L’avvento di Internet e dell’ICT ha numerosi riflessi sulla vita delle persone e delle società. Ci troviamo, oggi, in un periodo di transizione tra il tradizionale modus vivendi e quello dell’imminente società digitale.
Gli studi e le analisi di quest’ultima sono ormai numerosi. Tuttavia non si può non analizzare anche qual è il presupposto dell’utilizzo di ogni tecnologia digitale o di social innovation.
La domanda da cui partire è cos’è Internet per le persone, per i cittadini. Non certo un intreccio di cavi e nodi quanto piuttosto un nuovo luogo, una nuova dimensione della vita umana. Internet è stato tradizionalmente definito un mezzo di comunicazione di massa. E ciò è vero nel senso che certamente Internet espande il diritto cardine delle democrazie: la libertà di espressione.
Ma questo è solo uno degli aspetti del vasto ecosistema di Internet. Su Internet ci associamo, studiamo, giochiamo, svolgiamo attività d’impresa, entriamo in contatto con la Pubblica Amministrazione, acquistiamo beni e servizi.
Dunque, Internet non espande solo la libertà di espressione ma anche ogni altro diritto. Questo perché Internet non è solo uno strumento comunicativo ma un luogo dove esercitare ogni diritto, al punto da poter affermare oggi che viviamo anche su Internet. Né vi è più differenza tra reale e virtuale, semmai si può distinguere tra realtà materiale e immateriale. Questo nuovo luogo di esercizio dei diritti è conosciuto come Cyberspazio.
L’utilizzo di ogni strumento di innovazione sociale presuppone l’effettivo accesso a questo luogo. Accesso effettivo vuol dire che tutti dovrebbero avere almeno due cose:
- la possibilità tecnica di connettersi ad Internet, in modo uguale e neutrale;
- le adeguate competenze e conoscenze dell’ICT.
Il raggiungimento di una reale inclusione sociale, la cosiddetta democrazia digitale, la cittadinanza digitale e così via, implica il riconoscimento di alcuni principi basilari. In altre parole bisogna realizzare le infrastrutture vitali per le future società digitali e riconoscerne contemporaneamente i relativi diritti.
Tra questi, uno si pone in posizione peculiare perché precede tutti gli altri e si pone come presupposto di ogni attività nonché esercizio di ogni diritto on line.
È il diritto di accesso ad Internet: il diritto di accedere a un nuovo luogo, di espandere le proprie capacità e personalità ma, soprattutto, di prendere parte alla vita della società.
Il diritto di accesso ad Internet, inoltre, non regola il web; garantisce la possibilità di tutti di accedervi. Non è una regola tecnica sul funzionamento di Internet bensì una regola giuridica, o sociale, affinché tutti abbiano la stessa possibilità di usufruire dei vantaggi delle società digitali ed esserne parte. A seconda di come si configura questo diritto, si possono rinforzare o indebolire le garanzie per chi usa Internet.
Diverse sono le formulazioni che negli anni ne sono state date ma ciò che si deve garantire non è qualsiasi accesso ad Internet ma solo quello effettivo. Per fare ciò non è sufficiente dire: “tutti possono accedere ad Internet per manifestare liberamente il proprio pensiero” oppure “nessuno può impedire l’esercizio del diritto di accesso ad Internet”.
Bisogna fare di più e affermare che: “il diritto di accedere ad Internet è garantito da un soggetto terzo e imparziale” e “l’accesso è uguale per tutti”.
In termini giuridici, bisogna configurare l’accesso ad Internet non come semplice libertà ma come diritto sociale. Ciò permetterebbe, sia di garantire la realizzazione delle adeguate infrastrutture di connessione sia di investire in istruzione e competenze digitali. Il tutto in ottemperanza al principio di uguaglianza che, nel mondo del cyberspazio, si declina nel principio di neutralità della Rete.
Riconoscere il diritto di accesso ad Internet vuol dire contribuire al benessere dei cittadini. E, nei cosiddetti Welfare State, responsabile per il benessere dei cittadini e lo sviluppo della società è lo Stato.
I suddetti principi confluirono in una proposta di riforma costituzionale, realizzata da cittadini e volta al riconoscimento, in un art. 34-bis, dell’accesso ad Internet come diritto sociale. Di questa, presentata al Parlamento italiano e da questo recepita (atto n. 1561 del 10 luglio 2014 al Senato e n. 2816 del 14 gennaio 2015 alla Camera), il Senato ne iniziò l’esame nel dicembre 2015 ma, ad oggi, l’iter non è ancora concluso. E le possibilità che l’esame giunga a termine sono però, a questo punto, irrisorie.
A prescindere dalle dinamiche del Parlamento italiano però, il riconoscimento di tale diritto è il primo passo verso la costruzione delle società future. Riconoscimento che può anche non essere espresso in una norma costituzionale a patto che la società ne dia attuazione nei fatti.
Oltre a chi sostiene la necessità di un riconoscimento giuridico di tale diritto, c’è anche chi non è d’accordo e chi fa alcuni distinguo. Il dibattito internazionale al riguardo è aperto e vario ma, a prescindere da ciò, sarebbe bene non dare per scontato l’accesso ad Internet e attivarsi per una connessione uguale ed effettiva per tutti. Sarebbe bene agire come se l’accesso ad Internet fosse un diritto e adoperarsi per la sua implementazione.
Per raggiungere gli standard delle future società, soprattutto in Italia, bisogna colmare due ritardi digitali: quello infrastrutturale e quello culturale. Fare ciò vuol dire riconoscere e applicare il diritto di accesso a Internet.