“La ricerca italiana può e deve rinascere nei nuovi settori di sviluppo come, ad esempio, l’agenda digitale, lo sviluppo verde, le nanotecnologie, l’aerospaziale, il biomedicale, solo per citarne alcuni”. Questa la citazione dedicata all’agenda digitale nel discorso alla Camera di lunedì 29 aprile, del presidente Letta. Il futuro dell’agenda digitale resta quindi ancora da definire. Nel suo intervento il presidente del consiglio ha accennato all’agenda digitale e alla green economy come fattori di sviluppo ma non ha specificato in che modo il governo intenda trattare la materia: attribuendo la delega a un ministro, con un sottosegretario ad hoc, avocando a sé la responsabilità, confidando in un approccio in base al quale il digitale è talmente pervasivo che oramai non serve una responsabilità specifica ma ogni ministero deve sviluppare la propria attività digitale. E’ da capire come mai l’agenda digitale sia stata connessa unicamente alla ricerca e non anche agli aspetti che riguardano la pubblica amministrazione e l’economia digitale. Lo scopriremo solo vivendo. Tra pochi giorni, all’atto della nomina dei sottosegretari, forse ne sapremo di più. Vero è che dopo l’approvazione del decreto legge che istituisce l’Agenzia come “braccio” incaricato di tradurre l’agenda digitale in realtà, forse un ministro o un sottosegretario ad hoc sarebbe superato. Sarebbe, se non fosse che a distanza di quasi nove mesi dall’approvazione del decreto siamo ben lontani dall’avere la piena operatività dell’Agenzia per il digitale.
Su un altro tema, invece, Letta ha speso parole più precise: “Ancora, non abbiamo compreso quanto le legittime istanze di innovazione, partecipazione, trasparenza, sottese alla rivoluzione della rete potessero tradursi in un oggettivo miglioramento della qualità della nostra democrazia rappresentativa, anziché sfociare nel mito o nell’illusione della democrazia diretta.” Questo passaggio lascia intravvedere l’idea di un open government, della consapevolezza che la trasparenza degli atti resa più accessibile dalla rete migliori la qualità del governo, sia un antidoto contro la corruzione e un rimedio contro la disaffezione dei cittadini. Certo in questo passaggio c’è l’eco di quanto avvenuto durante l’elezione del presidente della repubblica, quando non pochi parlamentari PD vacillarono nelle loro convinzioni e nel loro voto di fronte alle proteste che giungevano loro on line contro l’elezione di Franco Marini. Ancor di più c’è un evidente attacco diretto all’utopismo digitale che anima il movimento di Grillo e Casaleggio e che tanto ha fatto parlare di sé con le candidature di Gabanelli, Strada, Rodotà.
In definitiva, è stato un calcio d’inizio. Come giocheremo la partita lo scopriremo nelle prossime settimane: vedremo se prevarrà lo “storico” divario culturale digitale che pervade le classi dirigenti (non solo la politica) del nostro Paese o se avremo un rilancio per completare il percorso avviato nel 2001 con la nomina di Lucio Stanca a ministro dell’innovazione e che ha visto nell’ultimo anno una importante accelerazione, con il contributo di tutti, governo e parlamento. Conforta la consapevolezza metodologica del presidente del consiglio, che ha detto: “Ho imparato da Nino Andreatta la fondamentale distinzione tra politica, intesa come dialettica tra le diverse fazioni, e politiche, intese come soluzioni concrete ai problemi comuni; se in questo momento ci concentriamo sulla politica, le nostre differenze ci immobilizzeranno; se invece ci concentriamo sulle politiche, allora potremmo svolgere un servizio al Paese migliorando la vita dei cittadini”. L’agenda digitale, con l’immenso campo d’azione che porta con sé, non è terreno della politica ma delle politiche, di quelle necessarie per il presente e per il futuro del nostro Paese.
Forza e coraggio!