Il dottor Annthok Mabiis ha annullato tutte, o quasi, le memorie connesse della galassia per mezzo del Grande Ictus Mnemonico. “Per salvare uomini e umanidi dalla noia totale, dalla Sindrome della Noia Assoluta”, perché le memorie connesse fanno conoscere, fin dalla nascita, la vita futura di ciascuno, in ogni particolare. La Memory Squad 11, protagonista di questa serie, con la base di copertura su un ricostruito antico bus rosso a due piani, è incaricata di rintracciare le pochissime memorie connesse che riescono ancora a funzionare. Non è ancora chiaro se poi devono distruggerle o, al contrario, utilizzarle per ricostruire tutte quelle che sono state annientate, se devono cioè completare il lavoro del dottor Mabiis o, al contrario, riportare la galassia a “come era prima”.
Inizi d’agosto. Nel fresco delle verdi colline del Sahara a sud di Murzuch. 50.701 umanidi. 97 sport.
“Un compito ingrato!… non dovrei dirlo, comandante, ma non vedo nessun reato, nessun comportamento da censurare, è solo uno stupido regolamento… derivato da una stupidità collettiva…” sferzava Sama Hargo, analista del linguaggio e delle memorie.
“Lo so” lapidava la comandante Akila Khaspros.
“Ormai è quasi un secolo che la svolta è stata compiuta… Prima erano solo umani, poi solo roboplayer, infine noi umani abbiamo deciso che dovevano gareggiare solo gli umanidi! Io ho sempre preferito i muscoli veri e non questi corpi mischiati… anche se sono dei mezzi superuomini…” fantasticava Stefano Magli, l’agente di Memoria Antica della squadra.
Mancavano i sudori grondanti. I visi paonazzi. Le vene pulsanti. Gli urli strazianti. E gli urli raggianti.
“Agenti, ricordarsi che nessuno ha memorie connesse, dopo il grande ictus mnemonico non ce ne dovrebbero essere, almeno qui… non è quello che cerchiamo in questi giorni… il nostro compito è individuare se c’è qualche falso umanide… qualche umano, intendo!” infervora la comandante Khaspros.
“Ma non passano tutti ai controlli prima, durante e dopo le gare?” insiste l’agente Allaa.
“Gli intrusi non si intercettano coi controlli automatici… si possono individuare solo osservando attentamente il linguaggio del corpo… quando vincono…” sciorina Khaspros.
“Per l’esattezza nei quattro, cinque decimi di secondo prima dell’attimo della vittoria e nei venti secondi successivi…” istruisce Sama Hargo.
L’asfalto rosa in ricordo del deserto. Picchiato dalle suole. Aggredito dai calcagni. Assaporato dalle falcate. Distratto dagli applausi. Annientato dalle ginocchia. L’ultramaratona snodava dolori. Immensi piaceri. Arresi conflitti. Intensi silenzi. Non solo le corse portano lontano.
“Basta piazzarsi qui, all’arrivo…” semplificava l’agente Sama Hargo.
“E perché proprio l’ultramaratona?” scontatava la comandante Khaspros.
“È qui che si superano i limiti… è qui che ci si uccide veramente e si risorge! È qui che il sapore della vittoria di un uomo contro un umanide è infinito…” perorava Sama Hargo.
“Oddio! Quanta bella retorica…” sbriciolava la comandante.
Il nastro si frantumò.
Si chinò. Pianse a dirotto in una irresistibile risata.
L’agente Sama Hargo lo raccolse: “Sei in arresto… mi dispiace… non sarà tua questa inumana olimpiade…”
(131 – continua la serie. Episodio “chiuso”)
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