Con la pubblicazione dell’ultimo bando infrastrutturale per le reti ultraveloci da parte di Infratel siamo entrati nella fase della predisposizione delle proposte, entro fine aprile, per poi dare avvio ai cantieri all’inizio del secondo semestre del 2022.
A questo punto si aprirà la corsa contro il tempo per rispettare la scadenza del 2026, che accomuna la maggior parte delle opere infrastrutturali legate alle reti ultraveloci previste all’interno del Piano Italia digitale 2026. La posta in palio è di circa 6,3 miliardi di euro, da consuntivare in quattro anni. E il settore lancia l’allarme: mancano 20.000 risorse umane necessarie per realizzare il piano di sviluppo delle nuove reti.
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Il grido di allarme delle imprese di rete
L’argomento è stato richiamato più volte nel 2021, ma con la pubblicazione dei bandi è tornato alla ribalta e la Federazione ANIE, che riunisce i principali System Integrator che realizzano le reti di telecomunicazioni, ha lanciato un grido di allarme riguardo alla carenza di 20.000 risorse umane necessarie per realizzare il piano di sviluppo delle nuove reti, da parte di un comparto che ha fatturato nel 2020 2,5 miliardi di euro e impiegato circa 30.000 addetti diretti. Le 20.000 risorse che mancano all’appello sono costituite da progettisti, addetti agli scavi, alla giunzione delle fibre ottiche, fino agli antennisti e ai tecnici specializzati nell’integrazione delle stazioni radio base.
Per avere un’idea dello sforzo richiesto, il settore ha realizzato nel 2020 una copertura di circa 3 milioni di unità immobiliari, che sono salite a fatica a 3,5 milioni (considerato il limite della capacità produttiva) nel 2021, un valore largamente inferiore alle richieste del mercato. Secondo alcuni System Integrator, per fare fronte alle richieste dei soli rilegamenti in fibra ottica FTTH servirebbe aumentare la capacità produttiva fino a 4-5 milioni di unità immobiliari all’anno per i prossimi cinque anni. Senza contare gli altri interventi.
La ricerca delle possibili soluzioni
Il problema da affrontare rimane molto complesso e rientra in un classico ambito di ottimizzazione e sviluppo di risorse scarse.
Aumentare l’efficienza
Di conseguenza, una prima strada è quella di cercare di fare di più con quanto disponibile, aumentando l’efficienza. Pensando alla lunghezza e farraginosità di molti dei processi sperimentati negli ultimi piani, lo spazio di miglioramento rimane ampio e l’evoluzione della normativa di riferimento dovrebbe aiutare. Non bisogna demordere, ma è difficile essere ottimisti pensando all’iter per la sincronizzazione delle richieste e l’ottenimento dei permessi. Il punto di partenza rimane però il rigoroso rispetto delle semplificazioni previste dalla normativa da parte delle amministrazioni pubbliche, ma anche l’ulteriore coinvolgimento di tutti gli attori interessati nell’ambito di un processo unitario vincolato a tempistiche definite.
Formazione delle professionalità
Un secondo aspetto riguarda la formazione delle professionalità necessarie, sulle quali stanno investendo le imprese di rete e sono nati negli ultimi anni nuovi attori che hanno puntato in particolare sulle attività di progettazione, non solo di telecomunicazioni. Lo stimolo e il finanziamento di piani di formazione mirati sono sicuramente una strada da percorrere e del resto, all’interno dei bandi si richiede espressamente di avviare nuovi processi formativi.
Le preoccupazioni maggiori non sembrano però necessariamente relative alle attività più qualificate, ma bensì alla disponibilità della manodopera per le attività di costruzione delle reti. In questo caso, siamo di fronte al tradizionale problema di incontro tra domanda e offerta. Il settore delle telecomunicazioni compete con gli altri settori e in particolare quelli delle grandi infrastrutture (elettriche, ferroviarie, impiantistiche), in un confronto che presenta sempre di più anche aspetti sovrannazionali e la possibilità di attingere a manodopera da altri Paesi, in particolare all’interno dell’Unione europea. Tuttavia, ad oggi i prezzi di riferimento nelle telecomunicazioni non sembrano tali da attrarre risorse da altri comparti e, tanto meno, da altri Paesi. Inoltre, potrebbe rimanere il problema della “coperta troppo corta” per soddisfare l’insieme delle richieste provenienti dai progetti previsti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.
Cinque piani infrastrutturali in parallelo
I cinque piani che devono portare al completamento delle reti ultraveloci nel nostro Paese riguardano sia le reti fisse (Italia a 1 Giga, con 3,7 miliardi di euro per circa 7 milioni di civici nelle aree grigie), che quelle mobili (Italia 5G, 2 miliardi per il backhauling di oltre 11.000 siti e nuovi siti in circa 3.000 aree), nonché l’infrastrutturazione delle scuole (Piano Scuola, 184 milioni di euro per oltre 10.000 sedi scolastiche) e delle strutture sanitarie (387 milioni di euro per oltre 12.000 strutture) e, infine, il Piano Isole minori (45 milioni di euro). Al netto del collegamento delle isole minori da completare entro l’anno prossimo, le altre opere andranno completate entro metà 2026.
La tensione sui tempi è legata innanzitutto alla disponibilità delle risorse finanziarie e alla necessità di rispettare le scadenze previste con la Commissione europea, ma anche alla consapevolezza che la maggior parte dei Paesi europei ha avviato progetti di trasformazione digitale, che sono alla base dello sviluppo e della competitività dei propri sistemi economici e sociali.
Non meno importante è però ricordare come questi progetti siano complementari rispetto agli investimenti previsti dagli operatori privati per completare, di fatto nello stesso periodo, i propri piani infrastrutturali legati alle reti fisse (Fiber To The Home, FTTH, e Fixed Wireless Access, FWA) e mobili (5G).
E dopo?
Un argomento che è, infine, sicuramente trascurato riguarda il “dopo”. In altri termini, anche ipotizzando di reperire la quantità e qualità delle risorse necessarie, cosa accadrà al completamento delle opere infrastrutturali? Di fatto, ritardi inclusi, entro la fine del decennio le opere saranno completate e non si prospettano grandi interventi infrastrutturali per un lungo periodo. Di conseguenza, è altrettanto importante porsi il problema della “riconversione” delle risorse umane, che richiede una visione di sistema e il coinvolgimento dell’insieme delle infrastrutture di rete e delle aziende che le realizzano. Oggi per allora.
Se si aggiungono gli investimenti che i System Integrator sono chiamati a fare per dotarsi dei mezzi necessari alla realizzazione delle opere pianificate, nonché le preoccupazioni legate alle tensioni congiunturali legate al costo delle materie prime e dei carburanti diventa più che legittima la richiesta delle imprese del settore di apertura di un tavolo di confronto tra i diversi attori interessati.
La strada rimane lunga e sicuramente molto tortuosa.