Memory squad - 23° PUNTATA

Mani

Cronache dal futuro, a cura del docente visionario Edoardo Fleischner (Comunicazione crossmediale all’Università degli Studi di Milano, ma anche progettista crossmediale) per Agendadigitale.eu

Pubblicato il 04 Apr 2014

Edoardo Fleischner

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Maatha Ghann con gesto abusato regolò il seggiolino tre centimetri più in su e volò le mani sul pianoforte immateriale. L’anfiteatro silenziò. Sospese il fiato. Interruppe il suo essere. Irrorato da un allegro scherzando. A mille chilometri di distanza il maestoso piano a coda vibrava nella casa di riposo per anziani musicisti. Vibravano le vetrate decorate. Sorridevano gli anziani ospiti. Abituati ai silenzi. Sul palcoscenico la pianista virtuosava, nella saletta lo strumento reale picchiettava i martelletti. La musicista si donava ad una platea, lo strumento a un salotto. Entrambi suonavano per gli infiniti spettatori ascoltanti in ogni angolo della Galassia. La nuova arte era quella di connettere uno strumento alla Memoria Simbiotica, la memoria reticolare di un grande musicista. Almeno una volta all’anno, per mantenerne il legame. La Memoria Simbiotica si conquistava per meriti, per cumolo di consensi. Se un musicista avesse suonato senza Memoria Simbiotica connessa, senza tutti i propri neuroni e sinapsi devoluti allo strumento e alla partitura, lo strumento si sarebbe dissolto alla prima nota. Era una simbiosi totale e mortale. Era uno status elitario. Status della musica sublime. Era prima del Grande Ictus Mnemonico.

Sera torrida senza alcuna tregua. La climatizzazione pompava temperature e sapori di primo inverno. Trentatré minuti dopo il Grande Ictus Mnemonico, iniziava un concerto al Grand Music Palace di Niamey. La sfolgorante pianista Maatha Ghann avanzò nel fitto applauso. Si inchinò davanti ai trecentomila spettatori. Regolò il seggiolino tre centimetri più in su. Appostò le dita sopra la testiera invisibile. Calò pollice, medio e mignolo di entrambe le mani per l’accordo iniziale alzando il viso verso le stelle. Non un suono. Non una vibrazione. Non una percussione. Tremilaseicento chilometri più a nord gli anziani maestri videro il pianoforte gran coda da concerto scomparire come per un atto di magia. Nera. Piansero insieme. La consolazione è la sublimazione della morte. La sala in penombra. Dove c’era il magnifico piano a coda solo il palquet, il cerchio di luce elargito del lampadario sovrastante e una fine corda d’acciaio, ricoperta in rame, attorcigliata su se stessa.

“Vanno salvati gli strumenti musicali, le loro rispettive memorie simbiotiche e vanno portate fisicamente, una ad una, ai rispettivi maestri esecutori!” Stravolto, supplicante, imperativo e inappellabile. Il Primo Tutor della Galassia, per la Costituzione delegato alle arti, ordinava l’impossibile: “Vanno salvati almeno i primi mille strumenti. La disconnessione delle memorie, a causa del Grande Ictus Mnemonico, li ha resi orfani!”

“È un compito immane… La galassia è immensa… vuol dire una Memory Squad per ogni maestro e ogni suo strumento simbiotico!” punteggiava ad alta voce Akila Khaspros, comandante della Memory Squad 11. Gli agenti la guardavano motivati ma già scoraggiati. Il bus rosso a due piani, sede di copertura della squadra era una fornace. Nello schermo sospeso della Memory Squad 11 il pianoforte gran coda da concerto corrispondeva a un buco nero ormai.

Il violino Cremonensis era sospeso a mezz’aria. Riposava pluricentenario, godendosi il giardino all’italiana, rosato dal tramonto incipiente, oltre i finestroni pazienti. Il violino Cremonensis pregustava il concerto della sera. Aveva ancora dodici ore di assoluta tranquillità. Hun Pen Pun, suo primo-violino-solista-in-simbiosi-mnemonica, non provava mai nella giornata precedente il concerto. Come da tradizione, ben nota ai suoi miliardi di fan.

“Abbiamo individuato ora la nostra coppia musicale simbiotica!” trionfò Sama Hargo, analista del linguaggio e delle memorie della squadra. “Dobbiamo fisicamente portare la memoria simbiotica del violino di maggior valore al mondo al suo maestro. Il maestro non sa ancora che alla prima nota, senza memoria simbiotica, il violino, distante in realtà solo dieci chilometri dalla sala dove si esegue il concerto, si distruggerebbe da solo”.

Correvano i sei agenti per i corridoi rimbombanti. Attraversavano le sale dormienti. Sui tappeti felpanti. Dietro i paraventi silenti. Specchiati. Stupiti. Nell’oro incorniciati. “Occhio ragazzi, è un palazzo reale, ogni oggetto vale un tesoro!” Ripresero fiato davanti al capolavoro del liutaio Cremonensis. Ipnotizzati dell’esemplare più costoso della storia. Ammaliati dal suo profumo. “Incredibile un violino che respira…” “Con l’archetto che gli fa compagnia…” “Non si preoccupi, siamo gli agenti della Memory Squad 11, dobbiamo caricare la memoria simbiotica e trasportala fisicamente al maestro Hun Pen Pun” spiegò la comandante Khaspros alla giovane guardiana, silenziosa, estratta allo scoperto dal loro chiacchiericcio. “Cercate la memoria simbiotica!” continuò la Khaspros ai suoi. “Dovrebbe essere collocata fra la mentoniera e la cassa” spiegò l’agente Sama Hargo. Il rilevatore accostato con cura alla cassa non restituiva alcun segnale. “Non c’è la memoria…” “Forse va staccata la mentoniera…” La giovane guardiana si avvicinò al violino e all’archetto, come per ispezionarli. Li afferrò al volo. Sfrecciò nel reticolo di sale, salotti, corridoi e anticamere. “È una pazza! Una ladra! Prendetela…! Altrimenti sarà la fine per quel violino!” Gli agenti inseguivano. La giovane appariva oltre una vetrata nel lato opposto del chiostro. Gli agenti deviavano. La giovane giù per lo scalone d’ingresso. Mancava un’ora all’attacco del maestro. La giovane ghiaiava nel labirinto all’italiana dagli alti cespugli sagomati. Gli agenti seguivano la capigliatura riccia e sporgente. L’infinita discesa verso la citta brulicante. Le strade illuminate. Le sagome in corsa. Il violino e l’archetto sprezzanti dei gradini improvvisi. Dei passanti distratti. Dei veicoli in decollo. Dei ciclisti roteanti.

L’orchestra entrò fra applausi abbondanti. Il direttore Ashin Asthani seguì fra applausi scroscianti. Indicò la prima violino solista Hun Pen Pun fra applausi idolatranti. Nel silenzio assoluto. Attaccò l’orchestra. La musica portava il senza tempo e il senza rabbia nella platea in sala e in quella estesa di oltre tre miliardi di esseri viventi e umanidi. Primo movimento. Secondo movimento. Al terzo movimento, all’occhiata del direttore Ashin Asthani, la prima violino solista Hun Pen Pun si alzò. Fra il mento e la spalla sinistra, nell’incavo vuoto aleggiava un violino invisibile, come tutti gli strumenti dell’orchestra, ora nel pieno di un andante con moto. Tutti avevano recuperato le memorie simbiotiche, meno l’ignara Hun Pen Pun. La giovane guardiana superò i tre gradini con un balzo e le porse il violino e l’archetto. La prima violino solista Hun Pen Pun si stupì. Lo afferrò. Suonò.

La giovane guardiana aveva custudito, da sempre, il violino, l’archetto e la “clausola”: lo strumento sarebbe scomparso, senza memoria simbiotica connessa, salvo suonarlo direttamente con le proprie mani.

(23-continua la serie. Ogni episodio è “chiuso”)

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