L’attualità del dibattito sul 5G rende necessario un approfondimento sul suo rapporto con la neutralità della rete (net neutrality). La storia di questo concetto ci può aiutare a cogliere gli scenari futuri che potrebbero palesarsi. Vediamo di cosa si tratta.
Il background storico della neutralità della rete
Siamo nel 1848: l’Europa è dilaniata da guerre tra Stati dinastici e scossa da conflitti sociali e politici che diverranno proverbiali. Intanto, dall’altra parte dell’Atlantico lo Stato di New York stabilisce, con una legge fortemente dibattuta, che i messaggi telegrafici devono essere instradati senza discriminazioni. Nel Paese del Primo Emendamento alla Costituzione, quindi intorno al tema centrale della libertà di espressione, nasce il concetto moderno di net-neutrality[1]. Nel 1860, mentre i Mille si preparano per lo sbarco in Sicilia e gli Stati del Sud degli Stati Uniti si accingono alla Secessione, il governo federale approva la prima legislazione in materia per incoraggiare lo sviluppo della rete telegrafica transcontinentale dalla East alla West Coast. Con questa scelta il tema della net-neutrality si sposta all’interno del continente americano, per installarsi saldamente sulla sponda del Pacifico, dove ancor oggi ha il suo principale indirizzo web. Quella legge ricalcava le norme già introdotte da vari Stati e quindi veniva al seguito di esigenze sentite a livello locale da imprenditori e consumatori.
Mentre l’Italia si apprestava ad invadere la Libia con la solita illusione di una guerra lampo che sarebbe durata 20 anni, l’amministrazione del presidente William Taft, nel culmine della Progressive Era, varava il Mann-Elkins Act con cui, oltre a rafforzare le regole competitive nelle ferrovie, creava la Interstate Commerce Commission (ICC), progenitrice di tutte le authority di settore, al fine di regolare le telecomunicazioni, inquadrando i gestori dei servizi telefonici, telegrafici e radio come common carriers, ovvero compagnie soggette a regole e responsabilità pubbliche, cui erano vietate le discriminazioni nei confronti di qualunque fascia di clientela e che dovevano essere dotate di “competenza, determinazione e appropriatezza”. L’Europa scaldava gli altiforni per affrontare la Grande Guerra, prima fase -secondo alcuni storici- della sua trentennale guerra civile, mentre gli Stati Uniti compivano il grande passo in avanti verso quel processo di modernizzazione che li avrebbe portati a dominare economicamente e tecnologicamente il XX secolo.
Lo scenario europeo
Oggi l’Europa affronta i nuovi temi della neutralità della rete con strumenti appropriati, ma si discute se sia migliore l’approccio della common law americana, che confida nell’intervento ex-post quando i diritti fondamentali sono violati, o piuttosto sia migliore quello europeo, che definisce ex-ante il lecito e il non lecito, secondo la tradizione dei codici continentali. Non entreremo in questo dibattito facendo il tifo per una soluzione contro l’altra: osserviamo solo che la robusta tradizione di intervento giurisdizionale americana non è ripetibile in altro contesto istituzionale. Non si può pensare che il contesto frammentato del diritto degli Stati europei possa fare a meno di una regolazione come quella prodotta da Bruxelles, nella quale il lungo equilibrio nei rapporti tra democristiani e socialisti ha sviluppato un corpus normativo che tutela i diritti del consumatore senza impedire lo sviluppo del mercato concorrenziale tra le imprese. È il risultato prezioso di quella visione ordoliberale, che l’università di Friburgo ha fondato a partire dagli anni Trenta, e che ha contribuito alla realizzazione del miracolo economico tedesco nel secondo dopoguerra e al suo consolidamento successivo[2]. Un risultato che l’ondata sovranista vorrebbe travolgere, riducendo alla marginalità i minuscoli mercati e ordinamenti domestici delle nazioni europee.
Torniamo in America. Nel 1934, in pieno New Deal, il Communication Act precisa, nel suo Title II, il ruolo del common carrier applicato alle telecomunicazioni, le quali nel frattempo sono divenute il settore cruciale, gestito in monopolio dalla Bell Telephone, ed istituisce la Federal Communication Commission (FCC), che ancor oggi rappresenta il punto di riferimento per la regolazione del sistema di telecomunicazioni americano, alla quale attribuisce le competenze prima esercitate dall’ICC.
L’Open Internet Order
La posizione della FCC è stata, nel primo decennio del nuovo millennio, quella di estendere gli obblighi di net-neutrality, portando, con l’Open Internet Order del 2015 gli ISP dentro il Title II e quindi sotto la giurisdizione della FCC, incontrando il plauso del Presidente Obama, che ringraziava i milioni di americani che avevano scritto alla FCC, prevalentemente a sostegno di una rete internet libera e giusta[3]. La mossa della FCC rimediava all’esito della causa, mossa e vinta da Verizon, volta a contestate la competenza della FCC a far applicare i principi della net-neutrality agli ISP, dal momento che non erano qualificati come utilities, ma come servizi di connessione privati. All’inizio del 2015 la FCC votava a favore di una stringente definizione di net-neutrality classificando gli ISP come utilities e quindi riportandoli sotto la propria giurisdizione all’interno delle competenze previste dal Title II. La distinzione tra common carrier e servizio privato è cruciale: la limitazione dell’area dei servizi privati riduce lo spazio per gli investimenti innovativi a redditività imprevedibile, l’estensione dell’area common carrier aumenta lo spazio dell’economia regolata, che si muove lentamente nei settori a redditività contenuta e prevedibile. Nonostante le diversità normative e istituzionali, questa questione è, e rimarrà, centrale anche nel mercato europeo.
L’opposizione all’inclusione di ISP nel Title II
Il Presidente Trump, dopo la sua elezione, ha nominato a capo della FCC Ajit Pai, un avvocato ostile alla net-neutrality, come d’altra parte lo è il Presidente. L’obiettivo è quello di ridurre i costi e i vincoli all’espansione dei piccoli ISP, quelli che investono nelle aree locali per garantire l’accesso a internet, sia come ISP, sia come investitori in infrastrutture (wireless o fibra). Questo argomento a sostegno della esclusione degli ISP dal Title II, per sottrarli alla giurisdizione della FCC, è stato fortemente sostenuto da Ajit. In una campagna caratterizzata da toni più da politico che da regolatore neutrale, ha sostenuto che per i piccoli ISP il costo di assicurare la compliance alle norme della FCC era troppo elevato. E’ sicuramente vero che molti ISP erano preoccupati dall’intrusione nel lor business della FCC, ma è anche vero che molti, dopo avere verificato l’effettiva applicazione dell’Open Internet Order avrebbe scoraggiato gli investimenti.
Lo stallo del dibattito USA sembra quindi dovuto al conflitto politico tra Senato a maggioranza Repubblicana, contrario alla net-neutrality “amministrata” dalla FCC secondo il principio che gli ISP sono equiparati alle utilities e quindi rientrano nella regolazione dei common carriers, e la maggioranza democratica della Camera dei Rappresentanti che vuole ripristinare la situazione creatasi con l’Order della FCC durante l’ultimo mandato di Obama. Molti attivisti dell’internet free and fair, nonché lo Stato della California, sospinto dalle preoccupazioni degli OTT, caricano questa valenza politica del conflitto sulla net-neutrality di ulteriori motivi di contrapposizione istituzionale e contribuiscono ad alimentare la polarizzazione. Tra i repubblicani, autorevoli voci, pur rimanendo contrarie a ritornare alla previsione di ISP come common carrier sotto il Title II, considerano necessario un intervento legislativo a tutela del consumatore e dell’accesso ad internet[4].
Net -neutrality: ISP versus OTT
Elizabeth Bowles, responsabile di una divisione di un piccolo ISP dell’Arkansas e presidente del Comitato legislativo dell’Associazione degli ISP wireless, ha testimoniato al Congresso: “(i piccoli ISP) non erano l’obiettivo dell’Open Internet Order, credo piuttosto che siano vittime di quell’ordine, che la FCC non aveva preso adeguatamente in considerazione”[5]. La Bowles ha offerto ai deputati americani la stima di un costo medio di 40.000 dollari all’anno per la compilazione dei reports prevista dall’Open Internet Order e riguardanti le performance del network, il cosidetto data cap ovvero la restrizione sull’ammontare dei dati scaricati dal cliente nell’unità di tempo ed altre statistiche caratteristiche del servizio.
Eppure la FCC aveva esentato i piccoli ISP (fino a 250.000 utenti) da questi obblighi. L’impatto dell’Order si è manifestato comunque sull’atteggiamento dei consumatori: in casi i cui il servizio wireless veniva reso meno performante da ostacoli creati intorno all’abitazione del cliente, questi si rivolgeva alla FCC rivendicando che il deterioramento del servizio era imputabile all’ISP e alle sue pratiche di gestione del traffico, anche se questo non ne era responsabile. Vi era quindi uno spostamento dell’ago della bilancia a favore dei consumatori che poteva incidere sulla propensione ad investire degli ISP, alimentando le preoccupazioni contrarie all’estensione dell’area di applicazione del Title II determinata dall’Order.
Tuttavia molti ISP, dopo il primo momento di preoccupazione intorno all’Open Internet Order, hanno dichiarato che in realtà essi temono che la marcia indietro della FCC sul controllo degli ISP, produrrà una ulteriore concentrazione a favore dei giganti del settore, come Verizon, AT&T etc. poiché solo loro possono avvalersi degli accordi zero-rating con i fornitori di contenuti (Netflix etc.) e quindi offrire condizioni competitive spiazzanti per i normali ISP, violando i vincoli sderivanti dalla non discriminazione suglie accessi e le garanzie di tutela della privacy. Secondo diversi osservatori, L’Open Internet Order protegge, a lungo termine, i piccoli ISP, come ha detto la CEO dell’ISP Cruzio di Santa Cruz in California: “Stiamo investendo come dei matti in un grande progetto locale di cablazione in fibra. Se si guarda a quali compagnie si avvalgono dei contributi di società come Netflix si trova che non sono i piccoli, ma i grandi ISP che hanno una posizione di quasi-monopolio: loro consolidano la loro posizione e ciò distrugge la competizione”[6].
Gli OTT, d’altra parte, hanno una posizione tendenzialmente favorevole alla net-neutrality, anche se non vedono favorevolmente il ruolo della FCC, così come non vedono favorevolmente la tendenza regolatoria europea, soprattutto in materia di privacy. Essi, infatti, creano il proprio valore aggiunto “portando” l’utente nella rete, indirizzando verso di lui, inteso come identità virtuale composta di un aggregato di comportamenti e interessi, i contenuti e quindi la pubblicità sulla rete. Gli OTT non vogliono quindi che siano i fornitori di contenuti a farlo: ciò infatti finirebbe con rendere superflua la funzionalità di porta d’accesso a internet che essi forniscono con i motori di ricerca, i social networks, i geolocalizzatori etc. La porta d’accesso da essi offerta,attraverso l’analisi dei big data e gli algoritmi che ne derivano, conduce là dove gli OTT vogliono, ossia nella pubblicità mirata e nelle “affinità elettive” tra ricerca, comunicazione sociale e pubblicità che gli algoritmi generano. Gli OTT sono quindi logicamente contrari ad ogni iniziativa di limitazione della libertà di navigazione e di accesso che pretenda di collocarsi “a monte” della straordinaria capacità di indirizzamento della navigazione individuale che gli stessi OTT detengono.
Il Regolamento 2015/2120 dell’Unione Europea
Se la distinzione tra common carrier e servizi privati è importante negli USA per i motivi ricordati, essa è decisiva anche nel mercato europeo. Il tema della net-neutrality arriva in Europa più tardi: manca il riferimento ai common carrier, in quanto i carrier europei o sono pubblici o sono sotto controllo pubblico: per loro natura sono tenuti al servizio universale. E’ con la liberalizzazione del mercato delle telecomunicazioni europeee che il tema dell’accesso alla rete si pone per la prima volta in modo esplicito e viene risolto con l’introduzione del principio dell’accesso libero alla rete dell’ex-monopolista (incumbent) da parte dei nuovi soggetti intenzionato a competere sul lato dei servizi e non su quello delle reti. Ancor oggi, a processo di liberalizzazione ormai affermatosi in tutto il continente europeo, la nozione di common carrier e di servizio universale hanno implicazioni diverse: in Europa è fatto obbligo, con il servizio universale, di assicurare a prezzi ragionevoli i servizi essenziali di connettività e il diritto ad accedervi[7].
L’Europa ha introdotto, con il Regolamento 2015/2120 nel 2015, una legislazione considerata eccessivamente stringente dagli operatori telefonici. Essa contiene la previsione di revisione sulla base della valutazione dell’impatto della normativa da realizzare entro il 2020. Il Regolamento tutela il diritto dell’utente ad un accesso libero ad internet, che deve essere rispettato nelle offerte commerciali proposte dagli ISP, e consente pratiche di gestione del traffico solo per esigenze tecniche e non commerciali, solo se esse non violano quel diritto fondamentale dell’utente, solo se sono trasparenti, non discriminatorie, temporanee e proporzionate all’esigenza di ottimizzazione tecnica dell’utilizzo della rete (Art. 3). Il tema della trasparenza è sviluppato nell’Art. 4 dove si indicano le informazioni che il contratto offerto dall’ISP deve contenere per informare il cliente sulle pratiche di gestione del traffico e sull’impatto che esse possono avere per l’utente. Gli articoli 5 e 6 definiscono il ruolo delle Autorità nazionali e della loro organo di coordinamento (BEREC) nel monitoraggio e nell’enforcement del Regolamento. Al BEREC, in particolare, vengono commissionate sia la redazione delle linee guida applicative del Regolamento, sia una valutazione in itinere della sua applicazione e un parere per Parlamento e Consiglio[8]. L’articolo 7 modifica precedenti norme per abbattere progressivamente i costi del roaming nello spazio del mercato unico europeo[9].
Al di là di ogni giudizio di merito, il Regolamento 2015/2120 rappresenta un documento di grande chiarezza, anche se ciò non significa che la sua applicazione sia cosa semplice e non controversa, data la complessità dei temi e delle infrastrutture coinvolte e il loro straordinario tasso di innovazione. Come vedremo, larga parte dei problemi applicativi del Regolamento, derivano dal frammentato quadro regolatorio europeo, dalla polverizzazione del mercato delle telecomunicazioni, dalla scarsa presenza europea nei mercati dei produttori di contenuti e applicazioni (CAP). Il Regolamento, a nostro giudizio, è assolutamente necessario in vista della creazione del mercato unico europeo delle TLC e di internet, perché pone le basi per un superamento di questa polverizzazione, ma senza una semplificazione normativa a livello nazionale e senza il superamento delle prerogative nazionali non è sufficiente. Ad esempio, come sostiene il Report di Epicenter Works, è venuta meno nella definizione del Regolamento la diretta sanzione da parte europea delle violazioni, come era invece avvenuto per il GDPR. I, rinvio alle Autorità nazionali ha portato ad una variabilità del sistema sanzionatorio che contrasta con la creazione del mercato unico. Non sarà il Regolamento a frenare gli investimenti europei nel 5G, ma la perdurante frammentazione dei mercati nazionali.
Il 5G Manifesto e la risposta della Commissione
Gli operatori europei e un gruppo di fornitori di infrastrutture -come Nokia ed Ericsson-e di industrie verticali -come Thales Alenia Sapce, Royal Philips, Airbus- hanno pubblicato il 5G Manifesto del 2016, successivamente alle linee guida sulla net-neutrality del BEREC, hanno espresso le loro preoccupazioni che una regolazione stringente sulla net-neutrality sia di impaccio allo sviluppo degli investimenti nel 5G: “L’industria delle Telecomunicazioni manifesta la sua preoccupazione che le linee guida attuali sulla net-neutrality, emesse dal BEREC creino una significativa incertezza sul ritorno degli investimenti nel 5G. Gli investimenti possono quindi subire ritardi se i regolatori non prendono una posizione favorevole all’innovazione e aderiscono con il lor comportamento a questo indirizzo” [10] Come si vede, le ragioni delle preoccupazioni che attanagliano i Repubblicani e l’Amministrazione Trump negli Stati Uniti ritornano a galla anche in Europa. Guenther Oettinger, il Commissario al bilancio dell’Unione, certamente molto attento alle esigenze dell’industria, ha accolto favorevolmente il Manifesto considerandolo un input per le politiche dell’Unione. Il quadro che recentemente la Commissione ha prodotto per una prima valutazione dell’impatto del Regolamento è riassumibile in questi termini:
- rispetto alla situazione di partenza, il Regolamento ha eliminato la pratica dei gestori di bloccare l’uso del VoIP (che non produce fatturato per i gestori stessi), blocco di cuimolte associazioni di consumatori e o,ti cittadini si erano lamentati negli anni precedenti (almeno il 21% degli utenti in banda larga lo lamentava e almeno il 36% degli utenti in banda larga mobile);
- rispetto alle prospettive di sviluppo dei servizi 5G, il Regolamento sembra garantire margini e flessibilità per consentire la crescita degli investimenti in queste aree decisive di sviluppo di internet;
- il cosiddetto zero-rating che tanta importanza ha negli Stati Uniti, non è citato dal Regolamento che lo riconduce in quanto pratica di prezzo differenziato al tema della gestione del traffico (traffic management), ossia alle offerte commerciali in cui il costo della connessione è coperto da contributi dei content providers (musica, film etc.)
- rispetto alle offerte di servizi dedicati, in cui l’utente stesso concorda la limitazione di accesso ad internet per consentire tali servizi (ad es. telemedicina o sicurezza negli immobili), la Commissione non ritiene che vi sia conflitto con il Regolamento, purché tali limitazioni siano scelte dal consumatore e non imposte dalla società che offre i servizi;
- Il BEREC monitorerà l’evoluzione sia sul fronte 5G sia sul fronte delle pratiche commerciali (trasparenza, misurazione delle prestazioni), riferendo alla Commissioni con eventuali proposte di intervento.
Il quadro che la Commissione traccia è moderatamente ottimistico, anche se sul fronte del 5G la Commissione e lo stesso BEREC in realtà possono dire ancora assai poco, trattandosi di servizi in fase di sperimentazione. In generale, si può osservare che l’atteggiamento è prudente, con una insistenza sia del BEREC sia della Commissione sulla necessità di valutare caso per caso se effettivamente le innovazioni e le prassi commerciali possano ledere il diritto di accesso non discriminatorio alla rete, ossia senza selezionare i clienti, senza selezionare i contenuti, senza selezionare gli apparecchi con cui si realizza la connessione.
L’applicazione del Regolamento
A conclusioni diverse da quelle della Commissione giunge il Report di Epicenter Works sull’applicazione del Regolamento[11]. L’analisi è condotta in modo accurato, se ne possono certamente discutere alcune conclusioni, come vedremo, ma nei limiti della disponibilità di dati e documenti ufficiali la ricerca chiarisce alcuni aspetti essenziali dell’applicazione del Regolamento nei primi due anni e mezzo dalla sua entrata in vigore. Il Report ha come obiettivo quello di contribuire al dibattito sulla net-neutrality nella prospettiva dello sviluppo del 5G, e sulla base dei dati raccolti giunge a conclusioni rilevanti intorno alla pratiche di differenziazione di prezzo (DPP ovvero zero rating), intorno alla trasparenza degli impegni contrattuali degli ISP verso i consumatori, intorno al monitoraggio avviato e alle sanzioni applicate dai regolatori nazionali.
Dai dati raccolti emerge che la pratica dei DPP dopo l’introduzione del Regolamento si è estesa, tuttavia le Autorità nazionali di regolazione si sono astenute non solo dalla sanzione, ma anche dall’accertamento di eventuali violazioni. Nei paesi dove queste pratiche si sono maggiormente diffuse, maggiore è stato l’incremento dei prezzi dei servizi, e non viceversa, come sostenuto da color che contrastano il Regolamento. Epicenter Works ricava dall’analisi dei dati la conclusione che esistono effetti perversi di queste pratiche: una chiusura dei sottomercati nazionali su se stessi, con l’effetto di favorire i player americani, una diffusione non sanzionata di pratiche di intrusione, violazioni della privacy e gestioni del traffico internet da parte degli operatori correlate non ad esigenze tecniche ma ad obiettivi commerciali.
Su questo aspetto la più importante conclusione della ricerca è che, senza eccezioni, le Autorità nazionali sono restie dall’indagare sulla natura degli interventi di traffic management e di acquisizione di dati relativi al traffico da parte degli ISP. Sono la frammentazione del mercato e la dimensione locale dell’enforcement che costituiscono il problema principale dell’applicazione del Regolamento 2015/2120: questa è la principale conclusione della ricerca di Epicenter Works, sulla quale non possiamo dissentire.
Net neutrality e 5G
La rete 5G, basata sulla gestione virtualizzata (NFV) e sulla configurazione sofware della rete stessa (SDN) consente di definire una infrastrutture articolata in slices, in grado di incontrare nel modo più adatto le esigenze della domanda all’interno di una infrastruttura unitaria. Ciascuna slice sarà identificata da un set di funzionalità di rete 5G e di configurazioni delle apparecchiature radio combinate insieme per le specifiche esigenze del business[12]. Alcuni grandi mercati di questi servizi sono stati identificati da ITU[13] come: Enhanced Mobile Broadband, Ultra Reliable and Low Latency Communication, Machine Massive Type Communication e sono schematizzati dalla figura che segue.
Quali sfide per le telecom
Come insegnano gli eventi intercorsi successivamente alla crisi finanziaria del 2008, le telecom hanno subito una contrazione dei margini che ha portato in molti casi ad una riduzione del loro valore di borsa, e ad un indebitamento crescente per sostenere gli investimenti: nell’ultimo quinquennio Tim ha perduto il 38% del suo valore, Vodafone il 23%, British Telecom il 50%, a fronte di Verizon, Deutsche Telecom e AT&T che lo hanno leggermente incrementato. Quindi le telecom hanno bisogno di vincere la sfida, cruciale, del 5G, recuperando margini nell’erogazione di servizi a valore aggiunto: non possono permettere che gli investimenti colossali nella nuova rete siano tariffati secondo una logica di common carrier, per usare l’espressione statunitense, o di utilities, per usare quella europea. La riorganizzazione del settore è necessaria per sostenere gli investimenti per lo sviluppo della nuova rete: riduzione dei costi, riduzione dell’indebitamento e ricerca di nuove fonti di finanziamento, alleanze alla ricerca di sinergie.
In Italia, TIM, sotto la guida di Gubitosi, ha superato le oscillazioni del passato (prolungamento della vita della rete in rame, rinvio degli investimenti nella fibra) sulla rete e ha avviato il processo sui diversi fronti, in particolare su quello della razionalizzazione dei costi della rete attuale, per creare spazio finanziario, in termini di minori costi, minore indebitamento, sinergie con altri operatori. È questo il senso dei recenti accordi con Vodafone sulla rete mobile, che porteranno alla creazione di un unico tower operator, con l’ingresso della rete di Vodafone in INWIT e poi l’assestamento dei due competitor come comproprietari della nuova INWIT trasformata in tower operator gigante, capace di investire nella rete 5G evitando che si dissanguino con nuovi debiti i due nuovi azionisti di riferimento. Vodafone avrà benefici di cassa pari a oltre due miliardi (conferimento della propria rete mobile a INWIT), acquisirà quote di INWIT per porsi alla pari con Telecom, con benefici per Telecom ancora non valutati, i due operatori avranno sinergie significative e quindi risparmi di costi, INWIT avrà maggiori ricavi con cui pagare l’acquisto della rete di Vodafone. INWIT disporrà di capacità di leverage sufficiente a sviluppare la rete 5G?
Oggi la capitalizzazione di INWIT, di cui TIM ha il 40%, è superiore ai 5 miliardi. TIM, d’altra parte, ha una capitalizzazione inferiore agli 11 miliardi, ma con un indebitamento di poco inferiore ai 30 miliardi che supera ampiamente i ricavi (22 miliardi), nel caso di INWIT l’indebitamento è contenuto, inferiore ai ricavi. Sulla base di queste considerazioni sulla della capitalizzazione e l’indebitamento attuale sembrerebbe che il leverage della nuova INWIT, ossia la capacità di indebitamento per finanziare nuovi investimenti, possa rimanere elevata. A questa chiara scelta di strategia di TIM, si affianca quella non meno importante di alleanza con Open Fiber e con per la creazione di una rete fissa condivisa: altri accordi coinvolgono le aziende di telecomunicazioni presenti in Italia (Iliad-Cellnex) Wind-Tre Fastweb, sempre per la realizzazione del 5G.
Conclusioni
Con lo sviluppo di internet e con la sua evoluzione 2.0, il tema della net-neutrality risorge sotto due punti approcci che si confrontano. Il primo sorge dalla domanda: la capacità innovativa della rete è legata indissolubilmente alla sua accessibilità libera? Se la risposta è sì, allora gli ISP che gestiscono l’accesso alla rete devono essere common carrier per assicurare a tutti l’accesso indiscriminato. Il secondo sorge da una domanda diversa, anch’essa riconducibile ad un’idea di libertà, diversa dalla precedente: se si deve alla libertà di investire la continua creazione di nuovi orizzonti nella rete, non dobbiamo in ogni modo contenere le forme di regolazione che incidono negativamente sulla propensione ad investire di chi crea nuovi servizi? Se la risposta è sì, allora gli ISP sono semplici fornitori di servizi privati, liberi dai vincoli dei common carrier.
È convinzione di chi scrive che le due questioni siano entrambe rilevanti, ma che la risposta positiva ad una di esse non escluda affatto una risposta positiva anche all’altra. Non solo, il fatto che negli USA gli ISP siano portati fuori dal Title II e quindi non siano più common carrier, non significa affatto che in quel Paese si sia optato per un assetto che conculca i diritti di accesso dei cittadini: si è optato per continuare a fare affidamento, per la tutela di quei diritti, sulla capacità di intervento giurisdizionale (ex post) invece che regolatorio (ex ante). Infine, riteniamo che non esista una soluzione “migliore” da scegliere nel confronto tra l’assetto attuale sulle due sponde dell’Atlantico, esistono due differenti sistemi, non esportabili in quanto tali, che affrontano necessariamente in modo diverso gli stessi problemi.
Negli Stati Uniti alcune posizioni si avvicinano a quelle della regolazione europea senza citarle: esse invocano una attitudine più pragmatica, soprattutto all’opposizione democratica, e una maggiore attenzione ai bisogni effettivi degli utenti di internet. Queste posizioni sostengono di non avvitarsi sul confronto politico intorno al ruolo degli ISP, quanto di proporre una politica attiva a difesa dei diritti di accesso ad internet, sia con strumenti regolatori (diritti di base irrinunciabili) sia attraverso politiche attive per consentire l’utilizzo della rete efficace e consapevole (formazione, superamento del digital divide etc.)[15]. In Europa la Commissione e lo stesso BEREC sembrano molto prudenti nell’applicazione del Regolamento, con una impostazione che proclama di esaminare sempre caso per caso l’effettiva violazione delle condizioni di net-neutrality. Questa prudenza induce a pensare che vi sia una volontà di adottare una filosofia molto simile a quella della common law di oltre Atlantico.
“Il problema non è più se l’imposizione di “neutralità” impedirà la creazione di corsie veloci e lente su Internet, ma piuttosto se il progresso tecnologico possa soddisfare una domanda sempre più eterogenea in modi sempre più efficienti e trasparenti. Mentre esaminiamo spesso strumenti normativi per far rispettare meglio i diritti degli utenti e salvaguardare la concorrenza, la chiave potrebbe risiedere nelle tecnologie future, il cui sviluppo potrebbe essere impedito con le norme attuali. Le reti 5G affrontano la sfida di essere sviluppate in un contesto di elevata incertezza, dove la maggior parte dei servizi su cui si basano i modelli di business 5G sembrano essere illegali secondo le norme attuali. La ricerca futura è essenziale per avviare un nuovo dialogo interdisciplinare, fondamentale per preservare il livello di innovazione che da tempo caratterizza Internet sia in ambito tecnico che commerciale.[16]”
Come dimostrano le scelte concrete delle telecom, l’ambiente 5G presenta incertezze assai elevate, a fronte di investimenti giganteschi. Le incertezze sono in larga misura dovute al flusso atteso dei ricavi e alla sua collocazione. Infatti non è chiaro se alcune applicazioni molto di moda (automazione automobilistica ad esempio) abbiano effettiva possibilità di applicazione nella scala e nella profondità di cui si parla quando si delineano gli scenari del 5G, o incontreranno invece limitazioni importanti sotto il profilo giuridico per la questione della attribuzione delle responsabilità civili in caso di incidenti tra macchine a guida automatica[17]. Per quanto riguarda la collocazione dei ricavi, è certamente vero che lo sviluppo della rete intelligente che sostiene lo sviluppo dei servizi 5G rappresenta una fonte potenziale di valore aggiunto per le telecom, che hanno assistito negli anni recenti ad uno spostamento della profittabilità verso gli OTT. Ma non è chiaro quanto di questo nuovo valore aggiunto dovrà essere condiviso con gli sviluppatori delle applicazioni verticali 5G, che potrebbero essere società fortemente specializzate nelle aree della logistica, della grande distribuzione, dell’automobile, piuttosto che nell’area dei contenuti, sia tipo Netflix sia videogiochi. 5G significa una articolazione dei servizi tale che sarà impossibile mantenere soprattutto in Europa, un sufficiente grado di apertura agli investitori, senza ridefinire il concetto stesso di neutralità della rete e forse il concetto stesso di internet.
Note
- An Act to provide for the the Incorporation and Regulation of Telegraph Company, 12 Apr. 1848, Laws of the State of New York, 340, p. 739, cit in: M. Orofino, La declinazione della net-neutrality nel Regolamento Europeo 2015/2120. Un primo passo per garantire un’Internet aperta?, Federalismi.it Focus TMT-21 novembre 2016. ↑
- Per una definizione sintetica efficace dell’Ordoliberalism, vedi :A. Jones, B. Sufrin, EU Competition Law, Oxford Univ. Press, 2016, p. 25. L’equilibrio tra competizione di mercato e regole (in primis quelle su lavoro assistite dal sitema diffuso del welfare), è alla base della produzione normativa europea. Quanto ancora tale equilibrio possa garantire lo sviluppo futuro del sistema delle regole europee è tema di discussione, dopo che le elezioni europee del 2019 e la Brexit hanno messo in discussione l’equilibrio raggiunto tra Partito Popolare e Socialisti. Sul rapporto tra Ordoliberalismo e neoliberalismo, si veda il bel saggio di R. Sally, L’ordoliberalismo e il mercato sociale, IBL Occasional Paper 89, 10 dicembre 2012. ↑
- https://obamawhitehouse.archives.gov/net-neutrality ↑
- Il Presidente del Republicam Policy Committee Roy Blunt, nel suo Policy Paper del 27 febbraio 2018, Why Title II is not the Answer for Internet Freedom, dopo aver ricostruito l’origine storica ed il contesto in cui matura l’inclusione delle telecomunicazioni nel Title II, ritiene cha la FCC abbia ondeggiamenti sulla net-neutraliyy, che impongono una iniziativa legislativa, nella parole del Presidente del Comitato del Commercio John Thune: “come unica strada per risolvere le oscillazioni delle regole sulla net-neutrality che hanno caratterizzato un lungo intervallo di anni”. ↑
- https://www.theverge.com/2017/7/13/15949920/net-neutrality-killing-small-isps ↑
- Ivi. ↑
- Telecom Package (2009), ↑
- Il Parere del BEREC è stato utilizzato, insieme ad altre indagini, dalla Relazione della Commissione al Parlamento Europeo e al Consiglio sull’attuazione del Regolamento 2015/2110 in materia di accesso a un’Internet aperta , COM (2019) 203 final del 30.4.2019 ↑
- Per una chiara esposizione delle novità del Regolamento e del ruolo di AGCOM, in particolare per laliberalizzazione del router, si veda C. Crivellaro, Neutralità della rete e modem libero, l’impatto sugli utenti (dal 2019), Agenda Digitale 19 novembre 2018. Il Parere si trova in: BEREC, Opinion for the evaluation of the application of Regulation (EU) 2015/2120 and the BEREC Net Neutrality Guidelines, Document number: BoR (18) 244 del 6 12 2018. ↑
- http://telecoms.com/wp-content/blogs.dir/1/files/2016/07/5GManifestofortimelydeploymentof5GinEurope.pdf . Pag. 5 ↑
- Epicenter Works, The Net Neutrality Situation in the EU Evaluation of the First Two Years of Enforcement, 29 1 2019, https://epicenter.works/sites/default/files/2019_netneutrality_in_eu-epicenter.works-r1.pdf ↑
- NGMN Alliance. (2015). 5G white paper. Next Generation Mobile Networks, White Paper. https://www.ngmn.org/fileadmin/ngmn/content/downloads/Technical/2015/NGMN_5G_White_Paper_V1_0.pdf ↑
- ITU, Setting the Scene for 5G: opportunities and Challenges, 2018 https://www.itu.int/en/ITU-D/Documents/ITU_5G_REPORT-2018.pdf ↑
- Ivi, p. 8. ↑
- https://morningconsult.com/ ↑
- Z. Frias and J. P. Martínez, The Challenge of Net Neutrality Policies for 5G Networks, IEEE Internet Initiative eNewsletter, November 2017. ↑
- K. S. Abraham, R. L. Rabin, Automated Vehicles and Manufacturer Responsibility for Accidents: A New Legal Regime for a New Era, Virginia Public Law and Legal Theory Research Paper No. 2018-19, Stanford Public Law Working Paper. ↑