Ora che il problema dello Statuto dell’AgID sembra essere finalmente superato1 – visti i trascorsi permettetemi ancora un minimo di prudenza – e la sua storia infinita volgere felicemente al termine, occorre tempestivamente passare alla fase di execution, per dirla come va molto di moda negli ultimi tempi.
Bisogna, infatti, dare attuazione agli obiettivi e ai progetti della Agenda Digitale italiana e rendere finalmente disponibile quell’ecosistema digitale che è condizione ineludibile per la crescita e la competitività del Paese.
In un mondo globalizzato è impensabile, ad esempio, che si dispieghi pienamente la entrepreneurial discovery, ovvero la “missione” dell’imprenditore che, come un pioniere, esplora nuovi mercati, ambiti di applicazione, soluzioni per i propri prodotti e processi, in assenza di infrastrutture e servizi digitali2.Al tempo stesso non è ammissibile che bambini, adolescenti e giovani, che vivono una condizione di nativi digitali, debbano tornare indietro nel tempo perché il loro ambiente scolastico e formativo è ancora di tipo medioevale.
Occorre quindi dare attuazione all’Agenda Digitale.
Anche il Presidente del Consiglio Enrico Letta, intervenendo al Digital Agenda Annual Forum organizzato da Confindustria ha affermato che “l’Agenda Digitale è la riforma dello Stato”. Adesso però bisogna trovare le risorse finanziarie per farlo.
Non condivido assolutamente l’affermazione che i soldi non sono un problema e sono in totale disaccordo con chi lo afferma. Adesso che l’impasse politica dello Statuto è superata i soldi non sono un problema, i soldi sono il problema.
Ne servono tanti e servono subito.
Bisogna urgentemente fare chiarezza sulle risorse finanziarie che sono la condizione necessaria per programmare la digitalizzazione del Paese.
Ovviamente sto parlando di risorse da investire – a fronte di un preciso e dettagliato piano di ritorno degli investimenti – e non certo da destinare per incrementare la gigantesca spesa corrente della pubblica amministrazione in ICT, che deve essere urgentemente riqualificata per liberare nel tempo nuove risorse. La spinta politica all’innovazione, finalizzata non solo alla creazione di una pubblica amministrazione più efficiente che offra servizi evoluti a cittadini e imprese, ma anche a rappresentare una leva di competitività, di crescita e di rilancio dell’occupazione, non può non essere accompagnata da un piano finanziario, robusto, chiaro e credibile.
Il dispiegamento su tutto il territorio nazionale della banda larga e ultralarga, la razionalizzazione e la messa a norma dei data center della pubblica amministrazione, la messa in sicurezza dei dati pubblici e di quelli sensibili, la disponibilità di piattaforme tecnologiche materiali e immateriali – prima tra tutte il cloud – la riprogettazione dei servizi e la loro interoperabilità, le politiche di liberazione e di messa a valore degli open e dei big data, l’anagrafe digitale nazionale, il riconoscimento di cittadinanza digitale, la dematerializzazione dei processi – a partire dalla fatturazione – la digitalizzazione del sistema scolastico e formativo, il fascicolo sanitario elettronico, la diffusione dell’eCommerce e dei sistemi di pagamento elettronici … e la lista potrebbe allungarsi ancora, necessitano di ingenti risorse finanziarie da investire.
Dove si possono trovare i soldi che servono?
Sicuramente non negli asfittici e disastrati bilanci dello Stato, delle Regioni e degli Enti Locali, almeno sino a quando non sarà possibile – anche grazie agli investimenti – operare una strutturale riqualificazione della spesa, ponendo finalmente termine alla stagione della asettica e iniqua spending review.
La risposta fornita da Agostino Ragosa3 e da Roberto Sambuco4 è sicuramente quella più corretta: si possono e si devono usare i fondi strutturali della prossima programmazione europea e quelli di Horizon 2020.
Per non parlare sempre degli stessi argomenti, vediamo cosa potrebbero fare lo Stato e le Regioni sulla scuola digitale – o più in generale sul sistema scolastico, educativo e formativo -, lavorando insieme in una costruttiva azione di sistema.
Per recuperare il ritardo accumulato dalla scuola italiana – puntualmente indicato dall’OCSE – occorre per prima cosa la programmazione di un PON, affidandone il coordinamento al MIUR.
Le Regioni dovrebbero poi utilizzare i POR (FESR, FSE e FEASRE) in modo da massimizzare l’efficacia degli interventi. Le azioni di messa in efficienza energetica degli edifici scolastici, ad esempio, anche finanziabili come interventi di sviluppo energetico sostenibile sui FESR, potrebbero contribuire a rendere disponibili degli smart building, magari agendo in maniera integrata sui fondi destinati (sempre sul FESR) all’Agenda Digitale.
Le scuole delle aree montane e rurali potrebbero poi essere individuate come punti prioritari per l’interconnessione in banda larga e ultra larga (fondi MISE e delle Regioni) anche attraverso il contributo dei FEASR.
Data center e cloud non dovrebbero essere sicuramente oggetto di interventi ad hoc così come le piattaforme tecnologiche, ad esempio quella di dematerializzazione, potrebbero essere facilmente oggetto di riuso.
Le risorse FSE potrebbero infine sostenere gli interventi formativi e gli aggiornamenti in materia di didattica e digitale, oltre alla creazione dei contenuti didattici in formato digitale.
Facile?
Non necessariamente, ma utile sicuramente si.
1 http://www.corrierecomunicazioni.it/pa-digitale/25158_agid-si-sblocca-lo-statuto-e-alla-corte-dei-conti-per-l-approvazione.htm
2 Come hanno già dimostrato vari fenomeni della società digitale, importanti trasformazioni economiche oggi avvengono dal basso verso l’alto, grazie anche all’atteggiamento mentale di scoperta imprenditoriale (Entrepreneurial Discovery) che può dare i migliori risultati se favorito dall’ambiente circostante.
3 http://www.agendadigitale.eu/infrastrutture/576_ragosa-come-otterremo-i-fondi-europei-per-l-agenda.htm
4 http://www.agendadigitale.eu/infrastrutture/587_sambuco-mise-fondi-ue-anche-per-i-tre-progetti-di-caio.htm