Telco per l’italia 2023

Morandini: “Il futuro delle telco italiane? Il bello può ancora arrivare”



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Si è chiuso a Roma Telco per l’Italia, tradizionale appuntamento che riunisce i principali stakeholder delle tlc italiane. I temi sono quelli ormai da anni all’ordine del giorno del settore, che continua ad essere presentato come l’abilitatore alla trasformazione digitale, fonte continua di innovazione, ma in crisi strutturale

Pubblicato il 19 giu 2023



telco smartphone

I ricavi delle telco continuano a scendere, in particolare per effetto di una continua riduzione dei prezzi, gli investimenti rimangono sostenuti (tendenzialmente in calo, ma con il peso aggiuntivo del pagamento delle frequenze 5G), con il conseguente ulteriore deterioramento della capacità di generare valore per gli azionisti. Sono questi i fatti (e la conseguente retorica) che caratterizzano ormai da qualche anno il settore delle telecomunicazioni.

Telco: ricavi, investimenti, redditività

Il calo dei ricavi nel 2022 appare più sostenuto nel mobile rispetto al fisso, ma nell’insieme la riduzione rimane di alcuni punti percentuali rispetto all’anno precedente, accentuando la perdita di ricavi dell’ultimo decennio (attorno a 13 miliardi di euro, vale a dire circa 1/3 del suo valore). Con un EBITDA che scende nel 2022 sotto gli 8 miliardi di euro e investimenti attorno a 7 miliardi, l’effetto del pagamento delle frequenze 5G nel 2022 (4,5 miliardi di euro) porta ad un flusso di cassa ampiamente negativo.

Quali le vie di uscita?

Anche le ricette proposte rimangono le stesse. La prima indicazione riguarda l’invito a “cambiare modello di business e guardare a nuovi mercati”, che alcuni associano all’invito a cambiare “mestiere”, ma tutti gli operatori stanno effettivamente sperimentando nuove traiettorie di rilancio. La seconda ricetta fa affidamento ad un auspicato consolidamento del settore su scala europea, che può passare anche dallo scorporo e dalla valorizzazione di parte delle infrastrutture di rete degli operatori. L’ultima leva, non meno importante, è riferita alla creazione di un effettivo level playing field tra i diversi attori dell’economia digitale, che consenta agli operatori di telecomunicazioni di operare con le stesse regole del gioco degli altri attori, e in particolare delle Big Tech (Over The Top).

La domanda che non c’è (?)

Un altro tormentone del settore è la “debolezza” o “assenza” della domanda. Per il vero nell’era pandemica il problema sembrava essere stato, almeno in parte, accantonato, ma ritorna oggi prepotentemente alla ribalta. In effetti, il 2022 verrà ricordato come il primo anno di riduzione del numero complessivo di accessi a banda larga in Italia. Si tratta di fatto di un consolidamento del valore totale (18,6 milioni di accessi) che segue l’accelerazione del periodo pandemico (circa 1,5 milioni nel triennio 2018-2021). Nell’ultimo anno la riduzione è stata, invece, di circa 100 mila accessi.

Il fenomeno richiede però di chiarire definitivamente alcuni aspetti.

La prima considerazione è relativa alla dimensione assoluta del mercato di rete fissa. Al di là delle speranze di molti, i consumatori italiani hanno, definitivamente, scelto di fare un ricorso importante alla rete mobile, anche per i collegamenti domestici, anche grazie ad una buona qualità del servizio. Sono oltre 1/3 le famiglie che hanno ormai abbandonato la linea fissa. Di conseguenza, mentre in Italia gli accessi di rete fissa sono meno di 20 milioni, in Francia (Paese con una popolazione confrontabile) gli accessi sono oltre 37 milioni.

Un secondo aspetto da tenere presente riguarda la migrazione verso i servizi più avanzati. Sono ancora quasi 1,3 milioni gli accessi fissi utilizzati solo per servizi di fonia, ai quali si aggiungono 3,1 milioni di accessi ADSL. Gli accessi FTTH crescono rapidamente, anche grazie all’incremento della copertura, ma sono pari solo a 3,5 milioni a fine 2022.

In un contesto non semplice appare comunque qualche luce all’orizzonte. La prima, citata da molti operatori, è il dinamismo della clientela business, che sembra offrire interessanti prospettive di crescita e, aspetto non secondario, di marginalità. La seconda è la “vie en rose” di Iliad, che ricorda come la sua value proposition continui ad incontrare il gradimento dei clienti italiani e non solo di quelli consumer.

L’ottimismo è il profumo della vita.

Il ruolo e la posizione delle Istituzioni

Il convegno è stato anche un’occasione per fare un punto sugli orientamenti delle Istituzioni.

Di fatto, gli ultimi Governi che si sono succeduti hanno sempre ribadito che “le scelte delle società quotate sono materia degli azionisti e del management” e, in effetti, è da loro che si aspettano le maggiori novità in materia di separazioni, aggregazioni, e quant’altro riguardanti TIM. Tuttavia, visto il coinvolgimento (ereditato) di Cassa Depositi e Prestiti sia in TIM (9,81%) che in Open Fiber (60%), è legittima la curiosità sugli orientamenti di un attore pubblico fortemente coinvolto nelle vicende del settore. Senza dimenticare l’esercizio della Golden Power laddove potrebbe essere necessario.

Riguardo all’intervento pubblico degli ultimi anni, va sicuramente riconosciuto l’impegno di risorse pubbliche rilevanti nell’ambito della Strategia per la Banda Ultralarga, che ha accomunato diversi Governi. Oltre ai 6,7 miliardi di euro di risorse pubbliche per le misure più recenti (con l’utilizzo delle risorse residue), vanno ricordati gli oltre 2 miliardi di euro delle misure precedenti. Anche in questo caso, però non bisogna dimenticare la diversa natura degli interventi. Gli interventi nelle “aree bianche” hanno portato alla realizzazione di una rete pubblica (largamente inutilizzata) affidata ad un Concessionario, mentre le misure più recenti sono tornate al modello del finanziamento a fondo perduto di infrastrutture degli operatori.

Sicuramente positiva è l’attenzione al rigoroso rispetto dei tempi per la realizzazione delle nuove infrastrutture, ma anche alla valorizzazione di quanto realizzato, nonché alle ulteriori misure per la semplificazione dei processi operativi (l’annoso problema della permessistica e delle sinergie tra i diversi attori infrastrutturali, pubblici e privati).

Riguardo al “nodo del fair share” (il contributo richiesto alle Big Tech per il finanziamento delle infrastrutture di nuova generazione), il tema sta riscuotendo un’attenzione forse superiore a quella che si merita in considerazione dell’effettivo impatto, ma emergono alcune interessanti considerazioni di metodo.

Innanzitutto, il richiamo alla necessità di un’attenta analisi costi-benefici è talmente condivisibile da meritare una generalizzazione a tutte le decisioni in sede comunitaria e nazionale. Allo stesso modo, alcune valutazioni, verosimilmente preliminari, potrebbero meritare qualche approfondimento, in considerazione delle legittime argomentazioni delle parti. Da un lato, qualsiasi intervento pubblico rappresenta di per sé una possibile distorsione dei meccanismi di mercato e andrebbe confinato a situazioni particolari. Inoltre, qualsiasi tassazione può naturalmente avere effetti inflazionistici e innescare un circolo vizioso sui consumi, ma dipende dall’entità, dall’equità, e, tra le altre cose, dalle interdipendenze nella matrice input-output. Del resto, sono più di venti anni che la regolamentazione delle comunicazioni elettroniche si interroga su come conciliare concorrenza, innovazione e investimenti dei diversi attori. Allo stesso tempo, l’intervento pubblico può, talvolta, essere utile per calmierare gli animal spirits imprenditoriali.

Dall’altro lato, il continuo incremento del traffico in rete è l’effetto positivo della moltiplicazione dei servizi e delle modalità di fruizione, che hanno inevitabilmente un impatto sul dimensionamento delle infrastrutture nelle varie componenti di rete se si vogliono garantire adeguati livelli di servizio. Tutti gli attori investono per migliorare la customer experience, attraverso l’espansione delle proprie infrastrutture, lo sviluppo delle Content Delivery Network, etc… In questo ambito, è ragionevole pensare che si cerchi di ottimizzare ricavi e investimenti per mantenere un’adeguata sostenibilità del sistema. Tra le modalità di raggiungimento dell’equilibrio vi sono, naturalmente, anche gli interventi pubblici sull’offerta e la domanda.

In questo contesto, l’esemplificazione degli effetti delle possibili opzioni di intervento ai soli aspetti negativi di un’ipotetica tassazione (o altra modalità di condivisione degli oneri), così come mettere in discussione la relazione tra dinamica del traffico e investimenti può sembrare agli occhi degli operatori di telecomunicazioni una presa di posizione pregiudiziale, invece molto gradita alle Big Tech.

Ritornando però alla ricerca di soluzioni realmente percorribili vale la pena di richiamare quanto recentemente votato dal Parlamento europeo, che si è espresso a maggioranza a favore di una risoluzione a sostegno del principio “senders-pay”, vale a dire chi manda il traffico in rete paga, fatto salvo il principio di neutralità. In altri termini, il problema non è tanto quello di introdurre nuove forme di tassazione, quanto di trovare nuovi meccanismi che possano favorire uno sviluppo capillare e sostenibile delle nuove infrastrutture attraverso la partecipazione di tutti i soggetti che ne beneficiano. Si tratta di un argomento che, in fondo, ha molti elementi in comune con le considerazioni relative al trattamento fiscale degli utili delle Big Tech e ad una loro presenza più “responsabile” nei diversi Paesi.

I numeri a supporto delle decisioni comunitarie dovrebbero essere contenuti negli esiti della consultazione di febbraio 2023 ed è giunto il momento di tirare le fila.

Il bello deve ancora arrivare

Guardando al futuro prossimo, nel corso del 2023 si dovrebbero chiarire alcuni aspetti rilevanti per il futuro delle telecomunicazioni italiane.

Dal lato governativo è stata annunciata, entro luglio, una revisione “totale” della Strategia per la Banda Ultralarga, così come nuove misure a sostegno del rilancio del settore. L’AGCom, dopo l’aumento dei prezzi dei servizi all’ingrosso per il 2023, si è impegnata a completare entro l’anno il nuovo ciclo di Analisi dei Mercati Rilevanti che fisserà il quadro di riferimento regolamentare per il prossimo quinquennio e, quindi, dovrà consentire una maggiore prevedibilità, senza dover ricorrere alle tradizionali decisioni retroattive.

D’altra parte, alcuni operatori hanno annunciato rimodulazioni tariffarie, ma anche misure per accelerare la migrazione verso i servizi in fibra, che potrebbero avere un impatto positivo sul ritorno alla crescita. Infine, permane l’interesse le vicende relative all’evoluzione dell’assetto di TIM, i cui tempi sembrano ormai difficilmente prevedibili, ma rimane la convinzione che “qualche cosa” prima o poi potrà accadere.

Il bello può ancora arrivare.

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