Il dottor Annthok Mabiis ha annullato tutte, o quasi, le memorie connesse della galassia per mezzo del Grande Ictus Mnemonico. “Per salvare uomini e umanidi dalla noia totale, dalla Sindrome della Noia Assoluta”, perché le memorie connesse fanno conoscere, fin dalla nascita, la vita futura di ciascuno, in ogni particolare. La Memory Squad 11, protagonista di questa serie, con la base di copertura su un ricostruito antico bus rosso a due piani, è incaricata di rintracciare le pochissime memorie connesse che riescono ancora a funzionare. Non è ancora chiaro se poi devono distruggerle o, al contrario, utilizzarle per ricostruire tutte quelle che sono state annientate, se devono cioè completare il lavoro del dottor Mabiis o, al contrario, riportare la galassia a “come era prima”.
Caung: “…prato verticale… solite insonorizzazioni… atterraggi singoli, individuali, ad ogni piano… poi arriviamo alti, direi almeno ottocento piani… ciascuno rotante…”
Abbel: “A me non piacciono quelli troppo alti!”
Cuang: “Invece bisogna avere ideali che svettano…”
Abbel: “Non farmi la lezioncina, Cuang… con la retoricuccia degli ideali…”
Sessione di lavoro. La tenda di vetro. Gli occhi al cielo. L’ombra s’allungava. Si ritraeva. Piegava. Sagomava. Il sole dentro. Fuori. Strappato. Tagliato. Convesso. Il prato assecondava. Le raffiche condividevano il salmastro. Lontano.
Cuang: “È il solito conflitto fra l’immaginare e il realizzare.”
Abbel: “No cara! È il conflitto fra saper immaginare qualcosa che poi sai veramente realizzare e qualcosa che è bello, trainante, sublime proprio perché sai che è impossibile… vuoi proprio che sia impossibile da realizzare!”
Cuang: “Non puoi sapere prima cosa è nuovo, cioè sconosciuto! Non puoi sapere quanto puoi andare in alto, come sarà se vai oltre il limite del tuo conosciuto!”
Abbel: “Tu vuoi l’impossibile perché è come dio, irraggiungibile… vuoi dio… vuoi la meta ideale perché rimanga tale… ti rassicura sapere che comunque c’è qualcosa o qualcuno che sta lassù, soverchiante…”
Cuang: “Non cerco rassicurazioni, sicurezze o qualcuno che vegli su di me… Al contrario forse cerco spericolatezze… Per creare una cosa nuova bisogna essere spericolati! E non c’è nulla di più spericolato dell’altezza…”
Abbel: “Vecchia scuola… di ben quattrocento anni fa, inizio del secolo ventesimo…”
Cuang: “Abbel, sto parlando anch’io di antica saggezza! Di ‘passo dopo passo’, duraturo… e ti dico che anche l’immaginazione, l’invenzione, la creatività, le mete alte, gli edifici che svettano, vanno passo passo, gradino dopo gradino, piano dopo piano… anche gli ideali più alti sono una costruzione quotidiana, mattone dopo mattone… ho lavorato sempre così e mi sono fatta un nome solido…”
Un piccolo silenzio. Le dita stracciavano nel pomeriggio. Accel seduto. Cuang in piedi. I passi in tondo. Il collo acuto. Le facce tiepide. Le labbra affaticate. Le fronti accatastate.
Abbel: “Benissimo! Dunque tenere sempre i piedi per terra!”
Cuang: “Odio chi da sempre difende la mediocrità, l’ovvietà, la routine, lo status quo, qualunque esso sia, dicendo che bisogna stare coi piedi per terra…”
Abbel: “Allora ti faccio un bell’elogio alla bassezza! Sai che ti dico? Meglio stare bassi, molto bassi, per vedere bene il pavimento, i tuoi piedi, l’erba del prato, gli alberi che ti soverchiano, la gente che passa per strada alla tua stessa altezza… ti ricorda la tua dimensione, ti rende realista, ti guardi più spesso allo specchio… rifletti su te stesso…”
Cuang: “Ah perché quelli dei piani alti, delle idee alte, non si guardano allo specchio?! Riflettono meno! Hanno… hanno la testa fra le nuvole! Adesso farai anche questa battuta!… Ora mi dirai di non volare alto ché si va a sbattere!”
Abbel: “Ti dirò semplicemente: Cuag, io voglio volare basso così vedo dove atterrare!”
Cuang: “E io voglio volare alto così vedo dove posso arrivare! Frase fatta contro frase fatta!”
Le memorie connesse lavoravano a pieno ritmo. Il bus rosso si aggirava impazzito. Il grattacielo si formava. Deformava. Modificava. Allungava. Accorciava. Sulle indicazioni mutanti della conversazione. Parlavano. Descrivevano. Particolareggiavano. Il grattacielo si costruiva. All’istante. Sulle loro parole.
Cuag: “Ora ti spiego meglio… ti faccio vedere cosa intendo con uno schizzo…”
Abbel: “Ah!… torniamo all’antica! Voliamo raso terra!”
Cuang: “…devo avere da qualche parte un vecchio foglio di carta e un resto di matita…”
(124 – continua la serie. Episodio “chiuso”)
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