A meno di due settimane dalla chiusura della gara per la realizzazione della rete 5G nelle aree bianche andata deserta, il Ministero per l’Innovazione e la Trasformazione Digitale pubblica il nuovo bando che dovrebbe superare i problemi emersi nella prima versione. I tempi dell’auspicata “concertazione” sono stati veloci, incluso il coinvolgimento della Commissione europea.
A questo punto si riapre la gara per l’aggiudicazione non più di 1 miliardo di euro, ma di meno di 600 milioni.
Italia 5G, asta deserta: i motivi del no e gli scenari futuri
Cosa non aveva funzionato e cosa cambia? Vale la pena di ricostruire sinteticamente quanto accaduto per poi capire quale sarà verosimilmente l’esito finale.
Le caratteristiche del primo bando 5G
I bandi per le infrastrutture 5G sono due: il primo per la realizzazione dei backhauling ad altissima capacità per i siti esistenti (circa 11.000) e il secondo, quello andato deserto, per intervenire in circa 3.000 aree a fallimento di mercato (circa 2.400 obbligatorie e 600 facoltative) nelle quali non erano previsti siti radiomobili 5G con le prestazioni previste dalla Strategia Italia Digitale 2026. Entrambi i bandi avevano una dotazione di circa un miliardo di euro ed erano articolati in lotti territoriali relativamente omogenei.
L’obiettivo prestazionale del bando per i nuovi siti è sostanzialmente quello delle reti Very High Capacity Network (VHCN), vale a dire 150 Mbit/s in downlink, ma con 30 Mbit/s in uplink. L’intervento prevedeva, inoltre, la realizzazione di infrastrutture private, passive e attive, comprensive dei rilegamenti di backhauling. Inoltre, doveva essere garantita la copertura di almeno il 30% delle aree di ogni Regione.
Alle caratteristiche tecniche e prestazionali si aggiungevano poi stringenti vincoli sul rispetto dei tempi (con avanzamenti semestrali e il completamento entro giugno 2026) e penali importanti (da 15.000 a 50.000 euro per sito non coperto, fino all’eventuale revoca del contributo), nonché il rispetto delle condizioni di accesso wholesale fissate secondo l’indirizzo dell’AGCom. Infine, venivano chieste delle garanzie economiche per l’esecuzione della convenzione ed era previsto un meccanismo di claw-back per l’eventuale sovra-compensazione, come in tutte le gare di questo tipo.
Il finanziamento pubblico raggiungeva il livello più finora previsto nelle gare pubbliche, vale a dire fino al 90% delle spese ammissibili.
Le criticità emerse
Può stupire che possa andare deserta una gara che prevede la copertura a fondo perduto del 90% delle spese ammissibili. In realtà, come era emerso anche in passato sui finanziamenti per la banda larga nelle aree a fallimento di mercato, la sostenibilità degli investimenti dipende anche dal bilanciamento tra il flusso atteso dei ricavi e i costi operativi, per cui anche a fronte della realizzazione di nuove infrastrutture pubbliche, non necessariamente gli operatori privati avevano ritenuto conveniente utilizzarle per attivare i servizi.
La figura che segue consente di comprendere meglio la tipologia delle aree di intervento, identificate come aggregazione di aree molto puntuali (ogni pixel è di 100x100m). Come ha rilevato un candidato in occasione della prima gara, in molti casi le aree individuate comprendevano pochi pixel o pixel molto distanti tra di loro, rendendo estremamente oneroso l’investimento.
Inoltre, nel caso di questi nuovi siti in aree relativamente marginali e, a maggior ragione in virtù dell’obbligo di apertura dell’infrastruttura anche ai concorrenti, è difficile immaginare flussi di ricavi incrementali al netto di quanto direttamente legato ai servizi wholesale. Di fatto, anche ipotizzando l’utilizzo di tutto il finanziamento pubblico (90%) l’intervento richiedeva almeno 100 milioni di investimenti privati, oltre ad alcune decine di milioni di costi operativi annui. Verosimilmente è proprio l’incidenza dell’affitto dei siti, dell’energia e degli altri costi operativi, a fronte di ricavi incrementali marginali, che ha scoraggiato i candidati, ovvero ha portato a ritenere strategicamente più opportuno aspettare che altri si facessero carico della realizzazione dell’infrastruttura per poi utilizzarla alle condizioni all’ingrosso. Se però, razionalmente, tutti gli operatori fanno le stesse valutazioni l’esito è inevitabilmente quello di rinunciare alla partecipazione.
A questo si aggiungono naturalmente gli stringenti vincoli di gara sopra ricordati (copertura, tempistica, condizioni all’ingrosso, penali), che hanno di fatto portato a valutare troppo rischiosa la partecipazione alla gara. Il tutto in un anno, il 2022, che prevede anche il pagamento della maxi-rata da 4 miliardi di euro per frequenze 5G aggiudicate nel 2018.
Le opzioni per il superamento delle criticità
A fronte delle criticità emerse e ipotizzando di mantenere l’obiettivo prestazionale fissate, le vie di uscita erano fondamentalmente riconducibili a tre variabili.
- La prima variabile riguarda i ricavi. Si può innanzitutto immaginare un aumento delle risorse pubbliche, ma dato che il contributo è già pari al 90% il problema rimane sostanzialmente lo stesso, non potendo incidere – per via dei vincoli in materia di aiuti di Stato – sui costi operativi che sono il vero nodo da sciogliere. In linea teorica si potrebbe anche ipotizzare un incremento dei prezzi dei servizi all’ingrosso garantiti al beneficiario del contributo, ma questo comporterebbe un’asimmetria rispetto alle altre aree e ulteriori complessità da affrontare, risolvibili solo in una logica da “servizio universale”. In tale caso verrebbero introdotti di fatto degli “oneri di sistema” a garanzia dell’universalità dei servizi, ma con un intervento regolamentare complessivo sui servizi a banda ultralarga.
- La seconda variabile riguarda i costi. Una progettazione unitaria che tenga conto delle esigenze di tutti gli operatori potrebbe consentire un incremento dell’efficienza dell’intervento e la massimizzazione della copertura. Anche in questo caso, l’impatto effettivo potrebbe però non essere particolarmente rilevante, anche perché, con ogni probabilità, alcuni operatori hanno già definito dei progetti congiunti, e comunque richiederebbe di ipotizzare un consorzio che raggruppi tutti gli operatori. Anche l’utilizzo del modello di intervento diretto da parte dello Stato non sembra portare ulteriori benefici e si scontra con la complessità sperimentata nel recente passato, oltre a dover comunque affrontare successivamente il problema dell’effettivo utilizzo delle infrastrutture da parte degli operatori.
- L’ultima opzione riguarda, infine, la soglia di copertura minima. Riducendo tale soglia, e a parità di altre condizioni, i partecipanti potrebbero selezionare solamente le aree per le quali il ritorno dell’investimento diventa accettabile. In questo caso, le altre aree marginali rimarrebbero definitivamente escluse in attesa di successivi interventi o evoluzioni tecnologiche.
Le caratteristiche del nuovo bando 5G per il fallimento di mercato
La scelta operata dal Governo per la rapida pubblicazione del nuovo bando è stata naturalmente la terza e il numero minimo di aree da coprire è stato di fatto dimezzato (da 2.403 a 1.201), senza ulteriori vincoli, mentre il finanziamento risulta ridotto del 40% circa (da 974 milioni di euro a 567 milioni). La riduzione del finanziamento è sicuramente legata all’esigenza di mantenere una coerenza con le valutazioni fatte inizialmente e per evitare il rischio di un sovra-finanziamento, ma questo libera teoricamente nuove risorse per ulteriori interventi.
I lotti territoriali rimangono quelli della precedente versione (sei) e rimangono sostanzialmente bilanciati. Tutte le altre condizioni del bando sono state sostanzialmente confermate. L’obiettivo prestazionale è stato mantenuto e il contributo pubblico massimo rimane pari al 90% delle spese ammissibili. Anche i tempi e le condizioni di accesso (fissate dall’AGCom) rimangono quelle del primo bando, così come i criteri di valutazione, che prevedono un peso della componente tecnica pari al 80% contro il 20% per quella economica.
Il futuro della lotta al digital divide
A questo punto cosa succederà?
È innanzitutto lecito aspettarsi che a fronte della concertazione e delle nuove condizioni ci sia almeno un candidato o raggruppamento che si farà avanti e che la gara venga effettivamente aggiudicata. Tuttavia, è altrettanto chiaro che rimarranno delle aree territoriali, per quanto marginali, che non saranno coperte dai servizi 5G, quanto meno al livello prestazionale fissato dal bando. Solo all’esito della procedura di gara si potrà poi fare il punto per capire l’entità del divario digitale che si andrà a creare e le condizioni, innanzitutto economiche, per rimuoverlo.
Il 10 giugno la consegna delle offerte, mentre viene confermata la data di firma della convenzione per fine luglio 2022.