Al centro del FORUM PA 2021, a cui ha partecipato una buona parte del Governo e dei rappresentanti politici ed amministrativi delle amministrazioni pubbliche, assieme ai vertici delle grandi aziende ICT, c’è stato, e non poteva che essere così, lo straordinario momento storico che l’Italia sta vivendo con l’approvazione del PNRR, arrivata proprio nel secondo giorno della manifestazione, e la partenza della programmazione europea 2021-2027.
Che si tratti di straordinaria opportunità, che è anche un’enorme responsabilità, ce lo dicono i numeri. Sarà utile ricordarli, perché sono il fondamento su cui dimensionare i prossimi passi.
La nuova PA che nascerà con il PNRR, ecco i tre nodi da superare
Le risorse in arrivo
Con la trasmissione del testo definitivo del PNRR alla Commissione europea, il 30 aprile 2021, il Governo ha richiesto all’Unione europea il massimo delle risorse RRF (Recovery and Resilience Facility) disponibili per l’Italia, pari a 191,5 miliardi di euro, di cui 68,9 miliardi in sovvenzioni e 122,6 miliardi in prestiti. A queste si aggiungono i 13,1 miliardi resi disponibili dal programma REACT-EU, nonché quelle derivanti dalla programmazione nazionale aggiuntiva, vale a dire ulteriori 30,6 miliardi di risorse nazionali, che confluiscono in un apposito Fondo complementare finanziato attraverso lo scostamento di bilancio approvato nel Consiglio dei ministri del 15 aprile 2021 e autorizzato dal Parlamento, a maggioranza assoluta, nella seduta del 22 aprile 2021.
Non finisce qui, per raggiungere gli obiettivi della politica di coesione, alle risorse considerate dal PNRR si affiancano quelle europee e di cofinanziamento nazionale dei Fondi strutturali della programmazione 2021-2027, la cui dotazione complessiva ammonta a circa 83 miliardi, nonché quelle nazionali del Fondo per lo Sviluppo e la Coesione per la programmazione 2021-2027, stanziate in un primo importo di 50 miliardi dalla legge di bilancio per il 2021, che dovranno essere investite secondo un principio di complementarietà e di addizionalità rispetto a investimenti e riforme previsti nel PNRR. Se poi sommiamo anche i 28,7 miliardi dell’attuale periodo di programmazione da spendere e certificare entro la scadenza di fine 2023 contiamo un totale di 396,9 miliardi di risorse da investire.
Quasi 400 miliardi quindi a disposizione per far ripartire il Paese, ma non per farlo tornare com’era prima della pandemia, quando la produttività era tra le più basse d’Europa, la crescita era ferma e con essa era bloccato l’ascensore sociale. Questa è stata forse la chiave interpretativa di tutti i messaggi che sono venuti nei cinque giorni. Come ha scritto Mario Draghi nella presentazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza “L’Italia deve combinare immaginazione, capacità progettuale e concretezza, per consegnare alle prossime generazioni un Paese più moderno, all’interno di un’Europa più forte e solidale.”
In questo contesto dal FORUM PA 2021 vengono segnali importanti riguardo alla trasformazione digitale, alla transizione ecologica, alla riforma delle amministrazioni pubbliche, alle azioni per l’inclusione e la coesione sociale. Over all si è respirato un clima molto operativo, dove il pur percepibile ottimismo non è stato frutto solo di una tenace buona volontà, ma anche dell’esame oggettivo di problemi, ostacoli e progetti per superarli. Come vedremo non sono tutte luci, ma anche le ombre e i pericoli sono stati messi in evidenza con coraggio.
Una PA rafforzata per rafforzare il Paese
Il primo segnale importante riguarda la madre di tutte le riforme, quella riforma delle amministrazioni pubbliche (mi raccomando sempre al plurale perché sono tante e diverse) che ci trasciniamo da decenni tra accelerazioni, rallentamenti, repentini cambi di direzione. Al di là dei singoli provvedimenti e delle linee politiche espresse dal Ministro Brunetta e riprese, per quanto di sua competenza, dal Ministro Colao, il messaggio chiave che è arrivato è l’intenzione precisa di passare da molte azioni, anche corrette, ma episodiche, ad un’azione sistemica che aggredisca insieme le quattro aree maggiormente critiche: innanzi tutto il necessario rafforzamento di una PA desertificata, che ha raggiunto all’inizio di quest’anno il suo minimo storico di dipendenti e che non ha più al suo interno un numero sufficiente di profili tecnici che possano gestire i piani e i progetti che gli investimenti del PNRR richiedono; si tratta quindi di assumere presto, bene e attraverso gli strumenti che la digitalizzazione ci fornisce, guardando alle esperienze migliori in Italia e all’estero.
Una seconda area di intervento è quella della semplificazione normativa e burocratica, di cui ho avuto modo di parlare su questa testata, che vuol dire soprattutto continuare con tenacia e determinazione la strada della collaborazione istituzionale tra Stato, enti territoriali e associazioni imprenditoriali e dei cittadini per accrescere lo sforzo sull’Agenda della Semplificazione e con analitica diligenza sciogliere tutti i nodi che, come abbiamo visto, non si possono tagliare con l’accetta di nuove leggi, che rischiano di complicare senza fine la semplificazione.
La valorizzazione delle persone che lavorano nelle amministrazioni è il tema della terza area di intervento: qui risulta evidente dal dibattito che c’è da fare un deciso cambio di passo.
Nel 2019 per formare ed aggiornare la PA abbiamo speso 163,7 milioni di euro, un investimento in graduale risalita rispetto al biennio precedente, ma oltre 110 milioni in meno rispetto a 10 anni fa, un dato questo che allarma, soprattutto perché abbiamo già visto le dinamiche di invecchiamento delle persone e delle loro competenze. Questa spesa ha permesso di formare i dipendenti della PA per una media di circa 1,2 giorni di formazione nell’anno (10 ore per capirci); le differenze tra i comparti sono molto significative e salta agli occhi il dato relativo al personale scolastico che nell’anno della pandemia e della didattica digitale “d’emergenza” è stato formato per una media di circa 1 ora e mezza. I dati dell’Istat sul censimento delle pubbliche amministrazioni ci dicono poi che con riguardo ai contenuti, le istituzioni pubbliche hanno comunque proposto ai propri dipendenti una formazione di tipo tradizionale, volta ad accrescere e aggiornare le competenze nelle materie tecnico specialistiche (45,2% dei partecipanti) connesse all’esercizio della propria missione istituzionale e giuridico normative (30,9% dei partecipanti) comprensive della formazione obbligatoria prescritta da specifiche norme. Ma dove è finito tutto quel bisogno di competenze digitali? La formazione in materia di digitalizzazione ha riguardato meno del 5% dei partecipanti e la necessità di creare project manager della PA o di diffondere una cultura del management? Ancora peggio. Solo il 2,3% ha ricevuto formazione su contenuti manageriali.
Infine, la quarta area d’intervento riguarda appunto la digitalizzazione della PA che, come sappiamo, è una materia che richiede un’importante sinergia tra i Ministro Colao e Brunetta e che ci porta al secondo tema: le politiche che ci traghetteranno verso l’Italia digitale 2026 che, come dichiarato proprio al FORUM PA 2021 dal Ministro Colao, dovrà entrare nella pattuglia di testa dei paesi europei, lasciando una volta per tutte le posizioni di retroguardia che ci hanno contraddistinti sino ad ora.
Verso l’Italia digitale 2026
Gran parte dei circa 180 eventi che si sono susseguiti nei cinque giorni hanno riguardato la trasformazione digitale del Paese, delle sue amministrazioni, del suo sistema produttivo insieme alla necessaria crescita delle competenze digitali di base dei cittadini. Da questa sezione, che sarebbe difficile, data la sua ricchezza, riassumere in poche righe, è scaturito, anche grazie all’intervento del Ministro Colao. un messaggio che è insieme un richiamo al pragmatismo e uno stimolo all’immaginazione e alla visione prospettica dello sviluppo. Un messaggio che spesso si è soffermato sulla necessità di fare in fretta e bene, sapendo che se vogliamo raggiungere i primi della classe, almeno in Europa, dobbiamo correre più di loro, perché non staranno fermi ad aspettarci.
Il pragmatismo ci aiuta a vedere i temi che costituiscono ora i principali banchi di prova: in primis la famosa e troppe volte citata interoperabilità delle amministrazioni, che si porta dietro la data governance e la politica della condivisione del patrimonio informativo pubblico; poi il tema del passaggio graduale, ma definitivo delle amministrazioni al paradigma tecnologico del cloud con la necessità di definirne una volta per tutte il perimetro tra frammentazione e tentazioni centraliste e con la sottolineatura della massima attenzione da porre sulla sicurezza, nuova frontiera della difesa del Paese; infine torna il tema delle competenze, sotto forma di impegno a portare l’Italia fuori dal posto di coda in Europa attraverso una crescita massiva delle competenze digitale di base dei cittadini. Nel 2026 dovranno essere il 70% gli italiani digitalmente abili (oggi sono il 42% contro una media europea del 58%) e dovranno essere il 64% i cittadini utenti dei servizi di egovernment abili (oggi sono il 14% contro una media europea del 38%). La capacità di visione ci serve per convincerci che non sono obiettivi raggiungibili solo dal Governo centrale, per quanto determinato sia. Servirà un’alleanza fattiva e positiva tra Stato, regioni, Enti locali, imprese pubbliche e private, Università e centri di ricerca, sistema dell’istruzione e della formazione e associazioni dei cittadini. La collaborazione non è un generico “volemose bene”, ma l’unica condizione razionale per riuscire.
La svolta verde
Anche per l’altro grande obiettivo del PNRR, ossia la transizione ecologica, il FORUM PA 2021 ha mandato un messaggio chiaro che può avere come simbolo il passaggio al plurale nel titolo di uno dei ministeri maggiormente interessati, il cui Ministro, Enrico Giovannini, ha partecipato ad uno dei convegni principali della manifestazione. Passare a plurale parlando di infrastrutture e mobilità sostenibili, vuol dire che il paradigma della sostenibilità non è solo un tema di auto elettriche o di piste ciclabili, ma comprende tutti gli investimenti infrastrutturali. Di nuovo al centro è il concetto di approccio sistemico e anche il legame ormai inscindibile tra sostenibilità e innovazione, dove la trasformazione digitale assume un ruolo abilitante da cui non possiamo più prescindere. Per la rivoluzione verde, forse più ancora che per glia altri grandi obiettivi del Piano, bisogna tener d’occhio gli impatti delle politiche, gli output, piuttosto che le realizzazioni in se stesse, ossia gli output. “questo vuol dire spostare l’attenzione dall’aspetto puramente finanziario-economico all’aspetto del benessere delle persone o della competitività delle imprese” ha sottolineato il Ministro nel suo intervento. In questo campo è stato messo in evidenza negli incontri che Il PNRR non è solo una lista di interventi e non è l’unico strumento che abbiamo a disposizione per i prossimi anni”. Ci sono i Fondi europei ordinari 2021-2027, c’è il Fondo per la coesione e ci sono altri fondi nazionali. Su tutti questi si devono applicare gli stessi principi di sostenibilità, si deve operare in sinergia nell’utilizzo di tutte le risorse disponibili, in un quadro complessivo e con uno sforzo sistemico che porti a considerare nuovi criteri di valutazione di impatto delle politiche, che comprendano criteri economici, sociali e ambientali. Insomma un messaggio di speranza, l’indicazione di obiettivi ambiziosi, ma anche un warning contro quel greenwashing fatto più di immagine e di annunci che non di cambiamento dei comportamenti e delle mentalità.
La spada di Damocle delle disuguaglianze
Se quello che sin qui ho raccontate testimonia di un deciso passo avanti verso gli obiettivi definiti e una maggiore consapevolezza della strada per perseguirli, esiste però un campo in cui siamo ancora molto indietro e i segnali di cambio di passo sono ancora troppo deboli. Si tratta della lotta alle disuguaglianze e ai processi verso una maggiore inclusione e coesione per una vera giustizia sociale. Il Piano si pone l’obiettivo di ridurre drasticamente tre divari che penalizzano la comunità nazionale perché “La persistenza di disuguaglianze di genere, così come l’assenza di pari opportunità a prescindere da provenienza, religione, disabilità, età o orientamento sessuale, non è infatti solo un problema individuale, ma è un ostacolo significativo alla crescita economica”. Si tratta del divario di cittadinanza che pesa su regioni marginalizzate del Paese: certo il Mezzogiorno, ma non solo che si concretizza in un deficit di infrastrutture, di servizi sociali, di opportunità di lavoro oltre che di reddito pro capite; del divario generazionale che penalizza i nostri giovani e che è dimostrato da un tasso di disoccupazione giovanile che sfiora il 30% e che è tra i più alti d’Europa; infine del divario di genere su cui non occorre dilungarsi troppo basti pensare che Il tasso di partecipazione delle donne al mondo del lavoro è del 53,1 per cento in Italia, di molto inferiore rispetto al 67,4 per cento della media europea. Nel Paese persiste anche un ampio divario di genere nel tasso di occupazione, pari a circa 19,8 punti percentuali nel 2019.
Anche quando lavorano, le donne risultano più penalizzate rispetto agli uomini, a partire dallo stipendio percepito e dalla precarietà lavorativa. Sono meno le donne che ricoprono posizioni apicali, nel privato così come nel pubblico.
In questo campo dal FORUM PA 2021 arriva un messaggio preoccupato sia per la quantità di risorse che si è deciso di stanziare per mitigare questi divari, sia per la scarsa consapevolezza dell’impatto sia economico sia sociale che questi hanno sulle nostre prospettive di sviluppo.
Conclusioni
Le risultanze della 32esima edizione del FORUM PA confermano lo slogan che abbiamo scelto per quest’anno e appare sempre più evidente la necessità di “connettere le energie vitali del Paese”.
Forse questo è il metamessaggio che unifica tutti i molteplici e in larga parte positivi messaggi venuti dai tanti incontri: se è vero, e lo abbiamo sentito dire sin troppe volte, che non ci si salva da soli, perché questa collaborazione possa essere fattore di uno sviluppo equo e sostenibile è necessario creare “software di connessione”, piattaforme abilitanti che rendano possibile di utilizzare al meglio le tante esperienze positive, le centinaia di best practice, le migliaia di innovatori che sono tesoro delle nostre pubbliche amministrazioni e delle nostre imprese.
Perché l’innovazione non può che camminare sulle gambe delle donne e degli uomini che rischiano e innovano, rompendo gli schemi precostituiti, come, con un premio innovativo di FORUM PA, abbiamo dimostrato ei fatti.