III[1]. L’ipotetico ente si troverebbe di fronte a diverse ipotesi realizzative che si propone quindi di illustrare tracciando un possibile metodo di lavoro. L’approccio è fondato, in primo luogo, su un’analisi di mercato raccogliendo delle esperienze emblematiche su diverse modalità di realizzazione e gestione dell’infrastruttura, in secondo luogo su una valutazione di make or buy e la definizione di possibili strategie di acquisto nel caso di buy.

Tre modelli italiani: CSI Piemonte, Lepida e Marche

Le esperienze analizate sono: il Consorzio per il Sistema Informativo della Regione Piemonte, Lepida s.c.p.a. della Regione Emilia-Romagna, Regione Marche.

Il CSI della Regione Piemonte

Il CSI della Regione Piemonte affonda le sue radici “Consorzio Piemontese per il trattamento automatico dell’informazione”, fondato nel 1977 dalla Regione Piemonte, dal Politecnico e l’Università di Torino, con l’idea di modernizzare la pubblica amministrazione creando un sistema informativo regionale unificato. 

Il DC primario, che soddisfa i requisiti del TIA-942 Rating 3, è situato a Torino in un immobile di proprietà del Comune, affidato in gestione al CSI. La progettazione e la realizzazione dei lavori per DC è stata eseguita dal CSI.

Lepida della Regione Emilia-Romagna

Lepida della Regione Emilia-Romagna è una società a totale ed esclusivo capitale pubblico, di cui la regione detiene il 95% delle quote. I DC sono stati realizzati con interventi di ristrutturazione di immobili esistenti di proprietà di alcuni comuni che hanno appaltato direttamente i lavori utilizzando finanziamenti regionali. La gestione degli immobili è affidata Lepida, che esegue manutenzione ordinaria e straordinaria.

Per la realizzazione delle infratrutture IT e la gestione dei servizi è stato impiegato un modello innovativo di PPP di sostenibilità in “condominio”, con una quota di finanziamento una-tantum e la compartecipazione pro-quota ai costi d’esercizio da parte dell’operatore economico, in cambio della possibilità di utilizzo di uno spazio per le proprie finalità commerciali.

Regione Marche

Regione Marche eroga direttamente, servizi ICT a PA, a cittadini ed ad imprese. Il suo percorso prende avvio dalla fine degli anni novanta con il potenziamento e l’evoluzione delle infrastrutture IT e la realizzazione del primo DC Tiziano, il progetto Marcheway con cui è stata messa in opera una rete a ponti radio su frequenze libere con dorsali di distribuzione su frequenze dedicate, il progetto Mcloud, che ha visto l’implementazione di un cloud unico composto da un cloud di natura pubblica e un cloud di natura privata deputato ad erogare servizi alle imprese, la realizzazione del nuovo DC Sanzio, che è diventato il data center di DR e business continuity del sistema regionale.

Analisi make or buy e definizione delle strategie di acquisto

Per il soddisfacimento dei fabbisogni dell’ipotetico ente è necessario procedere alla progettazione, all’acquisizione del terreno e alla realizzazione dell’edificio con caratteristiche idonee a soddisfare i parametri previsti dal certificato ANSI/TIA 942 Tier 3, all’affidamento del servizio di manutenzione dell’edificio, alla progettazione e alla fornitura delle infrastrutture IT da collocare nell’edificio, all’affidamento del servizio di gestione del nuovo DC comprensivo dei servizi rivolti agli enti del territorio.

Le alternative: make, buy e coproduzione

Sono stati considerati tre diversi scenari: make, buy e coproduzione con diverse soluzioni alternative, rispetto alle quali è stata condotta l’analisi swot determinando punti di forza, di debolezza e condizioni di successo.

Le soluzioni adottate dalle regioni Piemonte, Emilia-Romagna e Marche

Le soluzioni adottate dalle regioni Piemonte, Emilia-Romagna e Marche percorrono con le loro specificità questi differenti scenari.

L’esperienza del Consorzio per il Sistema Informativo della Regione Piemonte, incarna il modello della coproduzione, ovvero più soggetti istituzionali che collaborano per realizzare un investimento. In questo caso l’attore principale è il Consorzio stesso che esegue in proprio molti servizi, ha a disposizione un ufficio tecnico per la progettazione, appalta lavori, forniture e servizi in una logica “unbundled”.

Nel caso della Regione Emilia-Romagna – Lepida, gli appalti relativi alla progettazione e all’esecuzione dei lavori sono stati gestiti separatamente dai quattro comuni (Ferrara, Modena, Parma, Ravenna) soci della società in house che hanno reso disponibili tali immobili per la realizzazione dei data center e che li hanno affidati in gestione alla società stessa. La fornitura/sostituzione delle infrastrutture IT, i servizi di gestione dei data center e i servizi di manutenzione dell’edificio sono stati affidati da Lepida tramite un PPP.

La Regione Marche, invece, agisce direttamente eseguendo appalti distinti di tipo tradizionale, per l’esecuzione delle diverse prestazioni.

I tre scenari

Si possono quindi ipotizzare i seguenti scenari:

Make con affidamento a società in house regionale

MAKE – con affidamento a società in house regionale. Tale soluzione presenta come punti di forza il know-how del sistema pubblico, la capacità di governance, una migliore flessibilità capacità di risposta rapida in caso di modifiche con controllo diretto sui tempi, flessibilità. Il punto di debolezza è costituito dai vincoli assunzionali, di bilancio per la realizzazione di investimenti e di gestione degli affidamenti di natura pubblicistica che ricadono su queste società, ponendole in condizioni di svantaggio rispetto a società private. L’affidamento diretto a società in house richiede l’adozione di un provvedimento motivato in cui si dia conto “dei vantaggi per la collettività, delle connesse esternalità e della congruità economica della prestazione, anche in relazione al perseguimento di obiettivi di universalità, socialità, efficienza, economicità, qualità della prestazione, celerità del procedimento e razionale impiego di risorse pubbliche”. Nel caso di prestazioni strumentali, il Codice precisa che “il provvedimento si intende sufficientemente motivato qualora dia conto dei vantaggi in termini di economicità, di celerità o di perseguimento di interessi strategici”.

BUY, affidamento all’esterno

BUY – affidamento all’esterno della realizzazione dell’investimento e della gestione dei servizi. A questo scopo si possono identificare due sotto scenari, a seconda che si opti per una soluzione più di tipo tradizionale, in cui si affida separatamente la realizzazione dell’investimento e poi i servizi, oppure una soluzione “chiavi in mano:

  • La soluzione tradizionale (B1) comporta l’affidamento di più contratti (e quindi l’espletamento di altrettante procedure). Adottando questa la PA può operare il controllo integrale su progettazione ed esecuzione dei lavori. È, inoltre, possibile avere una maggiore precisione delle stime economiche con conseguente riduzione dei costi. Altro punto di forza è rappresentato dalla maggiore specializzazione degli operatori economici che saranno aggiudicatari dei diversi appalti. I punti di debolezza sono legati ai tempi incerti legati alla conferenza dei servizi e all’espletamento della procedura di gara.
  • Una soluzione “chiavi in mano” (B2) presenta il vantaggio di affidare a un unico soggetto (in forma singola o consorziata in un’ATI, un unico contratto per la realizzazione e gestione dell’infrastruttura e se del caso l’erogazione anche di alcuni servizi. Lo svantaggio di questa soluzione potrebbe risiedere nella sensazione di un minore controllo rispetto a quello che è il valore dei singoli fattori che compongono il contratto, o una minore concorrenza sul mercato. Svantaggi che in ogni caso possono essere limitati con una buona progettazione della gara..

In generale propendere per una soluzione buy comporta vantaggi legati alla specializzazione produttiva e al know how del fornitore, che garantiscono alta qualità delle prestazioni e tempi brevi per lo sviluppo di prodotti/servizi.

Uno scenario buy richiede ovviamente l’affidamento di uno o più contratti. Lo scenario B.1, di tipo tradizionale, sarà tendenzialmente realizzato attraverso dei contratti di appalto. Lo scenario B.2 potrebbe essere invece realizzato o attraverso una concessione / PPP. Rispetto all’appalto tradizionale il PPP prevede il finanziamento dell’investimento in tutto o in parte attraverso capitali privati e il trasferimento del rischio operativo all’operatore economico. Con una maggiore responsabilizzazione, quindi, del privato verso il conseguimento del risultato e maggiore certezza nei costi e tempi di realizzazione.

Coproduzione

COPRODUZIONE. In questo scenario l’Ente collabora con un altro soggetto pubblico che intende intraprendere o abbia intrapreso un percorso analogo per lo sviluppo dello stesso obbiettivo. Le esperienze, le buone pratiche, il personale a disposizione, il know how, la competenza, ma anche i beni immobili possono essere condivisi dagli enti al fine di raggiungere lo stesso obbiettivo e questo rappresenta un punto di forza di tale configurazione.

La coproduzione prevede alcune specificità fissate dalla norma. l Codice dei Contratti all’art. 7 c.4 specifica, infatti, che un accordo di cooperazione tra amministrazioni:

  • interviene esclusivamente tra due o più stazioni appaltanti o enti concedenti, anche con competenze diverse;
  • garantisce la effettiva partecipazione di tutte le parti allo svolgimento di compiti funzionali all’attività di interesse comune, in un’ottica esclusivamente collaborativa e senza alcun rapporto sinallagmatico tra prestazioni;
  • determina una convergenza sinergica su attività di interesse comune, pur nella eventuale diversità del fine perseguito da ciascuna amministrazione, purché l’accordo non tenda a realizzare la missione istituzionale di una sola delle amministrazioni aderenti;
  • le stazioni appaltanti o gli enti concedenti partecipanti svolgono sul mercato aperto meno del 20 per cento delle attività interessate dalla cooperazione.

La giurisprudenza sul tema

Sul tema nel corso degli anni è intervenuta una corposa giurisprudenza[2] per cui in sintesi:

  • l’attività oggetto di accordo non deve essere economica e l’amministrazione giudicatrice non si deve comportare come un’impresa. Il che significa che i soggetti, tra cui intercorre l’accordo, abbiano un obbligo funzionale / legale a prestare un determinato servizio e che l’attività in oggetto sia legata intrinsecamente al servizio pubblico indipendentemente dal fatto che sul mercato esistano o meno soggetti che svolgano prestazioni simili;
  • l’attività oggetto della cooperazione deve essere comune a tutti i soggetti aderenti;
  • la cooperazione non deve avvenire con lo scopo di circonvenire le norme sui contratti pubblici;
  • la relazione non si deve configurare come una relazione contrattuale tra soggetti in cui vi sia un interesse pecuniario (il contratto non deve essere oneroso, non vi deve essere un rapporto sinallagmatico, non vi deve essere la possibilità di influenza determinante sull’oggetto del contratto unilaterale da parte di un soggetto, non vi deve essere un beneficio economico diretto). Questo significa che la cooperazione non deve sostanziarsi in un rapporto in cui un soggetto si limiti a corrispondere delle risorse (anche solo sotto forma di ristoro dei costi o scambio di servizi) a un altro per riceverne in cambio una controprestazione. Sebbene non sia necessario che tutti prestino congiuntamente l’attività deve esserci perseguimento di un obiettivo comune al cui raggiungimento contribuiscono tutte le parti coinvolte;
  • la cooperazione non è istituzionalizzata, non prevede quindi creazione di soggetto ad hoc.

Vale, infine, quanto affermato il considerando 31 della Direttiva 2014/24/EU per cui “si dovrebbe garantire che una qualsiasi cooperazione pubblico-pubblico esentata non dia luogo a una distorsione della concorrenza nei confronti di operatori economici privati nella misura in cui pone un fornitore privato di servizi in una situazione privilegiata rispetto ai suoi concorrenti”

La nozione di collaborazione non ha quindi limiti netti e la legittimità dell’accordo richiede una valutazione caso per caso che guardi all’oggetto concreto e alle finalità e modalità di cooperazione. È bene sottolineare che la disciplina delle collaborazioni ha delle ricadute non solo in termini di normativa appaltistica, ma anche di disciplina sugli aiuti di stato. Le valutazioni di legittimità non possono prescindere da valutazioni di opportunità rispetto alle dinamiche più generali di rapporti pubblico-privato, IT In house e mercato.

Rischi e opportunità delle scelte realizzative

La PA si trova confrontata continuamente di fronte a numerose scelte realizzative. Ognuna presenta, ovviamente rischi e opportunità. È bene quindi che innanzitutto le Amministrazioni procedano ad enucleare chiaramente le diverse opzioni, senza preconcetti, in secondo luogo identifichino quelli che sono i punti di forza e di debolezza, i fattori critici di successo e le condizioni di realizzazione, in terzo luogo valutino quale delle opzioni sia meglio in grado di conseguire gli obiettivi dell’Amministrazione e quindi rispondere all’interesse pubblico.

Note


[1] Con determina dell’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale del 18 gennaio 2022 sono stati aggiornati i livelli di sicurezza capacità elaborativa ed affidabilità delle infrastrutture digitali per la PA. In particolare l’art.3 dell’Allegato 1 individua i livelli minimi di sicurezza, capacità elaborativa, risparmio energetico e affidabilità. Per i dati e i servizi classificati come critici, quali quelli gestiti in un DC regionale è previsto che l’infrastruttura digitale aderisca ai parametri del certificato TIA 942B con rating “Concurrent maintainability” oppure a quello di Tier III dell’Uptime Institute.

[2] Vedi in particolare le sentenze della Corte di Giustizia nelle cause C-352/12; C-796/18; C-429/19

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