Entro il 21 dicembre 2020, gli Stati membri della Ue dovranno adottare le misure necessarie per il recepimento della direttiva (UE) 2018/1972 che ha istituito il nuovo Codice europeo delle comunicazioni elettroniche, entrato in vigore il 20 dicembre scorso.
La Direttiva che dovrà essere recepita e che giunge nella terza fase del complesso comunitario in materia di telecomunicazioni, esprime principi molto chiari ed innovativi rispetto al complesso normativo precedente, soprattutto per quanto attiene la finalità sottese all’intervento normativo, aprendo la strada a una vera e propria politica delle tlc a tutto tondo e non più solo tutela della concorrenza. Vediamo con quali conseguenze.
I nuovi compiti del Berec
Il regolamento (UE) 2018/1971 sul BEREC completa le disposizioni del Codice che hanno attribuito al BEREC nuovi compiti e ha l’obiettivo di potenziarne il ruolo, semplificando la struttura di governance e i processi decisionali di tale organismo.
L’Ufficio BEREC è un’agenzia dell’Unione europea che fornisce assistenza professionale e amministrativa all’Organismo dei regolatori europei delle comunicazioni elettroniche. L’organismo fa in modo che la legislazione pertinente dell’UE sia applicata uniformemente affinché l’UE abbia un mercato unico funzionante per le comunicazioni elettroniche.
Su richiesta o di sua iniziativa, fornisce assistenza alle istituzioni europee.
Il BEREC è composto dal cosiddetto comitato dei regolatori, un organismo costituito dai capi (o dai rappresentanti designati di alto livello) dell’autorità nazionale di regolamentazione di ciascun paese dell’UE.
Va rilevato che rispetto alla proposta iniziale della Commissione, che prevedeva la riunione del BEREC e dell’Ufficio BEREC in un’unica agenzia decentrata dell’Unione, nel testo finale è stata invece mantenuta la struttura duplice e la separazione tra i due organi.
La diversa finalità del Codice rispetto alla regolamentazione precedente
I nuovi principi e le nuove finalità sono stabiliti, in particolare dai considerando 3 e 22 del Codice a monte del quale è necessario”incentivare gli investimenti nelle reti a banda larga ad alta velocità” e contribuire “all’attuazione di politiche più ampie nei settori culturale, occupazionale, ambientale, della coesione sociale, urbanistico e dell’assetto del territorio“.
Un cambio di paradigma nel settore delle telecomunicazioni: se prima e da sempre il faro era nella tutela e promozione della concorrenza, adesso è nella crescita, nello sviluppo, negli investimenti.
Si tratta di obiettivi nuovi legati anche ad un diverso ruolo dello stato di promozione di investimenti pubblici e privati che, pur interpretandolo nel senso più ampio possibile, è difficile far rientrare nel diritto della concorrenza.
Si tratta di politiche economiche diverse dalla fiducia nel mercato e nella circolazione dei beni e servizi guidata dalla concorrenza che aveva permeato il primo sviluppo del settore delle TLC.
Sono, invece, essenzialmente finalità di politica industriale: consentire all’Europa di mantenere il proprio benessere e tenere il passo nei confronti delle altre potenze globali, sfruttando le potenzialità delle nuove tecnologie.
Un ruolo “politico” per le Autorità di regolamentazione
Così come la promozione degli investimenti, anche in ambito pubblico, diventa il faro a cui guardare da parte degli Stati europei nel perseguire le politiche di regolamentazione delle comunicazioni elettroniche, le istituzioni preposte al controllo ed alla vigilanza (oltre che alla regolamentazione) assumono una veste diversa rispetto al ruolo meramente “tecnico” che si erano viste assegnare dal quadro Comunitario precedente, il cui interesse prioritario era quello di garantire la piena indipendenza degli organi di regolazione dal decisore politico.
Le Autorità nel nuovo quadro comunitario, assurgono infatti a soggetti che perseguono anche “obiettivi politici“, come recita il “Considerando 80″ della Direttiva ed in maniera ancor più esplicita il “considerando 101”, laddove, a proposito dei contributi imposti alle imprese per i diritti d’uso dello spettro radio si prevede che gli Stati membri possono tener conto di eventuali costi connessi al soddisfacimento delle condizioni di autorizzazione imposte per perseguire obiettivi politici.
Il principio è poi ribadito dall’art 61, sesto comma della Direttiva, a mente del quale “gli Stati membri provvedono affinché l’autorità nazionale di regolamentazione sia autorizzata a intervenire di propria iniziativa ove giustificato per garantire il conseguimento di obiettivi politici….”
Risulta chiaro al legislatore comunitario come l’obiettivo pubblico di promozione degli investimenti e di diffusione delle reti ad alta velocità, possa divenire un obiettivo “politico” a cui affiancare, in via subordinata però, anche la promozione della concorrenza.
Deve essere vista in quest’ottica anche l’allargamento delle maglie del servizio universale, fino quasi a far emergere un diritto di accesso “universale” alle comunicazioni elettroniche, a beneficio anche delle categorie disagiate.
Un principio di civiltà giuridica che ha fatto storcere la bocca, soprattutto oltreoceano, ai fautori di uno stretto diritto della concorrenza.
Quali conseguenze e implicazioni?
Le conseguenze potrebbero essere due: un potenziale prezzo dei servizi legato agli investimenti, e dunque un possibile aumento anche del costo dei servizi, e l’avallo invece di politiche pubbliche legate a scelte di politica industriale privilegiate dallo Stato (esempio creazione di meccanismi di società wholesale only) o anche a scelte di gare sulle frequenze fatte per obiettivi politici e non più per privilegiare la concorrenza.
Certo dovremo aspettare il recepimento italiano per comprenderne le implicazioni effettive da noi.