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Rete veloce, troppi ritardi. Pastorella (Azione): “Ecco come rimediare”



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Quelli del Piano Banda Ultra Larga sono ritardi che hanno radici lontane. Vediamo cosa non ha funzionato, cosa sta cambiando e cosa fare per imprimere una svolta necessaria al Paese

Pubblicato il 12 lug 2023

Giulia Pastorella

Deputata della Repubblica italiana, vicepresidente di Azione e Consigliera comunale a Milano



ultrabroadband

Che il piano Banda Ultra Larga varato nel gennaio 2018 sia in ritardo è un fatto noto a tutti. Non si tratta di puntare il dito contro qualcuno o recriminare alla ricerca di responsabilità, visto che di acqua sotto i ponti in questi 5 anni e mezzo ne è passata veramente tanta. Piuttosto, anche in vista di future pianificazioni, é più utile comprendere le ragioni che stanno dietro questi ritardi e mettersi d’accordo su cosa fare per limitare i danni visto che la connettività non é nell’interesse di governi di destra o sinistra, o di questa e quella maggioranza ma nell’interesse del Paese.

BUL, le radici del ritardo

Quelli del BUL, sono ritardi che hanno radici lontane e vale la pena spendere qualche riga per ricapitolare cosa non ha funzionato.

Ideato nel 2015 dal Governo di Matteo Renzi, il piano ambiva a connettere ad altissima velocità tutta l’Italia entro il 2020. Le procedure partirono in ritardo e soltanto nel 2018 con alcuni bandi di Infratel, una società in house dell’allora Ministero dello Sviluppo Economico, a causa di alcuni ricorsi al TAR e al Consiglio di Stato.

Il piano prevedeva di arrivare entro il 2016 alla copertura del 100% delle aree economiche e industriali e il 50% delle aree urbane con connessioni a banda larga di almeno 100 Mbps; successivamente, nel biennio seguente, si sarebbe dovuti arrivare al 100% di copertura delle aree urbane e al 50% delle aree rurali, con una connessione di almeno 30 Mbps; e infine, secondo il piano la completa copertura sarebbe arrivata entro il 2020, portando la velocità a 100 Mbps anche in almeno l’85% delle aree urbane.

Un cronoprogramma che, come si vede chiaramente dalle date, partiva già in ritardo e pertanto era impossibile da rispettare, tant’è che ad oggi secondo quanto riporta l’ultima relazione di Infratel siamo arrivati soltanto al 50% del piano, portando al velocità di download media italiana a 112 Mbps. Un dato che messo così sembrerebbe anche molto buono ma che in realtà è pesantemente influenzato dalle ottime performance di città molto popolate come Milano, Torino, Bologna, Genova, Napoli e Palermo (meno da Roma o Venezia).

Tuttavia, confrontando i dati italiani con quelli degli altri Paesi europei, siamo tra molto indietro, preceduti da Francia (202 Mbps), Danimarca (186 Mbps), Romania (180 Mbps), Spagna (176 Mbps), Liechtenstein (168 Mbps), Lussemburgo (166 Mbps), Ungheria (165 Mbps), Portogallo (160 Mbps), Norvegia (155 Mbps), Paesi bassi, Polonia e Svezia (151 Mbps). In linea con i dati italiani troviamo invece Germania e Regno Unito (che non è UE).

Aspetti del framework normativo che non hanno funzionato a dovere

Tornando ai ritardi, pare che, al di là della questione – molto italiana temo – dei ricorsi al TAR usati come strumento di politica commerciale, anche altri aspetti del framework normativo che doveva inquadrare il piano BUL non abbiano funzionato a dovere, senza che i vari Governi che nel tempo si sono susseguiti siano stati in grado di intervenire per migliorarli.

Il sistema di penali

Purtroppo, il sistema di penali pensato per garantire la corretta implementazione del piano non sembra aver funzionato in questi anni e lo Stato ha comminato penali per soli 45 milioni di euro, contro gli oltre 280 milioni di euro teoricamente dovuti per i ritardi. Ritardi non dovuti soltanto all’inadeguata capacità progettuale di OpenFiber ma anche a complicazioni inaspettate, come una mappatura inesatta degli edifici da connettere, che durante la fase di walk-in pre-cantiere si rivelavano diversi o inesistenti.

Scarsità di manodopera qualificata

Per non parlare della difficoltà nel trovare manodopera non qualificata (!) per i cantieri, come dichiarato da fonti di OpenFiber. E qui si potrebbe aprire una lunghissima parentesi sulla scarsa visione della politica in fatto di gestione dell’immigrazione, perché se gli slot messi a disposizione dal decreto flussi vanno esauriti in mezza giornata e comunque le aziende non riescono ad attrarre tutto il personale necessario, forse qualche problema oggettivo c’è, al di la’ del posizionamento ideologico che si puó avere sulla questione.

Le difficoltà addotte dalle amministrazioni locali

A queste criticità si è sommato un ulteriore elemento, imputabile alla scarsità delle amministrazioni locali nel mettere a terra le semplificazioni previste per infrastrutturare la rete, come lo strumento dell’Istanza unica, che permetterebbe di presentare un’unica richiesta autorizzativa per scavi, occupazione di suolo pubblico e realizzazione di eventuali opere civili, in deroga a quanto previsto dal testo unico dell’edilizia. Secondo quanto segnalato da Infratel, inoltre, molti enti locali non si sono dimostrati particolarmente collaborativi neanche nel permettere la realizzazione di micro trincee, ovvero degli scavi con larghezza 5 cm e profondità 30 cm, che riducono i tempi dei lavori ma che secondo normativa vanno specificatamente autorizzati dall’ente proprietario della strada. Su questi temi, giusto in questi giorni ho chiesto conto al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti con un’interrogazione.

Cosa sta cambiando e cosa si può fare per accelerare

L’avvento del PNRR ha avuto limitati effetti positivi sul Piano BUL. Se da un lato le sue scadenze non sono state sufficienti ad accelerare un processo che nel tempo ha accumulato ritardi così ampi da essere incolmabili, con buona pace della politica e delle sue alzate di voce, per adattarsi alle nuove esigenze di finanziamento, il piano BUL è stato riarticolato in una Strategia italiana per la Banda ultralarga formata da 7 tasselli e che ha il pregio di avere incluso anche dei focus verticali di settore (scuole e sanità in particolare), oltre che di connettività, rilanciando nuovi obiettivi di velocità con il Piano Italia 1 Giga.

Visto che l’inclusione del Piano BUL all’interno della Strategia Italiana per la Banda Ultralarga e il rifinanziamento di diversi capitoli confermano che non è ancora venuta meno la volontà di investire sulla digitalizzazione del Paese cosa possiamo fare per non perdere ulteriore tempo?

Snidare gli inghippi operativi

Sicuramente bisogna partire snidando gli inghippi operativi, siano essi la mappatura degli edifici esistenti, i problemi autorizzativi per la messa a terra della fibra o i rimpalli di competenze. Su questo deve intervenire il MIMIT, dando linee guida chiare e forzando la mano con gli enti locali se necessario.

Rivedere il sistema degli incentivi e disincentivi

In seconda battuta, va rivisto il sistema degli incentivi e disincentivi – leggi ‘sanzioni’ – che a quanto risulta evidente o non sono stati applicati o non sono stati sufficienti per far accelerare chi sta realizzando i lavori.

L’utilizzo del Fixed Wireless Access

Infine, è sempre utile tenere un occhio sull’innovazione. L’utilizzo del Fixed Wireless Access, per esempio, si sta rivelando un prezioso alleato della banda ultralarga, portandola anche laddove è complesso o particolarmente oneroso tirare il cavo in fibra ottica. Ma non solo, anche per la realizzazione di opere infrastrutturali ci sono aziende che stanno innovando, proponendo per esempio alternative ai pozzetti in calcestruzzo, riducendo i tempi di cantierizzazione.

Insomma le alternative non mancano, a chi le sa cogliere. Mi auguro che si abbia il coraggio di percorrere queste strade nell’interesse di tutti.

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