il quadro

Quale strategia ICT per la PA: dalla storia la lezione per non ripetere vecchi errori

A volte recuperare e rileggere la storia è utile per capire gli errori del passato e evitare di farne nel futuro. È il caso di quanto è accaduto nel corso degli ultimi 15 anni in Italia sul tema interoperabilità e modelli strategici per la PA. Un articolo che è anche una lectio magistralis, di Alfonso Fuggetta

Pubblicato il 06 Giu 2016

Alfonso Fuggetta

professore di Elettronica, Informazione e Bioingegneria, Politecnico di Milano

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A volte recuperare e rileggere la storia è utile per capire gli errori del passato e evitare di farne nel futuro. È il caso di quanto è accaduto nel corso degli ultimi 15 anni in Italia sul tema interoperabilità e modelli strategici per la PA. Ovviamente, ripropongo questo excursus sulla base delle mie opinioni e esperienze personali.

Il piano di azione

Il primo documento nel quale si affrontarono questi temi fu il piano d’azione di Bassanini e Osnaghi, dimenticato e ignorato da anni, che ho riportato all’attenzione degli addetti ai lavori mesi fa. In quel piano si introdussero alcuni concetti importanti:

  • La distinzione tra front-end e back-end.
  • Il bisogno di far interoperare i back-end delle PA per sviluppare front-end veramente utili.

Il documento non conteneva indicazioni architetturali o operative, ma certamente proponeva un indirizzo generale, una strategia convincente per lo sviluppo del paese.

SPC Coop

Nei primi anni duemila, questa strategia fu rallentata in primo luogo dall’ansia delle amministrazioni centrali e locali che volevano sviluppare “portali” e “servizi al cittadino”. Non si era capito (e non lo si capisce ancora oggi) che il primo obiettivo della digitalizzazione è far funzionare meglio la macchina dello stato, riducendo i “servizi al cittadino”, che spesso altro non sono se non incombenze alle quali deve obbedire e non vere attività al “suo servizio”. In secondo luogo, non si svilupparono la cultura, la capacità progettuale e le infrastrutture per facilitare l’interoperabilità dei back-end. Come scrivevo nell’articolo che citavo in precedenza, si fece SPC Coop che però era troppo complesso e macchinoso sia dal punto di vista tecnico, che da quello istituzionale e giuridico. In poche parole, la traduzione in pratica dell’indirizzo di Osnaghi e Bassanini fu insufficiente e frenata da errori e limiti.

Peraltro, è comprensibile che in un programma complesso e realmente innovativo ci possano essere errori e limiti che l’esperienza concreta mette in luce e che devono essere corretti per ridare slancio ai processi che stanno zoppicando. Si sarebbe quindi dovuto agire per tenere conto delle esperienze fatte e rilanciare quanto di buono era stato sviluppato.

E invece?

Il vuoto

A partire dal secondo governo Prodi ci fu il vuoto assoluto, banalizzazioni dei problemi, inazione, passi indietro, depotenziamento della governance, assenza di strategia che, come ho avuto modo di scrivere, bloccarono il processo di innovazione e, in particolare, tutto ciò che aveva a che fare con il tema della strategia di interoperabilità del paese.

E015

Proprio per proporre una alternativa concreta a questo vuoto e venire incontro ai bisogni degli organizzatori di Expo 2015, nel 2009 concepimmo con il sostegno di Camera di Commercio di Milano, Confindustria, Confcommercio, Assolombarda e Unione del Commercio di Milano il progetto che con l’ingresso della società Expo fu poi chiamato E015: una declinazione concreta e allineata all’evoluzione delle tecnologie della visione originaria di Bassanini e Osnaghi. Inoltre, rispetto a quanto previsto dal piano di azione, E015 sposò in pieno la filosofia dell’API Economy, con scelte architetturali e, soprattutto, processi e modelli di business in linea con lo sviluppo delle tecnologie e del mercato.

In quel periodo, investimmo alcuni anni in comunicazione, sensibilizzazione, coaching, mentorship. Alla fine l’idea si è rivelata utile e in poco tempo sono state sviluppate applicazioni che per molto tempo sembravano impossibili da realizzarsi: non perché fossero “tecnicamente complesse”, ma perché mancava un quadro convincente di collaborazione tra una molteplicità di soggetti pubblici e privati.

È questo il principale lascito di Expo con E015: aver identificato un paradigma di collaborazione istituzionale e di business che mette insieme in modo armonico pubblico e privato. Infatti il costo del progetto non è stato nello sviluppo di particolari tecnologie (abbiamo peraltro usato molte componenti open source), ma nel promuovere un cambio di paradigma e culturale nel modo in cui si sviluppano applicazioni e servizi digitali.

Operativo dal 2013, oggi E015 è una infrastruttura gestita da Regione Lombardia e aperta a tutti coloro (publici e privati) che vogliano esporre API e usarle per sviluppare nuove applicazioni e servizi.

La struttura di missione di Caio

Nell’autunno del 2013, per pochi mesi, Francesco Caio operò per impostare una serie di progetti che rilanciassero l’innovazione digitale del paese. In particolare, tra l’autunno del 2013 e il gennaio 2014 (3 mesi!), Caio e la sua struttura di missione (di cui ebbi l’onore di fare parte) promossero tre progetti importanti: anagrafe nazionale, identità digitale e fatturazione elettronica.

In realtà, la struttura di missione non aveva particolari “poteri” o risorse, ma fu in grado di influire su alcuni processi di innovazione. In particolare, Caio non solo diede slancio e forma ai tre progetti che citavo in precedenza, ma identificò e promosse anche un metodo di lavoro multistakeholder e una modalità di project management che in pochi mesi permise di fare dei significativi passi in avanti.

Alla conclusione del suo mandato (febbraio 2014), provai a riassumere in un documento una serie di idee che ritenevo utili per lo sviluppo ulteriore del lavoro. Queste idee e proposte riprendevano quanto sviluppato in E015 e tenevano conto anche di ciò che avevo colto dalle discussioni avvenute nella struttura di missione. Distribuii il documento tra gli addetti ai lavori per cercare di costruire consenso su quelle idee e, al tempo stesso, avere contributi, critiche, suggerimenti. Dopo alcuni mesi, lo pubblicai presso la rivista Astrid Online e lo resi disponibile sul mio blog.

Crescita digitale

Quasi contemporaneamente, nel Novembre 2014 venne rilasciato ildocumento sulla Crescita Digitale. È un documento che ha pregi e difetti che vale la pena discutere.

  • In positivo, certamente rappresenta il tentativo di dare una visione unitaria e strategica di medio-lungo respiro.
  • Come aspetto critico, sul fronte della strategia complessiva pone ancora una volta molta enfasi sullo sviluppo dei front-end, senza affrontare in modo deciso e netto il tema dell’integrazione dei back-end.

Il cambio di paradigma

Pur riconoscendo a Crescita Digitale il merito di aver proposto una visione organica rispetto al vuoto degli anni precedenti, da subito, per quel che mi concerne, cercai di proporre un cambio di paradigma che rimettesse al centro del dibattito gli aspetti che non erano stati indirizzati adeguatamente. In particolare, proposi un semplice schema di riferimento (illustrazione che riprendo dall’articolo citato in precedenza) che integrava da un lato la visione di E015 (e quanto discusso nei documenti che citavo in precedenza) con l’enfasi data in Crescita Digitale a Italia Login.

(cliccare per ingrandire)

È solo un schema di massima, ma può essere un riferimento importante attorno al quale costruire il piano triennale di sviluppo.

Qualche considerazione finale

Se vogliamo superare i ritardi e i limiti che caratterizzano lo stato dei processi di digitalizzazione del paese è vitale essere consapevoli di quanto è accaduto in questi anni, per evitare di ripetere gli stessi errori e, anzi, per accelerare i processi tenendo conto delle esperienze pregresse. Credo sia un esercizio di umiltà e saggezza indispensabile se vogliamo veramente il bene del nostro Paese.

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