Sul digitale, non è più tempo di analisi, ma è ormai il momento di attuare e realizzare, di “produrre”, insomma, i risultati preventivati al momento della ideazione dei diversi progetti di cui si compone la strategia di trasformazione e innovazione del Paese.
Ora come ora, insomma, non è prioritario soffermare l’attenzione sul Piano Crescita Digitale, sul Piano Banda Ultra Larga o sul il nuovo Piano triennale per l’informatica nella PA 2019-2021 ma piuttosto sulla loro attuazione e realizzazione in tempi e modi che ne salvaguardino risultati attesi e che producano nel breve e lungo periodo effettivo cambiamento.
Mi si perdoni la digressione, ma nel fare questa premessa mi torna in mente il Colonnello Hannibal Smith dell’A-team, serie TV degli anni ‘80, che diceva sempre: “adoro i piani ben riusciti” e lo diceva alla fine di ogni puntata quando tutto ma proprio tutto era andato storto e fuori dalle previsioni ma per caso, magia o fortuna il risultato finale era stato raggiunto senza perdite o danni per la sua squadra.
Ma torniamo a noi, e alla trasformazione digitale dell’Italia, per esaminare le criticità che restano da risolvere e il ruolo delle Regioni.
Strategie digitali, dalla pianificazione alla realizzazione
Esistono quindi fasi in cui serve dedicare tempo all’analisi, poi alla pianificazione, infine alla realizzazione e poi alla valutazione di quanto fatto e della corrispondenza di questo con gli obiettivi di partenza. Il tutto deve essere condito da una buona dose di pragmatismo e capacità di adattamento per riuscire appunto a mantenere tempi e risultati pur rivedendo, se necessario e utile, il percorso e le decisioni prese e pianificate.
Il Codice dell’Amministrazione Digitale, il Piano Triennale (anche nella sua nuova versione a scorrimento annuale del 2019) e il Piano Banda Ultra Larga (è stato finalmente approvato il Grande Progetto EU che ne dovrebbe essere elemento fondante per la parte di intervento sulle aree bianche) restano pianificazioni che hanno la caratteristica di essere in parte molto teoriche e in parte disattese.
Le criticità di sistema
Questo in larga misura è dovuto al persistere di alcune criticità di sistema che vanno affrontati quanto prima:
- Governance nazionale confusa e instabile – serve più chiarezza, per decreto si è previsto che dal 2020 ci sarà anche un Dipartimento della Presidenza del Consiglio che si occuperà di “agenda digitale” e che assumerà i compiti e le funzioni del Commissario per l’Agenda Digitale; è in costituzione una società in-house della Presidenza del Consiglio dei Ministri in cui è verosimile trovino spazio i componenti del Team Digitale; AgID macina linee guida e progetti dando attuazione alle sue funzioni riconosciute dalla norma e richiamate nel Piano Triennale; nascono nei Ministeri gli Uffici per la Transizione al Digitale con relativo Responsabile per la Transizione Digitale. C’è bisogno di consolidare le variazioni continue e il rimpasto di funzioni e responsabilità, gli interlocutori nazionali devono essere pochi e autorevoli sia dal punto di vista della preparazione tecnica che di quello della legittimazione istituzionale e amministrativa. Le decisioni vanno assunte in tempi rapidi, con processi trasparenti e forme note e chiare di concertazione con gli stakeholders territoriali (tra cui le Regioni). Diversamente il risultato è solo un “costo” per il sistema PA, con conseguente perdita di tempo, competitività ed efficienza;
- Non siamo tutti uguali e non siamo all’anno zero – serve un’autonomia differenziata sul digitale, serve riconoscere e quindi gestire in modo diverso lo sviluppo di strategie, definizione di priorità e di modelli per l’attuazione dell’agenda digitale a livello territoriale. Non fermare chi corre o ha avviato i motori ma aiutare chi non lo ha ancora fatto. Ci sono territori (regioni o città metropolitane) che storicamente hanno implementato forme di cooperazione territoriale che devono essere tenute in considerazione e valutate prima di operare scelte a livello nazionale che possano peggiorare in qualità o efficienza l’erogazione di servizi a cittadini e imprese. Ci sono poi diversi territori che, avvantaggiandosi della corrente programmazione dei fondi strutturali europei, hanno programmato numerosi interventi sugli obiettivi tematici dedicati all’Agenda Digitale raggiungendo in breve tempo ottimi risultati. Siamo di fronte ad una differenziazione che corrisponde a “buone pratiche” che, seppure non omogenee, definiscono spesso la misura del livello di maturità di un territorio in ambito di trasformazione digitale;
- Avere 120 obiettivi in 12 mesi non è credibile – serve selezionare subito pochissimi obiettivi fondamentali da realizzare in tempi certi e con modelli di attuazione condivisi nei dettagli in modo trasparente, serve focalizzare l’azione nazionale su impegni e risultati attesi con certezza dei tempi (per ora quasi sempre disattesi rispetto alle pianificazioni formali o informali a livello nazionale), con risultati di medio termine che ne permettano di verificare l’avanzamento, con opzioni di revisione e aggiustamento. Va previsto in modo strutturale una forma di concertazione e co-realizzazione che trovi il coinvolgimento delle Regioni (non solo nell’ambito dei passaggi dovuti in Conferenza Stato-Regioni o Conferenza Unificata). Serve una forma di cooperazione che abbia regole ma garantisca anche un confronto e una discussione alla pari in modo da responsabilizzare gli Enti e renderli più partecipi. Serve chiarezza sulle risorse economiche e di personale messe in campo. Posso condividere le considerazioni di alcuni che dichiarano che “non è una questione di soldi” ma è anche e di certo una questione di risorse che vanno pianificate e non sprecate e di investimenti che vanno tutelati e protetti;
- Non è vero che i modelli internazionali sono replicabili in Italia – serve avere il coraggio di affrontare la complessità e riconoscere che a livello locale non sempre l’omologazione è la strada per il successo, è evidente che non è con la tecnologia che si trasformerà la Pubblica Amministrazione facendola transitare dal secolo scorso all’attuale. C’è un grande bisogno di investire in nuove competenze per la PA che non siano solo di tipo tecnico/tecnologico ma anche organizzativo e amministrativo. In questo ambito ci sono numerose esperienze in essere sia nel campo degli sportelli unici o degli accessi “unitari” o “unici” ai servizi, soluzioni territoriali o cittadine che funzionano e che hanno affrontato e risolto spesso problemi che a livello nazionale a volte non sono ancora fronteggiati. Non solo metodo di erogazione dei servizi ma forme di ripensamento dei processi e nuovi modelli di comunità che collaborano e cooperano. L’Italia non è uguale al Regno Unito e la Provincia Autonoma di Trento non è uguale alla Sicilia.
Si tratta di affrontare i problemi insieme senza, nel limite del possibile, imporre posizioni o scelte ma producendo percorsi di concertazione e confronto con regole e tempi certi. Non è una perdita di tempo ma un metodo per non sbagliare. Su questo ci sono percorsi molto diversi avviati a livello nazionale con approcci differenziati, di seguito alcuni esempi.
Razionalizzazione del patrimonio ICT e poli strategici nazionali
Sul tema della razionalizzazione del patrimonio ICT delle amministrazioni e qualificazione dei Poli Strategici Nazionali si sta consumando un pericoloso e oramai lunghissimo scontro tra posizioni non ancora convergenti che produce come unico risultato una crescente incertezza. Serve fare piani a medio lungo termine e mantenere gli orientamenti nel tempo.
Abbiamo uno scenario nazionale che vede alcune esperienze in essere che porteranno ad una razionalizzazione a livello territoriale, Data Center della PA finanziati da Fondi Strutturali in Programmi Operativi approvati dal livello nazionale e dalla EU, Data Center della PA finanziati con fondi per le periferie approvati dal Governo, e un poco ovunque piani di migrazione in essere.
Il ruolo delle Regioni
La PA italiana non è più quella dei server nei sottoscala che veniva descritta dall’ex DG di AgID Ragosa oramai oltre 5 anni fa. Su cosa siano i Poli Strategici Nazionali, quanti siano (o debbano essere) e su chi lo possa o debba decidere c’è grande confusione e indeterminatezza.
Le Regioni riconoscono la centralità del dibattito, anche in chiave di sicurezza digitale, e contemporaneamente, come su altri ambiti, chiedono di essere coinvolte nella definizione di un percorso pluriennale che porti alla massima razionalizzazione possibile. Negli ultimi sei mesi con AgID un confronto si è avviato e concluso ma non pare essere sufficiente per addivenire ad un risultato definitivo.
Sul tema della banda ultra larga, in attesa di un Comitato Banda Ultra Larga richiesto da tempo dalle Regioni, si rileva una situazione che vede un ridotto coinvolgimento delle Regioni (che sono soci alla pari del Governo nel Piano BUL – economicamente contribuiscono con fondi FESR e FEASR per oltre un miliardo e mezzo di euro) nelle scelte più rilevanti a livello territoriale con difformità tra quanto previsto nelle fasi preliminari alle gare e quanto pianificato, ma con già la notizia informale che tutto potrebbe ritornare come era.
Su questo fronte ha preso il via da pochissimo la segreteria tecnica del COBUL nell’ambito della quale sono in discussione i punti più critici dell’attuazione della Fase I del Piano BUL e le decisioni relative alla Fase II. Si tratta di un progetto di grande importanza per tutto il Paese e su cui c’è massima attenzione, serve anche qui aumentare il livello di cooperazione e concertazione, avendo tempi certi e definiti oltre che informazioni diffuse e condivise.
Da ultimo ma non per importanza, sul fronte degli Sportelli unici dei servizi per le imprese c’è da registrare una generale frammentazione del tema su più tavoli, gruppi di lavoro e soggetti differenti a livello nazionale. Il tema è infatti oggetto dell’ambito “semplificazione”, di pianificazione a livello di obiettivi legati al “single digital gateway EU”, sperimentazioni attraverso il progetto IO del Team Digitale, ecc…
Va registrata una buona disponibilità di cooperazione da parte del Dipartimento della Funzione Pubblica che consapevole che molte Regioni sono intervenute sul tema, a fronte di una sostanziale schizofrenia a livello nazionale negli anni passati, ha proposto di costruire un quadro generale per valorizzare le buone pratiche ed intervenire a sostegno e supporto delle aree ancora meno dotate.