La proposta

Marchiori: “Italia digitale 2020, gli errori da evitare”

Attenzione alla Scuola, non bistrattiamola, non trascuriamo i docenti. Mettiamo un freno alla burocrazia e alle “tasse mortali” come quella sui cellulari e l’equo compenso. Non limitiamoci a dare open dati non strutturati. La seconda puntata dei consigli del noto scienziato

Pubblicato il 12 Apr 2013

Massimo Marchiori

università di Padova

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Continuiamo il viaggio verso l’Italia Digitale 2020: dopo i suggerimenti sulle “cose da fare” della scorsa parte, quattro punti focali sulle cose da non fare.

1. L’iceberg della Conoscenza

L’errore più grande che si possa fare è guardare solo alle parti più “alte” e visibili della conoscenza e della ricerca, come Università, le startup, le aziende.

Ma queste sono solo la punta dell’iceberg, che sta sopra l’acqua perché supportato da tutto quello che c’è sotto.

L’Università è l’atto finale di un processo, quello formativo, che poi porta le persone nelle startup, nelle aziende, nella società. Ma il vero iceberg sta dietro, nelle scuole. I docenti delle scuole hanno un compito, cruciale, quello di formare delle persone, dargli cultura, trasmettergli il piacere della conoscenza. Quando poi un ragazzo arriva all’Università, è praticamente già formato come persona, il lavoro più duro lo fanno quindi i docenti delle scuole pre-universitarie. Che sono stati, molto più dei docenti universitari, bistrattati e umiliati da ogni punto di vista. Ed anche qui vale il discorso sul lungo termine, e su cosa diventerà la scuola andando avanti così. Trattiamo meglio i nostri docenti delle scuole, ora, non quando sarà troppo tardi: la loro importanza è maggiore di ogni docente universitario, o startupper, o azienda, perché il lavoro più duro è il loro, e tutto si basa sul loro entusiasmo, sulla passione e conoscenza che riescono a trasmettere ai ragazzi, la mente del prossimo mondo.

Bistrattare la scuola è l’equivalente per la società dell’innalzamento della temperatura mondiale, il “global warming”: gli effetti sono sul futuro, sul clima della conoscenza, tanto importante come quello del pianeta. E se la temperatura sale, e si scioglie l’iceberg, anche la punta affonda.

2. Il Tempo non esiste

Un altro errore da non fare è solo quello di considerare indicatori economici diretti. Ad esempio, il costo delle startup va certamente diminuito tendendo allo zero. Ma quale costo? Le tasse? Il denaro diretto è solo una fonte di costo. Un altro costo indiretto che viene invece quasi sempre sottovalutato è un altro, il tempo. Il tempo è denaro, e deve essere tra i fattori di costo considerati nell’ottica del progresso digitale. Ad esempio, tornando alle startup, la normativa vigente alle volte sfiora il ridicolo, costringendo a fare i salti mortali, ed a spendere risorse sia economiche che di tempo, solo per avere una startup completamente “a norma”. Una startup o azienda non possono, nel futuro, pagare costi così alti per la burocrazia: ogni sconto sul denaro diretto servirà a poco, se non si capisce l’immenso valore del tempo per il nostro futuro.

3. Open Big Ferrovecchi

Abbiamo già parlato dell’importanza degli Open Big Data nella parte 1 di questi suggerimenti (“le cose da fare”).

Attenzione comunque a rendersi conto di cosa sono veramente gli Open Big Data. Spesso ci si ferma alla parola Open Data: dati aperti. E quindi, sembra basti prendere un po’ di dati, e renderli pubblici ed aperti a tutti. Open sono open Data sono data. Il mio dovere l’ho fatto.

Nulla di più sbagliato e limitativo. I veri Open Big Data del futuro hanno due caratteristiche essenziali. Primo, sono strutturati. Non sono una caterva di dati ammucchiati alla rinfusa, senza capo nè coda, ognuno con il suo micro-formato che mi obbliga a cambiare digestione per assimilarlo. Secondo, sono attuali: i dati tipicamente cambiano, sono dinamici perché riflettono quello che rappresentano, e quindi devono essere aggiornati, costantemente.

Senza queste due caratteristiche, gli Open Big Data servono a poco: fanno bella mostra di sè come etichetta, ma nella sostanza sono ferrovecchi, informazione vecchia e malridotta che difficilmente può essere usata per costruire il futuro.

4. Le Tasse Mortali

Le tasse sono un “male necessario”, ovviamente: senza tasse non si costruisce una società. Però ogni tassa ha un effetto, che va attentamente considerato. E nel caso dell’innovazione digitale del prossimo futuro, due tasse sono particolarmente perniciose, due vere e proprie tasse mortali per l’innovazione.

La prima, si collega ad un ambito dove l’Italia primeggia: siamo tra i primi al mondo per numero di dispositivi mobili. Questo ci dà un certo vantaggio competitivo rispetto ad altri paesi, e ci rende pronti per le prossime rivoluzioni digitali, in cui saremo appunto always-connected, sempre connessi. Ma non basta avere un apparecchio mobile per poterlo usare, occorre togliere di mezzo le barriere che ci impediscono di farlo. Ed una grande barriera è una tassa, la cosiddetta TCG, Tassa di Concessione Governativa, una tassa sugli abbonamenti alla telefonia mobile, frutto ancora di un mondo obsoleto dove avere un cellulare era un lusso. Ma ora non è più così, un cellulare è una chiave verso il mondo, un collegamento informativo, non un lusso. E la cosa che lo rende unico è il trasformarci in essere always-connected, sempre collegati alla rete ovunque siamo. Sempre connessi significa non solo poter connettersi, significa essere sempre connessi anche quando noi non facciamo nulla esplicitamente, ma le applicazioni intelligenti del futuro lavorano per noi, facendo cose basate sempre più anche sulla nostra posizione, sui nostri spostamenti, sulle nostre interazioni con il mondo fisico che ci circonda. E quindi, se è cruciale essere sempre connessi, una tassa sugli abbonamenti è quanto di peggiore si possa immaginare, perché va a minare proprio il valore più grande di un apparecchio mobile nel tenerci collegati alla grande rete: farci respirare informazione, cosa tanto importante come il battito del nostro cuore.

La seconda tassa mortale è ancora più sottile, perché mina l’innovazione tecnologica dal di dentro. L’incredibile progresso tecnologico che stiamo vivendo è stato anche dato, come tutti possiamo sperimentare, dal continuo progresso a livello fisico (hardware): ogni anno che passa abbiamo apparecchiature sempre più potenti a parità di costo. Questa crescita è stata in alcuni ambiti mostruosa, vicina ad una crescita esponenziale (si pensi alla velocità dei computer, ad esempio), portando ai progressi strabilianti della tecnologia di questi ultimi anni. Ma sotto questo progresso, è stata introdotta una tassa, la cosiddetta “tassa sulla memoria”, o memory tax. E’ una tassa che viene pagata alla SIAE (la Società Italiana degli Autori ed Editori), da tutti noi, praticamente ogni volta che compriamo un oggetto tecnologico che ha al suo interno una memoria. Quindi ogni volta che ad esempio compriamo un cellulare, un disco rigido, un computer, una schedina di memoria, e così via, paghiamo una tassa sulla memoria alla SIAE.

Perché si paga? Perché avendo della memoria digitale, siamo dei potenziali ladri, ladri ad esempio di film, o di musica.

Nel presente, anche solo questa giustificazione ovviamente ha del teatro dell’assurdo: chiunque compri della memoria digitale è un potenziale ladro, e quindi paga una tassa, a coprire i danni fatti dai veri ladri.

Ma la cosa peggiore, che qui ci interessa, è la visione lunga, quella sul nostro futuro: in molti casi questa tassa è linearmente proporzionale alla memoria. E da qui l’effetto perversamente mostruoso. Il progresso ci porta a memorie sempre più estese, che ci permettono di gestire sempre più dati, sempre più pezzi del nostro futuro e della nostra vita. Ma a mozzare questo progresso esponenziale, ecco una tassa lineare, proporzionale a questa memoria. Quindi se il progresso in un anno ci raddoppia la memoria digitale a costo zero, la tassa sulla memoria invece ce lo fa pagare, e salato. Questo provoca la morte del progresso esponenziale, quello che rende la tecnologia così “magica” e così pervasiva. E così, mentre gli altri riceveranno i pieni benefici del progresso tecnologico, anno dopo anno, noi italiani subiremo questa zavorra a rallentare la nostra corsa. E chi la vincerà, poi, quella corsa verso il futuro?

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