Il diritto degli utenti al “modem libero” espressamente sancito dal legislatore europeo fin dal Regolamento (EU) 2015/2120 sulla net neutrality e da un’apposita Delibera (348/18/CONS) attuativa delle norme europee, fatica ad affermarsi nel nostro paese.
Come appena ricordato nella relazione sull’attività di vigilanza Agcom sulla neutralità della rete, la maggior parte dei grandi operatori non si è infatti ancora pienamente adeguata alle disposizioni della Delibera, con l’effetto di ostacolare, anche a livello tecnico, gli utenti che desiderano dotarsi di un modem di libera scelta per connettersi a internet, senza affidarsi a quello fornito – spesso a pagamento – dal proprio operatore. Gli utenti, consumatori e non, sono certamente i primi danneggiati da queste resistenze, ma non certo gli unici. Infatti, i limiti alla libera scelta dell’hardware, lungi dall’esaurire i loro effetti sugli end users, colpiscono negativamente la filiera a valle, la struttura del mercato delle TLC e, in ultima analisi, l’intera collettività.
Una pratica che danneggia tutti
Prima di tutto, l’imposizione all’utente finale di un modem/router, proprietario e non interoperabile con le reti dei propri competitor, rappresenta una delle pratiche di “ingegneria contrattuale” elaborate nel corso degli anni dai grandi operatori per eludere le disposizioni in tema di diritto di recesso introdotte dal cosiddetto Decreto Bersani bis (D.L. n. 7/2007). Con tali disposizioni, il legislatore ha sancito il diritto degli utenti (o quantomeno degli utenti consumatori) di recedere dai contratti di telefonia, pay tv, e comunicazioni elettroniche senza penali, riducendo sensibilmente la possibilità di lock in della propria clientela, a vantaggio di una maggior dinamicità e competitività del mercato. In particolare, fino alle recenti Delibere AGCOM sul modem libero e sulle modalità di dismissione dell’utenza (487/18/CONS, attuativa delle disposizioni della Legge n. 124/2017), la vendita abbinata a rata del device poteva essere usata per trattenere forzatamente un utente nella propria clientela, anche per un quadriennio, pur in assenza di formali penali. Infatti, se l’utente esercitava il proprio diritto di recesso, l’operatore poteva richiedergli immediatamente l’intero saldo delle rimanenti rate. Il valore di questo saldo finale, che andava a sommarsi ai costi di dismissione/migrazione e a eventuali voci di restituzione degli sconti fruiti, poteva raggiungere valori molto elevati. Specialmente in caso di recesso nei primi mesi di fornitura, si poteva arrivare a importi superiori alla somma di 6 o 7 mensilità, con un indubbio effetto deterrente per il consumatore. Il modem così acquistato, inoltre, era inutilizzabile con il nuovo operatore, diventando a tutti gli effetti un soprammobile o, più verosimilmente, un RAEE. Ancora oggi, molti modelli di apparati forniti in passato si trovano in questa condizione, non essendo stati ancora sbloccati per l’uso con altri operatori.
Questa pratica degli operatori, così come molte altre forme di ingegneria contrattuale – dalla fatturazione a 28 giorni, alla previsione di sconti che però l’utente è tenuto a restituire in caso di recesso anticipato – è un sintomo delle difficoltà che sta vivendo il mercato italiano delle TLC. Da anni, i maggiori operatori si contendono il mercato non puntando sulla qualità dei propri servizi, bensì attraverso l’offerta degli stessi a prezzi irragionevolmente bassi. L’effetto è quello di comprimere drammaticamente le marginalità dei servizi base e in particolare della connettività. Ciò determina, a sua volta, il rallentamento o addirittura la paralisi degli investimenti, nonché l’aggravamento della situazione debitoria dei maggiori operatori, alcuni dei quali si trovano oggi intrappolati in una spirale di debito.
Per un’azienda gravemente indebitata, è essenziale mantenere le condizioni minime che, nel breve termine, gli consentano di pagare gli interessi e, soprattutto, di rifinanziarsi ciclicamente alla scadenza dei termini. Per garantire – in questo veloce ciclo – le aspettative dei propri creditori e del mercato finanziario, gli operatori devono assicurare la stabilità della loro base clienti; è in quest’ottica che si iscrive la ricerca di nuove e sempre più raffinate forme di lock in, quali – appunto – la fornitura di un modem imposto. Inoltre, i servizi accessori e in primis gli apparati terminali hanno rappresentato l’opportunità per i grandi ISP di realizzare marginalità estremamente elevate (per esempio, nella vendita ad un prezzo quasi quadruplo di prodotti con un valore di mercato di circa 70 Euro), così compensando parzialmente gli effetti dell’offerta al pubblico, per i servizi base, di prezzi sempre più aggressivi e d’impatto.
Libera rete, liberi device
Giovedì 11 luglio dalle 15:00 alle 18:00, nell’ambito dell’evento “Libera rete, liberi device” si affronterà per la prima volta una questione da cui dipendono diritti cruciali degli utenti, gli equilibri del mercato: la libertà di device, che con l’introduzione di nuove tecnologie di rete rischia di essere messa ancora più alla prova.
Si tratta di uno dei temi fondamentali nel dibattito sulla libertà della Rete, che affronta nuove e per gran parte invisibili insidie man mano che si diffonde la banda ultralarga, con la fibra ottica e in prospettiva il 5G, abilitatori di servizi sempre più importanti per la società e l’economia (della Sanità alla smart city alla smart grid).
Queste pratiche, che riducono la comparabilità delle offerte e la trasparenza per gli utenti, alterano il mercato della connettività anche in danno dei tanti operatori che si sono rifiutati di adottarle. Mi riferisco, in particolare, ai piccoli e medi internet provider diffusisi in Italia fin dalla parziale liberalizzazione, negli anni ‘90, del mercato TLC, che collettivamente rappresentano una parte minoritaria ma comunque significativa del mercato. Queste aziende, che basano essenzialmente la loro attività commerciale sul radicamento territoriale, sulla fidelizzazione dell’utenza e sulla creazione di valore, hanno tendenzialmente resistito all’indiretta pressione a integrare nelle loro offerte gli artifizi contrattuali sviluppati dai grandi operatori. Eppure, proprio per questo, essi si sono trovati a competere ad armi dispari, contro soggetti che sfruttano indebitamente forme di lock in e di opacizzazione dei costi come quelle collegate ai modem.
Non è quindi un caso che i piccoli e medi operatori, attraverso le loro associazioni più rappresentative – l’Associazione Italiana Internet Provider e l’Associazione Provider Indipendenti Italiani – abbiano sostenuto fin dall’inizio la campagna per il modem libero, contribuendo alla fondazione della Free Modem Alliance, partecipando alle consultazioni svolte da Agcom e Berec sul tema e, infine, difendendo in sede giudiziaria la Delibera 348/18/CONS.
Le ripercussioni sulla filiera a monte
La lesione della libera scelta del modem ha inoltre avuto effetti ancor più gravi sulla filiera a monte. L’obbligo, per l’utente, di acquistare o noleggiare l’apparecchiatura terminale direttamente dal fornitore di connettività determina una inevitabile compressione di tutti gli altri canali di distribuzione, colpendo sia le grandi catene di prodotti elettronici, sia gli aggregatori, sia i piccoli negozianti. Quando la prassi del modem imposto viene adottata contestualmente da tutti i maggiori internet provider, si determina un inevitabile crollo della domanda di apparecchiature terminali “libere”, che porta a una graduale espulsione dei distributori e dei venditori al dettaglio dal relativo mercato. La situazione è solo apparentemente migliore per i produttori. Il modem imposto, in effetti, non determina necessariamente una riduzione nella quantità totale di modem e router immessi sul mercato, quantità che può anzi aumentare, a causa dell’artificiale limitazione all’interoperabilità dei dispositivi tra le reti dei diversi fornitori di connettività. Tuttavia il singolo produttore, che prima offriva i suoi prodotti a una moltitudine di utenti, ciascuno dei quali con proprie necessità e preferenze individuali, si trova a poter dare sbocco ai suoi prodotti solo vendendoli a un ristrettissimo numero di grandi società, che – avendo concentrato nelle loro mani la maggior parte della domanda – acquisiscono così un enorme e ingiustificato potere sul mercato delle apparecchiature terminali. In tale scenario, tre o quattro grandi ISP si trovano a poter scegliere discrezionalmente se un produttore può operare sul mercato italiano o, al contrario, se ne deve essere espulso.
Tutti i modi per alterare la concorrenza
Affinché si producano queste alterazioni della concorrenza, non è neppure necessaria una rigida imposizione del modem/router agli utenti finali. E’ in effetti sufficiente che gli operatori, pur consentendo alla loro clientela di utilizzare un modem libero, prevedano condizioni economiche e di servizio meno favorevoli, così da incentivare l’uso dei modem “proprietari”. Una prassi che meriterà di essere meglio analizzata nei prossimi anni è, in particolare, quella che prevede l’abbinamento al servizio di connettività di un modem a titolo formalmente gratuito. E’ un’osservazione economica basilare quella per cui ogni azienda, per restare sul mercato, deve scaricare tutte le proprie voci di costo sulla propria clientela. Nel caso di un modem in bundle (in abbinamento), il relativo costo per l’utente non scompare realmente, ma viene traslato su altre voci di costo: in primis, sul canone mensile del servizio principale. In tal modo il fornitore di connettività, anche qualora consenta all’utente di collegare un modem/router proprio, diverso da quello fornito in bundle, di fatto lo disincentiva a farlo. Infatti, l’utente con modem libero dovrà comunque accollarsi, all’interno dei costi complessivi della propria connettività, il costo dell’apparecchiatura abbinata che non intende utilizzare.
Gli effetti sulla collettività
In sintesi, le pratiche sviluppate dai grandi operatori nel corso degli ultimi anni stanno avendo come effetto quello di traslare, anche a monte della filiera hardware, gli effetti anticoncorrenziali dell’assetto, storicamente monopolistico e oggi oligopolistico, del mercato dell’accesso a internet. I pregiudizi che derivano da questa trasformazione non si limitano a singoli soggetti, o a singole categorie di operatori economici, ma riguardano l’intera collettività, sotto tre ordini di profili. In primis, dobbiamo considerare che la nostra è una società già ampiamente digitalizzata, e lo sarà sempre più in futuro. Anche alla luce delle trasformazioni in atto nella pubblica amministrazione, ci avviciniamo al momento in cui pressoché ogni singolo soggetto di diritto del nostro ordinamento, persona fisica e non, sarà anche, necessariamente, un utente digitale.
In secondo luogo, la competizione tra i produttori costituisce un forte stimolo di innovazione tecnologica. In assenza della continua pressione derivante da un mercato aperto, e dalla necessità di soddisfare prima e meglio dei propri concorrenti le esigenze molteplici, e in continua evoluzione, degli utenti, verrebbe meno una delle principali ragioni degli attuali, ingenti investimenti in ricerca e sviluppo. I produttori verrebbero semmai incentivati a destinare le relative risorse a politiche di contenimento dei prezzi, così conformandosi alle mutate caratteristiche di una produzione sempre meno destinata alla vendita al dettaglio, e sempre più mirata all’acquisizione di ordini massivi da parte dei grandi operatori.
Hardware net neutrality
Al di là di questi profili, di più immediata percezione, sarebbe necessario approfondire i rischi a più alto livello connessi allo sviluppo di reti limitate nella loro interoperabilità lato hardware. Ciò sia rispetto alle reti private a servizio del singolo utente, sia rispetto alle reti nazionali di comunicazioni elettroniche. Infatti, quanto più si affermerà un modello di reti chiuse, e quanto più risulterà difficile o oneroso il loro ampliamento o riadattamento con hardware fornito da terzi soggetti, tanto più esse rischieranno di dipendere dalle apparecchiature fornite da un piccolo gruppo di fornitori/produttori, o addirittura da uno solo. Tale dipendenza in potenza, specialmente se si dovesse affermare nei confronti di interessi produttivi estranei all’Unione europea, legittimerebbe alcune preoccupazioni anche rispetto alla sicurezza e alla resilienza di infrastrutture, quali le reti di comunicazione elettronica, che già oggi rappresentano un asset di sicuro interesse strategico nazionale.
In conclusione, è opportuno che la questione della libera scelta e dell’interoperabilità degli apparati, modem e router inclusi, non venga sottovalutata ed erroneamente considerata solo dal punto di vista – pur cruciale – dei diritti del consumatore. L’auspicio è che, anche su questa tematica, che rappresenta una sorta di equivalente lato hardware della net neutrality, si sviluppi un pieno confronto politico ed istituzionale, tanto più urgente quanto più ci avviciniamo a quella ulteriore progressione delle tecnologie di rete rappresentata dal connubio tra banda ultralarga e 5G.