Dopo aver letto il recente articolo di Morandini “I quattro modelli della guerra italiana al digital divide”, vorrei spiegare dei passaggi evidentemente ancora poco chiari anche a note ed influenti società come Between.
Il Piano Nazionale Banda Larga del Ministero dello sviluppo economico dal 2009 ad oggi ha portato la banda larga all’8 per cento dei cittadini esclusi dal servizio e nei prossimi 12 mesi raggiungerà il restante 4 per cento.
Quindi, non solo l’Italia ha un’unica regia – quella del Ministero dello sviluppo economico – che sta collaborando con le Regioni italiane per il comune obiettivo di azzerare il divario digitale, ma ha anche un unico piano cofinanziato dagli stakeholders pubblici e privati per circa 1 miliardo di euro.
Aver utilizzato prevalentemente fondi comunitari, che – come noto – sono cofinaziati da ogni Stato membro, è per noi una nota di pregio: il Piano Nazionale Banda Larga e il Piano Strategico Banda Ultralarga sono stati, infatti, eletti quali buone pratiche a cui affidare la spesa dei fondi strutturali europei di cui l’Italia a rischio di disimpegno.
Il Piano del Ministero dello sviluppo economico non piace solo agli assessori per l’innovazione e per le infrastrutture, bensì piace anche agli assessorati all’agricoltura che vi hanno aderito dedicandovi le loro risorse FEASR (Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale). Per questo abbiamo ricevuto i complimenti della Commissione: come sottolineato dal Presidente Barroso, l’Italia è il Paese che ha dedicato alla banda larga la maggior quota di FEASR, nella convinzione che lo sviluppo delle nostre aree rurali passi per le reti telematiche.
Come spesso accade nel nostro Paese, i complimenti arrivano dall’estero, mentre al nostro interno non mancano mai tentativi autolesionisti di delegittimazione che creano solo grande confusione. Per questo abbiamo pubblicato sul sito del Ministero dello sviluppo economico sia il testo integrale del Piano Nazionale Banda Larga, sia tutti gli accordi con le Regioni, le Province e i Comuni italiani, sia lo stato di attuazione dei lavori. Come potrà vedere abbiamo siglato accordi anche con quelle Regioni da lei citate come autonome: con il Friuli Venezia Giulia e l’Emilia Romagna – integrando i Piani realizzati da Insiel e Lepida – con la Sardegna, le Marche e la Lombardia che – come dice lei – raggiugeranno l’obiettivo comunitario nei tempi stabiliti.
Si tratta di un Piano operativo, quindi definisce le aree a fallimento di mercato (le aree bianche in cui il pubblico deve intervenire) che mettiamo annualmente in consultazione pubblica – aggiornamento richiesto dagli Orientamenti Comunitari sugli aiuti di Stato in materia di banda larga. Un piano fatto di modelli di intervento ritagliati per ogni area ed esigenza: dall’implementazione diretta della rete di backauling, agli incentivi per la bonifica della rete di accesso, al sostegno alla domanda nelle aree più remote. Un unico disegno, non scelte discrezionali, bensì modelli definiti e autorizzati dalla Commissione europea: un delicato equilibrio affinché le telco portino il servizio anche nelle aree a fallimento di mercato senza distorcere la concorrenza. Un Piano, dunque, che non può essere confuso con le Linee Guida per i Piani regionali per la banda larga del Comitato interministeriale che stilammo durante il Governo Prodi citate nell’articolo: principi condivisibili, ma non un Piano.
Per fare dell’Agenda digitale una leva per lo sviluppo economico dell’Italia, occorre guardare oltre, superare il 2007 e pensare alle opportunità di oggi, a tutto quello che c’è da fare e per cui è prezioso il contributo di tutti. La rete ci insegna che solo collaborando possiamo ottenere risultati importanti. Abbiamo definito il Piano strategico per la banda ultralarga – già in consultazione pubblica e già autorizzato dalla Commissione. È pubblico sul sito del MISE e contempla tutti i modelli possibili definiti assieme alla Commissione: facciamo in modo che non vengano disperse altre risorse pubbliche, convergiamo tutti gli stakeholders verso quel piano comune che può essere attuato tramite il MISE – attraverso Infratel Italia – o direttamente e autonomamente da qualsiasi ente pubblico anche attraverso la propria società in-house, saltando così la burocrazia di Bruxelles. Piano sul quale già 5 regioni del sud hanno deciso di riallocare parte dei fondi strutturali europei 2007/2013 per una cifra pari a 387 milioni di euro. Soldi che ci permetteranno di aprire migliaia di cantieri entro i prossimi mesi e raggiungere così 4 mln di italiani con una banda ad almeno a 30 megabit. Dal primo gennaio 2014 potranno essere destinati al Progetto Strategico Banda Ultralarga anche i fondi europei 2014/2020: lo sforzo per raggiungere gli obiettivi dell’Agenda digitale europea deve essere massimo e, per questo settennio non possiamo perdere tempo. Nel digital scorebord della Commissione europea l’Italia è infatti l’ULTIMO Stato Membro per copertura NGN. Rimbocchiamoci le maniche: il Piano c’è, i fondi pure, ora non perdiamoci in chiacchere.