Le sei corde singhiozzate dal plettro. Le braccia e le mani. Sulle teste. Le bacchette rimbalzate dai rullanti. Le gambe e i piedi. Sulle zolle. Gli accordi raspati accelerano le spensieratezze. Il caldo massacrante è ingrediente costoso. A grande richiesta. La 199esima Woodstock rotolava negli esofagi e nei glutei, senza fango e senza White Lake. Il Maharaja Sri Dharashwar ne aveva pagato i diritti di riproduzione per 300 anni. La cupola ne conteneva tre milioni. Il rito imitava il 1969. Il palco li elargiva tutti. Scrupolosamente. Una volta all’anno. Le grandi star della musica del XX secolo pulsionanti. Fiumi di sudore. Accordi abbordanti. Frequenze d’amore. Tende svolazzanti. Manciate di colore. Dita insinuanti. Volti di pallore. Acque rigolanti. Labbra d’ardore. Pause arrancanti. Urla d’umore.
Alle tre e trentatré del pomeriggio, ora antica, Acsazna Llav sentì un dolore nel retro dei globi oculari. Dopo fu un respiro più aperto. Una mente serena. Fu meno caldo. I milioni di corpi gli furono trasparenti. Galleggiavano solo le loro borse. Anelli. Scarpe. Magliette. Cappelli. Cinture. Orecchini. Gilet. Pantaloni. Gonne. Camicie. Calzini. Slip.
“Agenti ascoltate, col Grande Ictus Mnemonico una Memoria Eticante di livello massimo si è disattivata… Occhio agenti, ho detto di massimo livello!” singultava Akira Khaspros, comandante della Memory Squad 11. “È stata localizzata nella parte nord orientale del Sahara, dove è in corso un concerto W199.” “Bello! Vado io in missione al concerto W199, comandante Khaspros…” L’agente Xina Shaiira, analista del terreno e dell’ambiente, tambureggiava le mani nel vuoto, saltando da un piede a un altro. Era entrata in simbiosi col concerto già da qualche minuto. Il bus rosso a due piani, sede di copertura della squadra, si accovacciava al limite delle prime dune. Gli agenti si intutavano per affrontare calore e ardore. Arrembavano le biciclette, modello da sabbia e da ingaggio. Volavano verso la cupola. Pertugiavano. Dentro.
Acsazna Llav sorrideva alla sua ignara vittima. Lei danzava assetata di rimbalzi. Avanzava non perdendo il ritmo. Le biciclette sgrommavano impertinenti. Le dita sottili un po’ fuori esercizio. Lo sguardo transiente. Un’altra consenziente. Gli agenti incalzavano i polpacci. Striavano il prato. Intercettavano la scia di volteggio e di dileggio di Acsazna Llav. Sfrenavano spavaldi. La musica assemblava. Sgargiava. Rassurdava. Permissava. Tarmiggiava. Corpettava. Suettava. Rodomante. Parcellante. Sarmettante. Bodilante. Panante.
“Eccolo!” eccitava la comandante Khaspros. Le biciclette lo torniarono. Acsazna Llav: “Siete i piccoli guardiani dell’etica, siete il presente che non fugge dal passato e il futuro che non alimenta il presente…” Li spicciolava con recitata rassegnazione. L’agente Xina Shaiira lo traguardò, chiuse un gesto nell’aria rimbombante: “Fatto! Comandante! La Memoria Eticante dei Freni Inibitori di Acsazna Llav è ora ripristinata.”
Gli agenti della Memory Squad 11 si congratularono a vicenda. Occhiavano e sardonicchiavano inforcando le loro bici d’ordinanza. “Agenti, congratulazioni, il più grande ladro della storia dell’umanità è di nuovo sotto controllo!”
Acsazna Llav scaltro e saudante. Dileggiava con gli occhi gli agenti. Sparirono oltre la cupola. Nella pista sabbiosa. Il sole calava affranto. Acsazna Llav ballava al ritmo di due casse percutanti, roteando, sopra le teste dell’onda umana, tre limpide mutande.
(34-continua la serie. Ogni episodio è “chiuso”)