L’upgrade delle reti di telecomunicazione ultraveloci costituisce il presupposto fondamentale per lo sviluppo dell’ecosistema digitale italiano. L’obiettivo è stato fissato con il Piano “Italia a 1 Giga”, che pone l’asticella alla velocità di 1 Gbps entro il 2026, quattro anni in anticipo rispetto alla deadline europea.
Il nuovo Piano Italia 5G individua una soglia di almeno 30 Mbps, innalzata a 150 Mbps per le infrastrutture di nuova generazione.
Riuscirà il nostro Paese a rispettare le scadenze realizzando una rete a prova di futuro entro il prossimo quinquennio? L’Istituto per la Competitività (I-Com), nel documento “Fare reti nella ripresa. Gli scenari del decennio digitale europeo e italiano”, ultima edizione del rapporto pubblicato con cadenza annuale dall’osservatorio su Reti e Servizi di nuova generazione, ha analizzato lo stato delle infrastrutture di telecomunicazione in Italia, per far luce sulle prospettive di diffusione della banda ultra larga nel nostro Paese.
Il contesto: PNRR, strategia BUL, Piano Italia 1 Giga e Piano Italia 5G
Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) prevede un profondo processo di rinnovamento del Paese che dovrebbe mettere l’Italia in condizione di superare grandi sfide come la digital transformation e la transizione ecologica. Nel complesso il PNRR annovera investimenti pari a 222,1 miliardi di euro, di cui 49,2 (il 22,15%) destinati alla missione “Digitalizzazione, Innovazione, Competitività, Cultura”. Il PNRR italiano ha previsto 6,7 miliardi di euro per lo sviluppo delle reti ultraveloci e in particolare per la realizzazione di “Piani” contenuti nella nuova Strategia per la Banda ultralarga pubblicata a maggio 2021.
Il nuovo documento definisce sette linee di azione da seguire per raggiungere gli obiettivi nazionali in ambito connettività. Uno di questi è il Piano “Italia a 1 Giga”, a cui è destinato il 58% (3,8 miliardi) delle risorse finanziarie disponibili, che fissa l’asticella da raggiungere entro il 2026 ad almeno 1 Gbps in download e 200 Mbps in upload sull’intero territorio nazionale, ponendo le basi regolamentari per l’intervento pubblico a sostegno della fase realizzativa delle reti.
Per quanto concerne le reti mobili, agli interventi previsti nel “Piano Italia 5G”, pubblicato e messo in consultazione lo scorso 15 novembre, sono destinati 2,02 miliardi.
Per definire le aree su cui programmare gli interventi pubblici, Infratel ha effettuato due nuove consultazioni relative alle intenzioni di investimento degli operatori nel prossimo quinquennio, una per il fisso e una per il mobile.
Lo stato attuale della copertura fissa e le prospettive di copertura al 2026
Per il settore fisso (Piano Italia 1 Giga) sono stati pubblicati soltanto i risultati riguardanti le prospettive al 2026, ma non sono noti quelli relativi alla situazione attuale. In assenza di tali dati, è possibile ottenere un’indicazione di massima dello stato di copertura delle famiglie italiane grazie alla broadband map dell’Agcom, aggiornata a dicembre 2020.
A quella data, la copertura in fibra con reti FTTP (Fiber-to-the-Premises) raggiunge il 34% delle famiglie italiane. La regione che presenta il valore più elevato è il Lazio (50%), la meno coperta è la Calabria (10%). A livello provinciale, diversi territori – specie in Calabria, Campania, Sardegna, ma anche del Lazio e del Nord Italia – presentano una copertura di rete ad almeno 100 Mbps inferiore al 40%, con minimi nelle province di Ogliastra (3%) e Isernia (13%).
Le prospettive di copertura al 2026
Utilizzando il database fornito da Infratel come risultato della consultazione sullo stato delle reti fisse, I-Com ha analizzato il breakdown regionale e provinciale della copertura al 2026. La prima regione in termini di connettività ad 1 Gbps dovrebbe essere il Friuli-Venezia Giulia (84%), seguita da Sicilia (79%), Trentino-Alto Adige (78%) e Liguria (76%). Bene anche Lazio e Marche (75%) e Veneto (74%), mentre tra le regioni del Sud solo Puglia e Molise figurerebbero al di sopra della media nazionale. Le rimanenti regioni meridionali compaiono, invece, insieme a Toscana e Valle d’Aosta, nella parte bassa della classifica. In Sardegna e Abruzzo non sarebbe coperto, al 2026, nemmeno la metà del territorio, con una copertura tra i 300 Mbps e 1 Gbps del tutto marginale (e pari a solo il 2%).
Copertura di rete, per fascia di velocità (% civici, 2026)
Fonte: Elaborazioni I-Com su dati Infratel
Copertura provinciale (% civici, 2026): Mappa e Top 20
Fonte: Elaborazioni I-Com su dati Infratel
A livello provinciale, la Top 20 ad 1 Gbps vede spiccare una cospicua partecipazione delle provincie del Nord Est, tra cui Bolzano e Udine, che presenteranno una copertura superiore all’87%. Tra le altre grandi province o aree metropolitane spiccano Palermo (86%), Bari (84%), Cagliari (84%), Genova (83%) e Roma (81%). Quest’ultima risulterebbe complessivamente 16ª, precedendo di poco Milano (80%) e Napoli (74%).
Nel complesso, entro 2026, il 71% del territorio nazionale verrebbe coperto con una velocità di almeno 1 Gbps. Il restante 29% rientrerebbe quindi nella sfera degli interventi pubblici. Nello specifico, l’azione del Governo sarà mirata a quei civici che, con le normali dinamiche di mercato, non verrebbero raggiunti da una connettività ad almeno 300 Mbps in download, equivalenti ad oltre 6 milioni di civici.
Le modalità di intervento pubblico per il fisso
Per quanto concerne le modalità di intervento pubblico a sostegno della realizzazione delle reti, la proposta punta all’utilizzo di un modello “ad incentivo” (o gap funding) in cui le risorse previste vengano sbloccate solo a seguito del raggiungimento da parte dell’operatore di una soglia base di copertura. È importante sottolineare che, in tal caso, le opere resterebbero di proprietà dell’operatore privato, che viene “incentivato” ad adeguarle alle caratteristiche demandate dal Piano. La soglia dei 300 Mbps in download è stata ritenuta necessaria per sviluppare reti “a prova di futuro” che permetteranno a cittadini, imprese e pubbliche amministrazioni di fruire di servizi avanzati quali video streaming ad alta definizione, realtà virtuale e aumentata, smart working e formazione a distanza, cloud computing, online gaming, telemedicina, etc.
È previsto inoltre che gli operatori possano presentarsi ai bandi per le aree risultate a fallimento di mercato sia in forma individuale che associata, a fronte di un contributo pubblico determinato come percentuale massima sul costo complessivo delle opere.
Per quanto concerne le tempistiche, attualmente si prevede entro la fine di quest’anno la pubblicazione dei bandi, che dovrebbero culminare nell’aggiudicazione di tutte le gare nella metà del 2022. Per quanto riguarda gli stadi di avanzamento, una prima milestone del 20% è prevista per il terzo trimestre del 2023, cui dovrebbe seguire la realizzazione del 60% delle opere entro il primo trimestre 2025, mentre la conclusione dovrebbe avvenire entro la fine di settembre 2026.
Stato attuale e prospettive di copertura della rete mobile
Per le reti mobili sono state previste due linee di intervento distinte e complementari tra loro, ovvero:
- la realizzazione di una rete di backhauling in fibra ottica per le Stazioni Radio Base (SRB) che, al 2026, risulterebbero prive di tale rilegamento (in base al monitoraggio dei piani dichiarati dagli operatori)
- la realizzazione di nuove infrastrutture di rete mobile complete, con capacità di almeno 150 Mbps (nelle aree che risulterebbero prive di infrastrutture capaci di offrire connettività ad almeno 30 Mbps nel 2026).
La mappatura è stata condotta sulla base di un reticolato geografico di “pixel” di 100×100 metri, rappresentativo del territorio italiano (che comprende complessivamente circa 30 milioni di “pixel”).
Dalla mappatura è emersa la presenza di 66.698 SRB, che diventerebbero 73.931 nel 2026. Poiché in molti casi quelle dichiarate da diversi operatori risultano distanti meno di 10 m una dall’altra, si ritiene che si tratti di stazioni in co-siting, ovvero che lo stesso sito sia condiviso da più operatori. Di conseguenza, il n. di siti radiomobili unici al 2026 ammonta a 47.103 unità. Tra queste, 21.932 non verrebbero raggiunte da collegamenti di backhaul in fibra ottica neanche al 2026, fatte salve 3.329 già oggetto degli obblighi di copertura di Open Fiber (nell’ambito dei bandi per le aree bianche).
Per quelle rimanenti, il Piano “ragiona” in termini di siti radiomobili da raggiungere, che ammontano a 13.231 unità. Il breakdown degli interventi che si ritiene meritevole di finanziamento pubblico è illustrato nella figura, e si concentra in particolare in Piemonte (1.400), Lombardia (1.146), Veneto (1.100), Sicilia (1.172) e Lazio (1.032).
Siti radiomobili da collegare, per regione
Per quanto concerne la seconda linea di intervento, questo si focalizzerà sulle aree che, al 2026, non verrebbero coperte con connettività mobile ad almeno 30 Mbps. Ciò perché, come evidenziato anche da Agcom, questo valore indica la soglia minima per la sostenibilità di servizi quali veicoli a guida autonoma, robot collaborativi, remote monitoring etc.
Tali aree ammontano a circa il 15% dei 30 milioni di pixel in cui è stato scomposto il territorio nazionale, una porzione che interesserebbe circa l’1,6% della popolazione. Attualmente risultano privi di connettività mobile a 30 Mbps quasi il 27% del territorio e il 6,3% della popolazione.
Le modalità di intervento pubblico per il mobile
Si prevedono modelli distinti a seconda delle tipologie di intervento. Per la cablatura in fibra delle stazioni (SRB) si privilegia il gap funding, finanziando una quota degli investimenti necessari alla realizzazione dei collegamenti di backhauling che, una volta completati, restano di proprietà degli aggiudicatari. Questi ultimi dovranno dimensionare i collegamenti in fibra in modo da garantirne l’accesso all’ingrosso a tutte le sue componenti, attive e passive, a condizioni eque e non discriminatorie, a tutti i soggetti interessati. Si prevede anche l’applicazione del meccanismo di claw-back al fine di correggere eventuali sovra-compensazioni (ovvero profitti non preventivati da parte del privato provenienti dall’opera finanziata con fondi pubblici).
Una parte degli investimenti potrà essere realizzata tramite intervento diretto o concessionario pubblico, giacché circa il 13% dei siti da collegare dista meno di 1.000 metri da infrastrutture di proprietà pubblica realizzate dallo Stato con precedenti interventi.
La seconda linea di intervento prevede la realizzazione di parti complete di infrastrutture (attive e passive). Anche in questo caso, un modello di tipo ad incentivo (gap funding) appare maggiormente idoneo a facilitare il raggiungimento degli obiettivi. Analogamente a quanto previsto per le reti fisse, questo modello consente agli operatori di presentarsi anche in forma associata. Le infrastrutture così realizzate rimarranno di proprietà degli operatori, fermo restando l’applicazione del meccanismo di claw-back. Anche in questo caso, le infrastrutture dovranno essere dimensionate per consentire l’accesso a terzi a condizioni eque, garantendo quindi sia il servizio ai clienti finali (a 150 Mbps), sia la fornitura di accesso all’ingrosso per gli altri operatori. Allo stesso modo, il Piano dovrà essere completato entro la metà del 2026.
Conclusioni
L’iniziativa del governo appare estremamente apprezzabile e lungimirante in particolare per due ragioni: la volontà ragionare su soglie tecnologiche a lungo raggio (1 Gbps per le linee fisse, 150 Mbps per le linee mobili), e il tentativo di raggiungere il miglior coordinamento possibile tra il presente intervento pubblico e gli investimenti privati passati e futuri, sia su rete fissa che su rete mobile, mantenendo quel “general purpose” che consiste nel portare benefici possibilmente per tutti gli operatori indipendentemente dalla tecnologia, in un’ottica “future proof” e fixed-wireless, e a tutti gli utenti finali, in termini di connettività che sia al passo con l’evoluzione di applicazioni e consumi.
Allo stesso tempo, un intervento così imponente rischia di produrre, soprattutto per quanto concerne gli interventi di cablatura, un intasamento delle opere e un sovraccarico di lavoro che le imprese finali potrebbero non essere in grado di gestire nei tempi previsti (si parla di un fabbisogno di un ulteriore 50% di forza lavoro per soddisfare la domanda potenziale di opere di scavo e cablatura).
Occorre quindi trovare un meccanismo di efficientamento per ottimizzare l’utilizzo delle risorse a disposizione (umane e materiali) ed evitare la duplicazione delle opere, anche in un’ottica di snellimento delle procedure. Poiché le misure già approvate non sembrerebbero aver sortito gli effetti desiderati – e quelle in discussione col decreto concorrenza rischierebbero di produrre un ulteriore aggravio per gli operatori – sembrerebbe opportuno coinvolgere gli stessi operatori – e le imprese che fanno capo ai vari comparti della filiera – per generare un perfezionamento concertato della normativa che consenta di portare a termine, nei tempi previsti, quella che si prospetta come una delle più grandi opere di infrastrutturazione compiute in Italia negli ultimi 20-30 anni.