L’obiettivo fissato per il 2020 dall’Europa è di avere il 100% dei cittadini potenzialmente raggiunti dal servizio di connettività ad almeno 30 Mbps e che almeno il 50% della popolazione sottoscriva un abbonamento per il servizio a 100 Mbps.
Target oggettivamente sfidante per l’Italia dove l’adesione al servizio è storicamente inferiore ai contesti internazionali di riferimento e dove la morfologia territoriale rende in una parte rilevate del Paese particolarmente onerosi gli interventi di infrastrutturazione e non garantisce il ritorno degli investimenti degli operatori privati.
L’investimento complessivo richiesto a carico del Paese è dell’ordine dei 12 miliardi di euro, di cui almeno 6 si spera possano arrivare dai privati.
Ad oggi in Italia solo il 20% circa della popolazione può navigare a 30 Mbps, 40 punti percentuali sotto la media europea, con un ritardo di almeno tre anni.
E ipotizzabile che il mercato possa coprire il 60% della popolazione a 30 Mbps entro il 2016 mentre nessun piano è presumibile per i 100 Mbps, che sono disponibili al momento solo in qualche porzione delle grandi città.
Il metodo di lavoro
Il Governo, attraverso il Ministro Del Rio[1], ha affermato che l’Italia deve ragionare in termini unitari, come sistema paese, per ottemperare alla richiesta che arriva dall’Europa di disporre di strategie nazionali di settore per raggiungere gli obiettivi dati.
La strategia delineata dal Governo poggia su due pilastri:
– adeguamento delle infrastrutture per la banda ultra larga;
– agenda digitale per i servizi da rendere disponibili anche come fattore di stimolo della domanda.
I piani strategici sono richiesti per il 2016 ma il Governo, che ne assume la regia, conta di completarli entro il 2015.
Il primo, quello della banda ultra larga, è stato affidato alla responsabilità di Raffaele Tiscar[2] mentre il secondo è nella mani dell’AgID e del suo Direttore Alessandra Poggiani.
Il Piano annunciato dal Governo sulla banda ultra larga dovrebbe essere messo in consultazione pubblica dal 1 novembre fino alla fine di gennaio 2015.
Oggettivamente l’iniziativa del Governo è meritevole e condivisibile in gran parte dei contenuti, che vedremo di seguito, ma obiettivamente appare un pochettino tardiva rispetto allo stato di avanzamento di predisposizione dei Piani Operativi Regionali (POR) FESR e FEASR, e dei relativi documenti di condizionalità ex ante di Smart Specialisation Strategy (S3), e di negoziazione di questi con la Commissione europea.
Alcune scelte strategiche
Sul piano tecnologico la novità principale consiste nel considerare l’utilizzo del mobile come driver primario della richiesta di connessioni.
Per questo motivo gli interventi non saranno mirati al modello FTTH (fiber to the home) puro ma l’obiettivo da raggiungere sarà quello di avvicinare il più possibile la fibra agli utenti finali.
L’obiettivo sarà perseguito con i modelli FTTC (fiber to the cabinet) o FTTB (fiber to the building), oppure arrivando a punti tra questi due intermedi (pozzetti).
Questo ovviamente serve anche per collegare celle radio che, per garantire i livelli di banda richiesti dagli obiettivi, diventeranno sempre più piccole.
La priorità delle azioni è, infatti, il superamento dell’attuale infrastruttura di backhauling per i 30 Mbps, attività che deve essere prevalentemente a carico agli investimenti degli operatori privati.
La strategia non prevede esplicitamente il raggiungimento del 100% della popolazione a 30 Mbps in quanto, dati i costi marginali, risulta un obiettivo diseconomico da ottenere nelle aree periferiche dove si prevede di servire cittadini e imprese con servizi mobile.
Va però sottolineato che, come accaduto nella vecchia programmazione, l’obiettivo di copertura al 100% della popolazione sarà comunque raggiunto grazie al contributo degli operatori satellitari, i quali stanno già pianificando il lancio dei satelliti di nuova generazione in grado di erogare servizi a 100 Mbps sull’interno continente.
I Cluster
Il Piano banda ultra larga sarà definito secondo una suddivisione del territorio in 4 Cluster che raggiunge un livello di granularità di analisi superiore a quello delle così dette aree nere, grigie e bianche.
Cluster A
Le 15 Città più popolose e le aree industriali. 15% della popolazione. Upgrade a 30 e 100 Mbps realizzato esclusivamente dagli operatori privati, anche mediante defiscalizzazione e accesso al credito agevolato, ma senza contribuzione a fondo perduto. Tale cluster è costituito in prevalenza da aree nere in cui sono presenti almeno 2 operatori.
Cluster B[3]
1126 Città. 45% della popolazione. Upgrade da 30 a 100 Mbps realizzato anche mediante defiscalizzazione e accesso al credito agevolato, minimizzando l’impiego di risorse pubbliche a fondo perduto.
Cluster C
2662 Comuni. 24% della popolazione. Upgrade da 2 a 100 Mbps realizzato anche mediante defiscalizzazione e accesso al credito agevolato minimizzando così l’impiego di risorse pubbliche a fondo perduto (che sarà comunque proporzionalmente maggiore rispetto al cluster B).
Cluster D
4013[4] Comuni. 13% della popolazione (di cui circa 300 già oggetto dell’intervento pubblico in corso). Upgrade da 2 a 30 Mbps ove il pubblico interviene con un modello diretto (aree a fallimento di mercato e periferiche copribili dai fondi FEASR).
Per i cluster A, B e C sono previsti interventi a 100 Mbps, mentre per il cluster D interventi a 30 Mbps, servendo comunque in fibra ottica le sedi della pubblica amministrazione per erogare servizi ad almeno 100 Mbps ed incentivi al privato per l’apertura dei servizi.
Il piano mira quindi a raggiungere una copertura dei servizi a 100 Mbps pari all’86% della popolazione ben sapendo però che 2/3 dei piani di sviluppo degli operatori potrebbero non essere rispettati.
Questo margine dovrebbe così garantire il raggiungimento dell’obiettivo del 50%.
È inoltre di basilare importanza effettuare una progettazione specifica sulle aree industriali in quanto molto spesso queste sono distanti dai centri abitati ma per le quali le necessità di banda potrebbero essere maggiore.
Nella realizzazione sarà inoltre importante dare priorità ai punti di interesse pubblico quali sedi di Enti pubblici, presidi sanitari ed ospedalieri, scuole, tribunali, etc. per i quali ci si dovrebbe orientare comunque verso un intervento minimo tarato sui 100 Mbps.
Le stime di fabbisogno di investimenti complessivi per ciascun cluster sono le seguenti:
– Cluster A: 1 Mld
– Cluster B1: 3,8 Mld
– Cluster B2: 2,2 Mld
– Cluster C: 4,2 Mld
– Cluster D: 1 Mld
L’intervento pubblico
L’intervento pubblico, dove deve essere garantita la coerenza tra la regia e gli interventi del Governo con i piani regionali, è volto ad agevolare[5]:
– la riduzione dei costi di posa con l’utilizzo della minitrincea e di soluzioni aeree e la valorizzazione di infrastrutture esistenti;
– la realizzazione del catasto delle infrastrutture (di tipo federato)[6];
– la disponibilità di misure di tipo agevolativo e fiscale per la realizzazione di una unica infrastruttura di backhauling sempre per i 30 Mbps;
– l’utilizzo delle risorse pubbliche come strumento di debito accessibile anche alle aziende private, tipo fondo di garanzia per operatori pubblici o privati.
Ovviamente si devono evitare diseconomiche duplicazioni di infrastrutture e, a tal fine, sono prevedibili azioni di tipo regolatorio e di incentivazione alla diffusione del modelli dell’open access.
Si pensa, per esempio, all’adozione di un modello regolatorio simile a quello adottato della Germania dove le infrastrutture realizzate possono avere un monopolio a termine (ad esempio 7 anni) per gli operatori che le implementano.
La definizione di cluster e sotto cluster si associa con un differente regime implementativo da cui discende la necessità di dare una fotografia della situazione attuale il più possibile vicina alla realtà.
Tra gli strumenti ipotizzati c’è la creazione di un fondo di garanzia di debito per investimenti sia privati che pubblici anche al fine di superare i vincoli del patto di stabilità[7].
E qui è lecito chiedersi perché non si sia immaginato per tempo un PON piuttosto che di fatto crearne uno fittizio a tempo quasi ormai scaduto.
Tale fondo potrebbe essere costituito dai POR (FESR e FEASR), dalla BEI per quanto riguarda l’anticipo del FSC[8] e dalla Cassa Depositi e Prestiti e potrebbe operare tramite l’emissione di bond.
La natura rotativa del fondo potrebbe costituire uno strumento permanente per lo sviluppo delle infrastrutture a banda larga. È, infatti, stimabile che un fondo di questo tipo possa garantire investimenti con un fattore moltiplicativo di almeno due o tre volte il proprio valore.
[1] Riunione straordinaria per la condivisione della strategia nazionale per la banda ultra larga. Roma, 17 ottobre 2014, Palazzo Chigi.
Alla riunione sono state invitate le Autorità di gestione dei fondi strutturali delle Regioni e le Direzioni competenti in materia di banda ultra larga.
Alla prima riunione ne è seguita una successiva di approfondimento tecnico e finanziario. Aspetti tecnici e operativi programmazione FESR/FEAS. Roma, 23 ottobre 2014, Viale America 2014.
[2] Con un “robusto” supporto di INFRATEL Italia, Società in house del MISE.
Cluster B1 – 487 Città in cui sono già presenti piani di infrastrutturazione a 30 Mbps di almeno 2 operatori.
Cluster B2 – 639 Città in cui sono già previsti servizi a 30 Mbps oggetto del bando Infratel denominato “Piano EuroSud” destinato alle regioni del sud a cui si sono aggiunte Lazio e Lombardia. Per tali regioni l’intervento dovrebbe quindi mirare ad portare il servizio a 100 Mbps.
[4] Il totale dei comuni compresi nei cluster non è uguale al totale dei comuni italiani in quanto molti dei comuni del sud sono già in corso di infrastrutturazione tramite interventi già finanziati.
[5] In aggiunta a quelli già previsti nel così detto Decreto “Sbocca Italia”.
[6] Il catasto sarà elemento fondamentale del piano ed è previsto che il MISE ne definisca le regole, sentiti AgID, CISIS e AGCOM. Lo dovrebbe gestire INFRATEL con ANCI che potrebbe vigilare sul suo puntuale aggiornamento.
[7] Di seguito i principali vantaggi dei Fondi di Investimento alimentati con i Fondi Strutturali:
– forniscono una forma di capitale “paziente”, che si assume i rischi primari di un progetto di investimento favorendone quindi la bancabilità e l’appetibilità per investitori privati;
– permettono di minimizzare gli effetti del patto di stabilita;̀
– permettono di “moltiplicare” nel tempo le risorse a disposizione (natura revolving, i proventi degli investimenti alimentano ulteriori investimenti);
– permettono di migliorare il profilo ed il merito creditizio dei progetti (effetto leva, attraggono ulteriori investimenti);
– coordinamento della politica di investimento, il fondo unico permette di definire una strategia di investimento, organica, coerente e di più facile implementazione;
– maggiore selettività, l’abbandono della logica del fondo perduto a favore di forme alternative d’intervento porta a selezionare solo quelle iniziative che presentano almeno un livello accettabile di garanzie di esecuzione;
– flessibilità, le risorse possono essere combinate con quote a fondo perduto (per creare le condizioni minime di investimento, ad esempio nelle “aree bianche”) ed investite attraverso prestiti a lungo termine, prestiti subordinati, capitale di rischio, garanzie o combinazione di questi.
[8] Su questo è stato anticipato che il FSC sarà assegnato con un meccanismo di premialità in relazione alla rispondenza delle strategie regionali rispetto a quella nazionale e alla “virtuosità” delle Regioni.
In ogni caso il FSC non potrà essere utilizzato per compensare finanziamenti regionali insufficienti e comunque non sarà disponibile prima del 2017.