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Nuove reti veloci, l’Ue punta sul contributo delle Big Tech, ma la strada è in salita

Nel 2023 partirà una consultazione pubblica sul finanziamento delle reti ad altissima velocità: un punto a favore delle telco nella loro contrapposizione più che decennale con gli OTT. Ma la questione dell”equo contributo va vagliata con attenzione e il percorso è comunque tutt’altro che immediato. I nodi

Pubblicato il 19 Set 2022

fibra ottica

Con l’annuncio del Commissario europeo per il mercato interno, Thierry Breton, in merito alla futura consultazione, prevista nel 2023, sul finanziamento delle reti ad altissima velocità, la lobby degli operatori di telecomunicazioni segna un punto a proprio favore nello scontro con gli Over The Top (OTT), vale a dire i giganti di Internet riassunti nell’acronimo “GAFAN” (Google, Amazon, Facebook, Apple e Netflix).

Chi paga le reti di nuova generazione? Una soluzione al dilemma delle telco

L’evoluzione della posizione della Commissione europea

Senza dimenticare che Thierry Breton vanta un’esperienza rilevante come CEO di importanti “campioni nazionali” dell’industria ICT francese (tra i quali France Telecom) la posizione della Commissione europea e in particolare alcuni Commissari, si dimostra sempre più sensibile all’argomento del finanziamento delle reti.

Non tutti si ricordano però un discorso del 2014 di Neelie Kroes, famoso Commissario per la concorrenza e poi Commissario per l’agenda digitale (“Adapt or die: What I would do if I ran a telecom company”), nel quale suggeriva agli operatori di prendere atto del segno dei tempi e dell’evoluzione dei mercati. D’altra parte, i principali governi europei stanno finanziando attraverso diverse misure di intervento la realizzazione delle reti ad altissima velocità.

Molta acqua è passata sotto ai ponti e oltre a Breton anche l’attuale Commissario per la concorrenza, Margrethe Vestager, ha recentemente affermato che il problema dell’equo contributo alla realizzazione delle reti merita di essere valutato “con molta attenzione”. In realtà, il Commissario intende, più in generale, che l’equa ripartizione del valore creato nell’economia dei dati andrà analizzata dalla Commissione nelle diverse possibili declinazioni.

Anche se Breton aggiunge che il contributo al finanziamento è un “principio acquisito”, il percorso è comunque tutt’altro che immediato. La consultazione pubblica è prevista nella prima parte del 2023 e riguarderà in realtà un ambito molto più ampio, che è quello dell’evoluzione del Digital Market Act e del Digital Services Act nell’era del metaverso. Alla consultazione seguirà un processo legislativo di uno o due anni…

Oltre alla Commissione, anche i singoli governi nazionali prendono sempre più spesso posizione e, secondo Reuters, a inizio agosto e seguendo le iniziative anche di altri Paesi, Italia, Francia e Spagna avrebbero presentato un documento congiunto sulla necessità di un intervento legislativo comunitario in materia. Il nostro Ministero per lo Sviluppo Economico ha però smentito la notizia, dichiarando di non aver aderito all’iniziativa, né di intendere di farlo, rimandando la “delicata questione”, in un senso o l’altro, al prossimo governo. A proposito di nuovi governi, i programmi elettorali non si spingono a questo livello di dettaglio, ma il M5S pone l’attenzione sul ruolo dell’innovazione digitale per il miglioramento della qualità della vita e prevede un suggestivo “sistema di rimborso dei dati dei cittadini ceduti attraverso piattaforme digitali e utilizzati ai fini della profilazione e della successiva vendita”.

Il dibattito si è sviluppato anche negli Stati Uniti, ma in verità è più mirato all’annullamento del digital divide nelle aree più remote attraverso il finanziamento delle infrastrutture a banda ultra larga. L’Infrastructure, Investment and Jobs Act prevede un investimento federale di 65 miliardi di dollari, ma nella prospettiva dell’allargamento delle prestazioni potrebbe essere necessario un contributo da parte di tutti gli attori.

Punti di vista a confronto

La recriminazione degli operatori di telecomunicazioni è ben nota e trova origine almeno dieci anni fa quando diventa chiaro che sarebbero stati gli OTT i veri vincitori dello sviluppo di Internet, a fronte di crescenti investimenti degli operatori nelle reti fisse e mobili.

Negli ultimi anni si sono moltiplicati gli studi, sponsorizzati in particolare dalle associazioni europee ETNO e GSMA, che hanno quantificato il fenomeno e le possibili ripercussioni. Tra gli ultimi, l’analisi di Axon Partners relativo all’Europa ricorda che gli OTT generano il 55% del traffico dati, ma non contribuiscono direttamente gli ingenti investimenti nelle reti, che sono ammontati a 500 miliardi di euro negli ultimi dieci anni. Nello studio viene anche citato l’extra costo legato all’esplosione del traffico (innanzitutto video) e addirittura presentato un ipotetico costo che dovrebbero sostenere gli OTT. I costi incrementali vengono valutati da Frontier economics in 15-28 miliardi di euro all’anno (salendo fino a 36-40 miliardi se si includono anche i costi fissi). L’analisi si spinge poi a stimare l’impatto di un eventuale contributo annuo di 20 miliardi di euro, che merita di per sé un confronto tra esperti e scuole di pensiero…

A queste richieste gli OTT rispondono attraverso la Computer And Communications Industry Association (CCIA) che riunisce i principali OTT statunitensi, che non lesinano certamente energie per sostenere le proprie tesi, visto che le risorse per attività di lobby sono cresciute sensibilmente negli ultimi anni e hanno raggiunto quasi 30 milioni di euro per i primi 5 OTT l’anno scorso, secondo il Registro per la Trasparenza della Commissione europea. La risposta si può riassumere nella metafora della lavatrice: “è come se i fornitori di energia chiedessero di introdurre una tassa sui produttori di lavatrici perché i consumatori finali consumano molto elettricità…”. La CCIA ricorda poi gli ingenti investimenti realizzati per lo sviluppo delle nuove piattaforme, ma anche per ridurre la congestione delle reti.

Anche MVNO Europe (l’associazione degli operatori mobili virtuali) ha recentemente sollevato dei dubbi sull’efficacia di un eventuale contributo alle nuove reti. Anche in questo caso l’obiezione è che gli operatori sono di fatto già remunerati, sia dai clienti finali che attraverso i servizi all’ingrosso. Ulteriori forme di contributo/tassazione farebbero di fatto venire meno il modello stesso di funzionamento di Internet e, in ultima analisi, danneggerebbero la concorrenza.

Un problema mal posto

Come abbiamo ricordato in un precedente articolo ha probabilmente ragione Neelie Kroes e la vera soluzione risiede nella creazione di un level playing field più omogeneo che consenta a tutti gli attori di competere ad armi pari. Del resto, cosa hanno in realtà in comune attori come Amazon, Apple, Netflix, Microsoft, Facebook, Google? Sono entità in realtà estremamente eterogenee, che offrono servizi altrettanto diversi e che sfruttano vantaggi competitivi molto diversi tra di loro.

Con questo obiettivo sullo sfondo, gli argomenti che diventano prioritari sono da un lato l’estensione del Servizio Universale per garantire l’accesso ai servizi più avanzati a tutti i cittadini e le imprese e, dall’altro, una rigorosa applicazione delle regole Antitrust per evitare abusi di posizione dominante e garantire il pieno funzionamento delle dinamiche concorrenziali. Senza dimenticare l’auspicabile intervento, molto complesso, sulla fiscalità applicata nei diversi Paesi.

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