In questo inizio del quindici sembra che l’imponente macchina approntata per dare attuazione e concretezza all’ecosistema digitale nazionale continui a patire di un difetto originale di progettazione.
Permane, infatti, la difficoltà a scaricare a terra i tanti cavalli, perdura la fatica a trasformare la potenza in accelerazione e velocità, persiste il problema di non dissipare l’energia prodotta del roboante motore, dai tanti pistoni, nel passaggio alla avveniristica trazione integrale permanente sulle quattro ruote.
I tanti progettisti ed i molti ingegneri continuano a scrivere e a disegnare – a proporre modifiche e suggerimenti – ma quando si scende in pista l’andamento continua ad essere inesorabilmente lento.
Nella nostra fornitissima biblioteca abbiamo – e mi limito soltanto ai documenti più recenti – il “Contributo delle Regioni per un’Agenda Digitale al Servizio della Crescita” (approvato in Conferenza delle Regioni il 24 luglio 2013), “Agire le Agende Digitali per la Crescita, nella Programmazione 2014-2020” (approvato in Conferenza delle Regioni il 5 agosto 2014), il “Piano Strategico per la Banda Ultra Larga” e il “Piano Strategico per la Crescita Digitale” (presentati e messi in consultazione pubblica dal Governo a fine dello scorso anno), e la “Agenda Nazionale delle Semplificazione”.
Stanno per essere consegnati – tra gli altri – il “Patto per la Sanità Digitale” e lo “Statuto della Cittadinanza Intelligente” e, ne sono sicuro, mettendosi a cercare con un po’ più di tempo e maggiore attenzione sicuramente salta fuori qualche altro documento che al momento sfugge alla mia attenzione.
Sia chiaro, sto parlando di documenti che sono in larga parte condivisibili, i cui contenuti sono mediamente ricchi, solidi e densi di spunti interessanti ed originali, frutto del lavoro di persone competenti ed autorevoli.
Però – purtroppo ancora una volta c’è un però – sarebbe bene che dopo il lavoro degli ingegneri e degli architetti iniziasse quello non meno nobile dei manovali, dei muratori, degli elettricisti, degli idraulici, (…), degli ascensoristi, ovvero degli uomini della così detta execution.
Sia chiaro – anche in questo caso – qualcosa si comincia a vedere, ma meno rispetto alle attese e agli auspici, probabilmente anche perché nonostante la copiosa produzione di documenti programmatici non si è ancora riuscito a dare una risposta chiara, esaustiva e definitiva ad alcune questioni nodali.
Mentre c’è, infatti, ormai una discreta convergenza di opinioni su cosa bisogna fare – almeno per quanto attiene al così detto minimo sindacale – non è invece assolutamente chiuso il tema delle risorse, che per una parte ancora consistente per il momento devono essere reperite ed allocate, non sono stati sciolti alcuni nodi importanti sulle regole di spendibilità delle risorse comunitarie (notifiche, aiuti di stato, gestione del fondo unico per alcune iniziative tra le quali la banda ultra larga) e – giusto per chiudere il paragrafo – c’è un dibattito ancora aperto sull’annosa ripartizione delle competenze, ovvero su chi deve fare e cosa deve fare tra il livello centrale e quello locale, segnatamente delle Regioni.
Non a caso proprio mercoledì scorso – il 4 febbraio – si è tenuta una importante riunione politica del Tavolo di Coordinamento delle Regioni in materia di Agenda digitale, insediato a Roma presso la sede del Cinsedo, che si appresta a chiedere alla Conferenza delle Regioni di inserire ed approvare nella seduta del 19 febbraio l’istituzione di una Commissione permanente in materia, appunto, di ecosistema digitale del Paese.
L’istituzione di una nuova e specifica Commissione permanente in seno alla Conferenza delle Regioni dovrebbe determinare come conseguenza l’individuazione di una specifica e univoca responsabilità e rappresentanza politica da parte del Governo, un passaggio che sarebbe ingenuo banalizzare o sottovalutare per la sua portata e le sue ripercussioni politiche e di governance complessiva della materia.
Le Regioni – ma anche le Province, i Comuni, le Aziende sanitarie e ospedaliere ed altri enti locali – in assenza di regole esaustive e di iniziatile concrete da parte del livello centrale – passatemi la metafora, in assenza di un piano regolatore nazionale del digitale – hanno avviato iniziative che rendono oggi disponibili servizi per cittadini e imprese, hanno costituito consistenti basi dati e hanno investito in infrastrutture e piattaforme tecnologiche hardware e software – hanno insomma edificato –.
Servizi, banche dati e piattaforme che spesso non sono tra loro interoperabili – a livello orizzontale e verticale – e che contribuiscono così a generare quella babele digitale che sono i sistemi informativi della pubblica amministrazione italiana, che spesso disorienta cittadini e imprese e li disincentiva ad accedere al mondo del digitale.
È bene ricordare come il ritardo dello switch off digitale del paese determina una palese inerzia negli investimenti in infrastrutture da parte degli operatori di mercato – prima tra tutte la banda ultra larga – ed è sicuramente una delle principali concause del perdurare della mancata crescita e della scarsa competitività dell’Italia.
Per porre rimedio a questa situazione c’è chi ritiene si debba restituire la potestà legislativa in via esclusiva allo Stato in materia di “coordinamento informativo, statistico e informatico dell’amministrazione statale, regionale e locale”.
Il tal senso, infatti, è stata presentata in questi giorni una proposta di modifica del Titolo V, Articolo 117, comma r) della Costituzione.
Nel frattempo, anche in ottemperanza al percorso di approvazione dei Piani Operativi Regionali dei Fondi Strutturali Europei e, finalmente, di avvio della spesa, molte Regioni stanno presentando le loro agende digitali.
Ultima in ordine di tempo la Regione Veneto che il 2 febbraio scorso ha organizzato a Padova una kermesse di ottimo livello dove sono stati chiamati a raccolta e si sono ritrovati molti degli appartenenti a quella tribù dell’economia del digitale perennemente itinerante per il Paese che per fortuna si ostina a crederci ancora con immutata determinazione