Tra le modifiche più significative introdotte con il nuovo Codice delle Comunicazioni elettroniche (d. lgs. n. 207/2021), vi sono certamente le disposizioni che impattano sulla concorrenza tra gli operatori TLC. In particolare, il nuovo Codice ha introdotto importanti novità sulla determinazione dei contributi annuali dovuti dagli operatori per l’utilizzo delle frequenze.
Novità che hanno un impatto anche sui consumatori.
Per orientarci su queste ricadute concrete, ci viene in soccorso un blocco di sentenze del Consiglio di Stato (sez. VI, sentenze del 29 marzo 2021, da n. 2648 a 2652 e da n. 2655 a n. 2657; sentenza del 14 giugno 2021 n. 4598), che l’anno scorso hanno chiuso un contenzioso assai articolato su questo tema, e che, avendo anticipato la medesima ratio della norma che sarebbe arrivata da lì a poco, oggi può fungere proprio da “sfera di cristallo”, da vera e propria rivelazione delle implicazioni pratiche del nuovo disposto in esame.
Le nuove modalità di fissazione dei prezzi delle frequenze
Partiamo dalle novità. Il legislatore nazionale, ai fini della determinazione dei contributi annuali dovuti dagli operatori per l’utilizzo delle frequenze, ha ritenuto di eliminare il principio dello “sconto a volume” di cui godevano i grandi operatori, e di diminuire i costi dei diritti annuali delle frequenze.
Tale inversione di rotta è stabilita all’art. 5 dell’allegato XII del nuovo Codice, che gradua i contributi in base all’effettivo utilizzo: chi usa poco le frequenze, specie i piccoli operatori in zone svantaggiate, pagherà di meno rispetto a quanto avvenuto finora, e ciò, sia a tutela della concorrenza, sia per favorire la copertura di zone in digital divide con connessioni banda ultra larga wireless.
Mentre nel sistema previgente i grandi operatori erano avvantaggiati rispetto ai piccoli, perché godevano di uno sconto sul prezzo delle frequenze, proporzionale ai volumi utilizzati, oggi non è più così, in quanto i costi sostenuti dagli operatori sono stati equalizzati, essendo direttamente proporzionali all’utilizzo delle frequenze.
Ne deriva che i piccoli operatori, che utilizzano meno le frequenze, in quanto coprono territori più piccoli o perché operano nelle zone svantaggiate, avranno costi inferiori rispetto a quelli finora sostenuti. Dall’altra parte, i grandi operatori, che prima ottenevano sconti proprio in ragione del maggiore uso delle frequenze, sosterranno adesso costi maggiori.
Il quadro normativo comunitario
Tale scelta legislativa, assolutamente non casuale, è preordinata a garantire un equilibrio concorrenziale all’interno del mercato delle telecomunicazioni secondo le indicazioni fornite dalla direttiva UE 2018/1972, la quale si pone tra gli obiettivi primari quello di consentire agli Stati membri di disporre di reti e servizi della massima capacità, che siano economicamente sostenibili in una determinata area, nel perseguimento della coesione territoriale, intesa come convergenza della capacità disponibile in aree differenti (considerando 23).
La direttiva, peraltro, all’art. 16 consente agli Stati membri perfino di non riscuotere i diritti amministrativi nei confronti delle imprese il cui fatturato è inferiore a una determinata soglia, o le cui attività non raggiungono una quota minima di mercato, o hanno una portata territoriale molto limitata.
È dunque evidente l’attenzione ai piccoli operatori, così come l’incentivo ad una maggiore capillarità della copertura dei servizi di telecomunicazione.
Quali ricadute sul mercato italiano?
Orbene, tali novità, che a valle hanno importanti ricadute anche per i consumatori, impattano innanzi tutto nelle dinamiche tra operatori telco, grandi e piccoli.
Proviamo qui di seguito ad anticipare alcune ipotesi di impatto di questa novità normativa sul nostro mercato, facendo riferimento al blocco di sentenza di cui sopra.
Il contenzioso sulla proroga delle licenze WiMAX
La vicenda affrontata dal Supremo Giudice Amministrativo aveva a oggetto la determinazione dei contributi da versare per la proroga dei diritti d’uso sulle bande di frequenza 3.4-3.6, originariamente destinate alla tecnologia WiMAX, ma idonee al refarming in tecnologia 5G.
La proroga, richiesta dalle quattro imprese TLC italiane titolari di tali diritti, era stata riconosciuta da Mise e Agcom, proprio al fine di riutilizzare tali bande di frequenza per il 5G.
I provvedimenti di proroga, tuttavia, sono stati impugnati dinanzi al TAR Lazio dalle big telco, che si erano aggiudicate la gara pubblica per l’assegnazione delle frequenze per il 5G, “gemelle” di quelle oggetto di proroga, lamentando l’esiguità dei costi di proroga, a fronte dei prezzi di aggiudicazione della gara pubblica per l’assegnazione delle frequenze, fino a undici volte superiori.
In primo grado, il TAR Lazio aveva accolto i ricorsi delle big telco, ma successivamente il Consiglio di Stato, ha ribaltato le sentenze di primo grado, condividendo l’operato di Agcom e Mise.
Le indicazioni del Consiglio di Stato
In sintesi, i giudici di Palazzo Spada hanno delineato l’opportunità di una graduazione dei costi di utilizzo, che sia direttamente proporzionale all’utilizzo delle frequenze e alle loro caratteristiche, e ciò al fine di preservare, sia la permanenza sul mercato dei competitor più piccoli, sia la più ampia copertura territoriale dei servizi di telecomunicazione.
Le scriminanti in termini di fatturato, potere economico e di investimento, di copertura territoriale e durata, nonché di modalità di utilizzo, sono le informazioni che devono avere un peso fondamentale nella determinazione dei prezzi dei diritti sulle frequenze.
Analizziamole una per una, attraverso la lente del Consiglio di Stato.
Il potere economico e di investimento
Quanto al potere economico e di investimento, prioritaria deve essere la permanenza nel mercato degli operatori minori, anche mediante la tutela degli investimenti da essi precedentemente sostenuti, tenendo a mente altresì i costi che gli operatori dovranno sostenere per la conservazione della licenza acquisita.
Tra questi, in particolare, i costi pubblici, che influiscono sul margine di utilità ritraibile dall’utilizzo della risorsa, che per l’appunto è affidata dallo Stato, e che sono determinati dall’obbligo di utilizzare le frequenze nel rispetto delle prescrizioni di carattere tecnico e regolamentare previste dall’Ordinamento giuridico.
Dall’altro lato, gli investimenti necessari per rimanere al passo con l’evoluzione tecnologica, anche a beneficio dell’industria e dell’occupazione.
Copertura territoriale e durata
Intimamente connesso ai costi, altro parametro individuato ai fini della determinazione del prezzo delle licenze, è quello della durata e della estensione dei diritti d’uso.
Tale aspetto, infatti, incide sul ritorno economico atteso dagli operatori, specie minori, che agiscono in ambiti territoriali ristretti.
Il recupero degli investimenti
Infine, come sopra anticipato, il Consiglio di Stato si è soffermato sulla necessità di garantire il recupero degli investimenti tecnologici sostenuti, nonché di quelli programmati al fine di assicurare un utilizzo efficiente dello spettro. L’imposizione di un contributo sganciato da tali valori, infatti, impedirebbe l’adempimento degli impegni richiesti agli operatori, specie di quelli più piccoli, con l’effetto di precludere anche gli investimenti necessari per il perseguimento di quegli stessi scopi fissati a livello regolatorio, a monte del procedimento di concessione delle frequenze.
Tali indicazioni potranno, in definitiva, costituire proprio l’applicazione concreta, sul mercato, del nuovo art. 5, allegato XII, del Codice delle comunicazioni elettroniche, laddove si prevede la quantificazione dei costi dei diritti d’uso secondo un criterio direttamente proporzionale all’estensione del loro utilizzo.
Peraltro, la portata di tali “verticalizzazioni” della norma oggi in questione, può diventare ancor più importante, potendo esse divenire criteri interpretativi generali anche per la determinazione dei costi di ingresso al mercato, da applicare nelle gare pubbliche di prossima celebrazione.
[Nota di trasparenza: gli autori del presente articolo sono stati coinvolti nei giudizi in questione, in qualità di avvocati difensori di una delle imprese TLC beneficiarie della proroga]