il quadro

Ecco i ritardi digitali che penalizzano di più il cittadino italiano

Fatichiamo di più soprattutto quanto a disponibilità di buoni servizi digitali pubblici e per usabilità delle interfacce. Ma quello che chiede la maggior parte dei cittadini è persino la sparizione dei servizi, come rivela il prossimo rapporto 2017 Agenda Digitale del Polimi

Pubblicato il 30 Nov 2017

Luca Gastaldi

Direttore dell'Osservatorio Agenda Digitale e dell’Osservatorio Digital Identity del Politecnico di Milano

PA Digitale

L’Italia è in ritardo sul digitale, sì, ma non su tutti i fronti.

Lo dicono i dati riportati dalla Commissione europea. Le aree su cui siamo più indietro sono la digitalizzazione di PA e cittadini, mentre abbiamo fatto ottimi passi avanti sulla digitalizzazione delle imprese e sulle infrastrutture banda larga.

È vero che i dati non possono che fotografare la situazione al 2016, lasciando margini per il 2017, quando si è espressa l’azione del Team Digital di Diego Piacentini. Ma non credo che la situazione migliorerà drammaticamente nelle analisi relative a quest’anno.

Non lo si può pretendere dopo anni di sostanziale stasi, in cui per miopia collettiva il digitale era dominio di pochi esperti.

Soprattutto è complicato cambiare nella PA, dove il digitale richiede nuovi modi di lavorare, nel back office, prima che sia possibile offrire servizi pubblici su canali digitali.

Il lavoro di Piacentini va in questa direzione, con le azioni su ANPR, SPID e PagoPA. Il progetto più avanzato è quest’ultimo.

ANPR è una partita complicatissima: per riconciliare i sistemi gestionali di diversi operatori e passare da 8 mila anagrafe a una soltanto saranno necessari sforzi enormi.

Su SPID il problema è che non ci sono molti servizi pubblici negli enti locali che giustifichino l’attivazione di questa chiave universale. Chiave universale sì, ma solo in teoria, dato per ora apre poche porte. Sempre nell’attesa dell’adesione convinta dei primi service provider privati.

Di base, c’è che negli enti molti servizi non sono digitali. Non c’è nessun obbligo a riguardo, per i Comuni per esempio, a rendere digitali i propri servizi. Il lavoro del piano triennale però toglie alibi alle Pa, forzando il sistema a investire in una direzione precisa.

A questo proposito, Agid e il Team stanno dando agli enti soluzioni strutturali che offrono i processi base chiavi in mano, come la gestione dell’identità. Il tutto gratis: l’ente spende solo per adattare i sistemi.

Altro problema sono le interfacce dei siti e servizi, che sembrano disegnate dai burocrati per i burocrati. Altro che cittadino al centro. Ma anche su questo fronte la community designer di Piacentini ha aiutato a fare passi avanti. Come per le altre cose, bisognerà attendere per vedere i primi frutti all’esterno, visibili al cittadino.

Ma non è finita, perché secondo un sondaggio che presenteremo il 5 dicembre con il rapporto 2017 dell’osservatorio Agenda Digitale, il 60 per cento degli italiani non si accontenta di servizi digitali della PA. Vuole servizi automatizzati. Ridurre al minimo i contatti con l’amministrazione. Le Pa hanno già molti dati su di noi, non hanno in teoria davvero bisogno di chiederceli ogni volta, per esempio nella dichiarazione di redditi o nel DURC. Li chiedono perché non riescono ancora a utilizzare bene i dati al proprio interno, a farli circolare tra le PA. Anche su questo fronte stanno lavorando AgID e Piacentini, con il modello di interoperabilità del piano triennale.

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In sintesi, per migliorare la situazione della PA digitale, servono tre cose:

  • accelerare i processi di digitalizzazione dei servizi pubblici. Gli italiani ci dicono di essere stufi di andare agli sportelli
  • Semplificare le interfacce dei servizi, perseguendo le iniziative di semplificazione e design avviate dal Team per la trasformazione digitale
  • Far sparire proprio alcuni servizi, automatizzandoli il più possibile facendo leva sull’interoperabilità dei sistemi informativi pubblici

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