L’istituzione del Codice europeo delle comunicazioni elettroniche introduce importanti novità attese dai consumatori da anni. La possibilità di passare da un fornitore a un altro rappresenta un fattore fondamentale per promuovere una concorrenza effettiva in un contesto competitivo.
In Italia il recepimento della direttiva (UE) 2018/1972, un testo che finalmente colma un divario, è stata l’occasione per un’operazione strutturale di revisione della normativa di settore attualmente in vigore, con l’obiettivo di elaborare un unico atto normativo che comprenda tutte le modifiche legislative intervenute nel tempo, senza toccare la regolamentazione relativa alle reti e servizi di comunicazione elettronica ad uso privato. Ma, se il nuovo Codice delle comunicazioni elettroniche è un “new deal” per i diritti dei consumatori, contiene anche alcuni punti aperti, relativi alle offerte in bundle.
Codice europeo delle comunicazioni elettroniche, Stati Ue in ritardo: a che punto è l’Italia
Gli obiettivi principali del Codice delle comunicazioni elettroniche
Il recepimento della direttiva (UE) 2018/1972 del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 dicembre 2018 ha istituito il Codice europeo delle comunicazioni elettroniche (la “Direttiva”). In questa fase, il Governo italiano ha adottato uno schema di decreto legislativo, sulla base dei princìpi e dei criteri direttivi della delega [1], ancora sottoposto all’esame parlamentare, rappresenta quindi, almeno nelle intenzioni, la bozza del nuovo Codice delle Comunicazioni Elettroniche.
Il decreto legislativo interviene modificando i primi 98 articoli del vigente decreto legislativo [2], lasciando invece inalterata la regolamentazione relativa alle reti e servizi di comunicazione elettronica ad uso privato.
Gli obiettivi principali dell’intervento normativo, già fissati dalla Direttiva, consistono nella promozione della concorrenza, del mercato interno e degli interessi degli utenti finali.
Il diritto alla trasparenza
Viene creato un legame inscindibile – e non potrebbe essere diversamente – tra la possibilità di trarre pienamente vantaggio da una concorrenza effettiva e i diritti dei consumatori. Da un lato, il diritto alla trasparenza delle condizioni contrattuali assume una duplice valenza sia sotto il profilo microeconomico, sia sotto quello macroeconomico:
- dal punto di vista microeconomico, il diritto alla trasparenza è volto a prevenire le asimmetrie informative e a garantire una concreta tutela del contraente debole;
- dal punto di vista macroeconomico, consente la conformazione di un sistema di mercato realmente concorrenziale rispetto ai beni e servizi offerti ai consumatori finali.
Dall’altro lato, la possibilità di cambiare fornitore senza incontrare ostacoli giuridici o tecnici, sotto forma di condizioni contrattuali, procedure e costi ingiustificati, è essenziale per evitare indebiti meccanismi di lock-in – meccanismi leganti nelle offerte rivolte alla clientela finale -, su cui, da tempo, è accesso il faro delle autorità di regolazione e concorrenza.
Proprio le misure previste a tutela degli utenti finali [3] dello schema di decreto legislativo, potrebbe però rischiare di indebolire uno dei pilastri dell’atteso intervento legislativo.
Durata dei contratti e diritto di recesso dei consumatori
Lo schema di decreto legislativo [4] prevede infatti una disciplina specifica, relativamente alla durata dei contratti e al diritto di recesso dei consumatori [5].
La ratio complessiva della nuova disposizione non coglie di sorpresa, in quanto si inserisce nel solco di numerosi interventi, legislativi e regolamentari, volti a vietare ogni sorta di limitazione, diretta o indiretta, all’esercizio del diritto di recesso da parte degli utenti finali.
La possibilità di passare da un fornitore a un altro è e rimane un fattore fondamentale per una concorrenza effettiva in un contesto competitivo.
In questo senso, come noto, proprio per non privare il cliente della propria libertà di scelta di un nuovo fornitore per un periodo di tempo troppo lungo, già l’attuale normativa legislativa [6] e regolamentare [7] prevede un limite alla durata massima dei contratti offerti dagli operatori ai nuovi clienti.
A tal riguardo, la Direttiva avrebbe confermato la scelta fatta a suo tempo dal legislatore italiano, considerando ragionevole la possibilità per gli operatori di stabilire un periodo contrattuale minimo corrispondente ad un massimo di 24 mesi.
Tuttavia, la stessa Direttiva ha anche lasciato liberi gli Stati membri di mantenere o introdurre disposizioni relative a un periodo di durata massima inferiore.
Senza tanta sorpresa, lo schema di decreto manifesta la scelta fatta in sede di recepimento dal nostro legislatore che, cogliendo al volo l’occasione, ha allentato ulteriormente i vincoli temporali dell’impegno iniziale a cui può essere sottoposto il consumatore. Tra le modifiche apportate [8] dello schema di decreto legislativo, attribuisce all’Agcom il compito di provvedere affinché i contratti non impongano un periodo di impegno iniziale superiore a 12 mesi.
Dall’obbligo di formulare almeno un’offerta che preveda un vincolo di 12 mesi, il legislatore ha, invece, deciso di considerare tale limite applicabile a tutti i contratti conclusi tra consumatori e fornitori di servizi di comunicazione elettronica diversi dai servizi di comunicazione interpersonale indipendenti dal numero e dai servizi di trasmissione utilizzati per la fornitura di servizi M2M.
Tale intervento include anche i contratti che prevedono meccanismi di dilazione del pagamento di alcuni importi relativi all’acquisto di prodotti (quali telefoni, smartphone eccetera) o servizi (quali l’attivazione e la configurazione della linea e/o dei dispositivi, l’assistenza tecnica) che vengono offerti congiuntamente al servizio principale, estendendo di fatto tale limite temporale, senza distinzione, anche alla durata del piano rateale eventualmente scelto dal consumatore, tanto per i prodotti che per i servizi.
Nuovo Codice: novità e dubbi nelle offerte in bundle
L’Agcom, a tutela della libertà dell’utente di cambiare fornitore e quindi di recedere dal contratto, ha già chiarito che la durata della rateizzazione dei servizi (quali i servizi di attivazione, i servizi accessori eccetera) non può eccedere la durata del primo periodo di impegno iniziale, oggi ridotto a 12 mesi. Nonostante ciò, l’intervento, tuttavia, presta al fianco almeno a qualche dubbio, dal momento che lo stesso non può dirsi per le offerte che prevedono anche l’acquisto di beni, per le quali resta salva la possibilità di prevedere periodi di rateizzazione più lunghi rispetto alla durata del contratto principale.
Il legislatore sembra quindi essere andato ben oltre le aspettative, anche considerando il fatto che le stesse autorità di regolazione e concorrenza avevano valutato positivamente periodi di rateizzazione dei prodotti pari/superiori a 24 mesi.
Dal punto di vista dei consumatori, sembrerebbe che il legislatore non abbia poi opportunamente valutato se la ratio evidentemente sottesa a tale scelta, volta nel complesso a ridurre meccanismi di lock-in della clientela, evitando indebiti costi di uscita, non finisca con rendere poi troppo gravosi per i consumatori stessi i costi di ingresso e di mantenimento soprattutto in relazione a quei contratti che hanno ad oggetto offerte in bundle.
Conclusioni
Per le offerte in bundle, periodi di rateizzazione che almeno consentano al consumatore di optare per una durata che superi i 12 mesi, certamente rappresentano un’opzione che dovrebbe essere lasciata alla libera scelta dei consumatori, proprio in nome di quella consapevole autodeterminazione nelle scelte di consumo che guida da tempo l’intervento delle autorità di regolazione e concorrenza nel settore delle telecomunicazioni.
Note
- Delega contenuta nell’art. 4 della legge di delegazione europea 2019-2020 (Legge n. 53 del 2021). ↑
- Il decreto legislativo interviene novellando i primi 98 articoli del vigente decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 (D.lgs. 259/2003). ↑
- Nella Parte III, Titolo III dello schema di decreto legislativo. ↑
- Lo schema di decreto legislativo recepisce integralmente l’articolo 105 della Direttiva e sostanzialmente modificando l’attuale art. 70 del vigente D.lgs. 259/2003. ↑
- Art. 98-septies decies, dello schema di decreto legislativo. ↑
- Art. 80, comma 4-quater, D.lgs. 259/2003. ↑
- Art. 5, comma 1 e comma 2, delibera n. 519/15/CONS. ↑
- Modifiche apportate all’art. 70 del D.lgs. 259/2003, l’art. 98-septies decies. ↑