Avviata finalmente la legislatura con la rielezione di Giorgio Napolitano e la nascita del governo guidato da Enrico Letta, per attuare l’agenda digitale italiana dobbiamo iniziare a correre.
Alla vigilia delle votazioni per l’elezione del Capo dello Stato avevo lanciato l’idea di un intergruppo parlamentare dedicato al tema, che ora in realtà sembra superata dai fatti: la presenza di Pd, Pdl e Scelta Civica nella maggioranza che sostiene il governo spero possa facilitare l’elaborazione di proposte comuni sui temi dell’agenda digitale e dell’innovazione, su cui confrontarci con le altre forze parlamentari nelle commissioni e in Aula. Con la disponibilità, ovviamente, ad ascoltare tutti coloro che hanno proposte per la modernizzazione del Paese su questi temi.
L’attuale Parlamento, rinnovato come mai prima d’ora, dovrebbe esprimere un’attenzione particolare per i temi dell’agenda digitale e dell’innovazione, testimoniata anche dalle proposte del programma del Pd e delle altre forze politiche. Ma oggi le imprese, il mondo della ricerca e le associazioni di cittadini ci chiedono anzitutto di non perdere altro tempo e di uscire dalla fase di stallo. Non è un caso che il Politecnico di Milano abbia più volte aggiornato al ribasso le stime dei benefici della digitalizzazione del Paese: non innovare ha un costo drammaticamente più alto che innovare e le lacune della normativa italiana fanno perdere per strada miliardi.
Nel discorso con cui ha illustrato le linee programmatiche del Governo e chiesto la fiducia al Parlamento, il presidente Letta ha delineato una strategia per la ripresa in cui l’investimento in istruzione e ricerca è la base essenziale per lo sviluppo, facendo riferimento a un grande piano pluriennale per l’innovazione e la ricerca, e a un’attenzione specifica rivolta ai nuovi settori di sviluppo, come ad esempio l’agenda digitale, lo sviluppo verde, le nanotecnologie, l’aerospaziale, il biomedicale. Questa è una politica industriale moderna, che mette a sistema la forza dei grandi attori, il radicamento delle PMI e la dinamicità delle start up, in cui il digitale è un volano di crescita per tutti i settori, a cominciare da turismo, ambiente ed energia.
Letta ha affermato anche che “la burocrazia non deve opprimere la voglia creativa degli italiani ed è per questo che bisognerà rivedere l’intero sistema delle autorizzazioni”, e che dunque “bisogna snellire le procedure e avere fiducia in chi ha voglia di investire, creare, offrire posti di lavoro”. È un messaggio essenziale sulla semplicità richiesta dalle imprese: più che una grande riforma digitale è necessario attuare le norme vigenti, varate in ossequio finora solo formale all’agenda digitale europea. Occorre puntare su azioni immediate, con fondi certi, visto che la scorsa legislatura ci ha lasciato un gran numero di storture facilmente sanabili.
L’attivismo in sede europea dimostrato dal nuovo presidente del Consiglio subito dopo l’incarico fa ben sperare. Per contare nelle scelte dell’Europa della crescita sarà fondamentale metterci alla guida della battaglia per il rifinanziamento della banda larga, ridiscutendo l’accordo di Bruxelles di febbraio sul budget europeo per il periodo 2014-2020, che ha tagliato dai 7 iniziali ad 1 miliardo di euro i fondi destinati alla realizzazione di infrastrutture a banda larga. Se non lo faremo, saranno penalizzati soprattutto i piccoli centri e le zone rurali, in cui il digital divide non potrà che aumentare.
Il nostro Paese deve poi darsi un obiettivo preciso sull’e-procurement, che riguarda appena il 5% delle amministrazioni: arrivando al 30% in 3 anni possiamo risparmiare 5 miliardi di euro. Un + 5% nel 2013 e un + 10% nel 2014 è un incremento ragionevole.
Per costruire l’Italia digitale di domani, un’Italia più semplice, governo e Parlamento devono impegnarsi per superare gli ostacoli burocratici e i divari infrastrutturali di oggi. Pensiamo al paradosso del rinnovo della carta d’identità: ottenere la carta d’identità elettronica costa molto di più di quella cartacea. Questo disincentivo si aggiunge al risentimento dei cittadini costretti a nuove code non solo per presentare i documenti, ma anche per risolvere i disguidi generati dalla mancanza di dialogo tra gli archivi digitali delle amministrazioni. I decreti attuativi e i regolamenti necessari a rendere operativo in toto il Decreto Crescita 2.0 sono usciti con il contagocce. Non si svilupperà la fibra ottica in Italia senza un Regolamento sugli scavi per la posa dei cavi e l’istituzione di un catasto del sottosuolo, utile anche nei casi di disastri (terremoti, alluvioni, crolli) per capire dove mettere le mani.
Cito per tutti un ulteriore paradosso, emerso dai lavori sulla lotta all’evasione fiscale conclusi a dicembre 2012 dalla Commissione parlamentare di vigilanza sull’anagrafe tributaria: l’indagine conoscitiva condotta per individuare le migliori metodologie di contrasto all’evasione ha fatto emergere invece le peggiori. I dati a disposizione dell’amministrazione finanziaria, contenuti nei diversi database, sono disallineati e poco coerenti. Possiamo parlare di PA digitale e pensare di contrastare l’evasione fiscale se le banche dati delle amministrazioni non sono interoperabili? No. Eppure non esistono, ad esempio, regole standardizzate per l’inserimento di nomi, cognomi, ragione sociale e indirizzo. Come si fa, quindi, a individuare una persona fisica o giuridica o a registrare e aggiornare i riferimenti anagrafici dei cittadini? La Commissione parlamentare di vigilanza riteneva “prioritaria l’opera di razionalizzazione delle banche dati oggi utilizzabili nell’ottica della loro interoperabilità, creando un sistema informativo della fiscalità coerente, omogeneo e condiviso”. Passiamo dalle parole ai fatti: costerebbe meno che lasciare tutto com’è e garantire gli “evasori analogici”. “Pagare meno pagando tutti” è il migliore spot per la digitalizzazione.
Nella seconda metà del 2014 toccherà all’Italia il semestre di presidenza dell’Unione Europea. Abbiamo un anno per fare dell’Italia un laboratorio digitale: potremmo sperimentare da subito il calo dell’Iva sul commercio elettronico, un fondo dei fondi per le start up, l’incentivazione del mobile payment. Così, ad aprile 2014 potremmo misurare il successo di queste misure e presentare a tutti i paesi dell’Unione il modello digitale italiano.