Il rapporto 2015 a cura del World Economic Forum (Wef) sui Rischi Globali (cioè quegli “eventi o condizioni che, se accadono, possono causare un significativo impatto negativo per diversi Paesi o settori industriali nei prossimi 10 anni”) è un’ottima occasione per riflettere intorno ai fenomeni che stanno modificando l’assetto della nostra società, e capire se le politiche in atto da parte dei diversi Stati sono in grado di far sì che i cambiamenti corrispondano ad un miglioramento della qualità della vita.
Il rapporto identifica dieci rischi maggiori dal punto di vista della probabilità di accadimento (in ordine: conflitti tra Stati, eventi metereologici estremi, fallimento di governance nazionale, crisi di stati, disoccupazione o sotto-occupazione, catastrofi naturali, fallimento nell’adattamento ai cambi climatici, crisi dell’acqua, furto-frodi di dati, attacchi informatici) e dieci rispetto alla significatività di impatto (in ordine: crisi dell’acqua, diffusione di malattie infettive, armi di distruzione di massa, conflitti tra stati, shock del prezzo dell’energia, fallimento nell’adattamento ai cambi climatici, crollo delle infrastrutture informative critiche, crisi fiscali, disoccupazione o sotto-occupazione, perdita della biodiversità e collasso degli ecosistemi).
I rischi e l’innovazione tecnologica
Facendo riferimento in modo specifico al nostro ambito di analisi (l’innovazione tecnologica), rileviamo alcuni punti significativi, sui quali è utile riflettere:
- tutti i maggiori macrofenomeni sono legati all’uso del digitale e di Internet, da quelli legati alle guerre in corso e al terrorismo a quelli legati alla fragilità sociale;
- il governo dell’interconnessione è un tema trasversale, in un contesto in cui diventa sempre più necessario e allo stesso tempo sempre più complesso il coordinamento di interventi spesso di natura e fonte diversa, così come il coinvolgimento degli stakeholder;
- l’urbanizzazione (e la sua evoluzione positiva) è uno dei principali nodi chiave in cui si declina anche il concetto di smart city, con la consapevolezza della sua dimensione (oggi le città assorbono metà della popolazione mondiale e nel 2050 ne ospiteranno i due terzi), delle sue potenzialità positive (migliori trasporti, migliore vita sociale, miglior livello di servizi) e, in mancanza di pianificazione e di governo, delle sue possibili catastrofiche conseguenze (maggiore povertà, maggiore inquinamento, maggiore consumo energetico), soprattutto lì dove si accompagna a enormi fenomeni migratori dalle regioni interne e dalle campagne, come in Asia e Africa. In questo contesto si definisce il confine e il concetto stesso di smart city, che deve basarsi sui principi dell’universal design per poter ridurre e non accentuare i divari tra le diverse componenti della popolazione (come anziani e disabili).
Ciò che differenzia questo rapporto dai precedenti è proprio l’incidenza della diffusione pervasiva delle tecnologie (e dei rischi connessi, come quello degli attacchi informatici), l’interconnessione sempre più affermata, la contemporanea presenza di nuove realtà economiche, l’allargarsi del fenomeno della disoccupazione e la difficoltà di governance.
Non è un caso che Klaus Schwab, fondatore del Wef, affermi che “le nuove tecnologie, così come Internet o le innovazioni emergenti, non porteranno frutti se non si trova un accordo sui meccanismi di regolazione a livello nazionale e internazionale “ e anche “la comprensione condivisa delle opportunità è necessaria come base per la collaborazione multistakeholder, che ha visto un riconoscimento crescente come il modo più efficace di affrontare i rischi globali e costruire resilienza per contrastarli”.
Ma se i rischi maggiori sono sempre più interconnessi tra loro, ecco che uno dei trend principali, la crescita della “iperconnessione”, apre la possibilità di stressare ancora di più le difficoltà di governo a livello micro e macro, dai grandi temi economici alla governance di Internet, perché Internet diventa sempre più un luogo dove avvengono i fatti e che sempre di più necessita di regole che garantiscono l’esercizio dei diritti (vedi anche le iniziative del Parlamento italiano) e una sempre maggiore capacità di gestire i “cyber attack”, con difese adeguate e simili a quelle presenti nello spazio fisico.
Strategie di intervento
Il quadro degli interventi possibili sul fronte digitale credo si componga intorno a tre elementi chiave:
- la resilienza, cioè la capacità delle comunità sociali di affrontare e resistere agli accadimenti degli eventi negativi (a partire da quelli ambientali, ma anche a quelli sociali ed economici, strettamente connessi), e quindi anche di gestire le trasformazioni legate alle innovazioni;
- la consapevolezza digitale e la governance sulle tecnologie e sulla rete, chiave per intraprendere e attuare politiche di lungo termine, andando oltre gli interessi e le frammentazioni localistiche;
- la visione globale, che si può esprimere in modo specifico sul tema complesso e tumultuoso dell’urbanizzazione (soprattutto in Asia e Africa, ma non solo) tenendo conto degli aspetti sociali ed ambientali (che sono tra i rischi globali a impatto e probabilità più alta).
È a partire da questi elementi che diventa possibile pensare ad un superamento della fragilità sociale (uno dei maggiori rischi globali), ma anche ad un approccio diverso alle smart city, centrato sulla capacità di resilienza. Un approccio interdisciplinare che ad esempio include organicamente i temi urbanistici e architettonici, o la comprensione dell’instabilità e della fragilità della rete mobile, come hanno dimostrato i casi dello tsunami in Giappone nel 2011 e del” Superstorm Sandy” del 2012, dove i tempi di riparazione della rete cellulare sono stati misurati in settimane.
Resilienza
Il percorso per la costruzione di comunità resilienti è però lungo e complesso, e si realizza nel tempo a mio avviso sulla base di un’attenzione specifica all’infrastruttura culturale, che è l’unica che può garantire una coerenza di interventi nel medio-lungo termine e la capacità di connettere le motivazioni dell’attuale crisi alle ragioni di un divario sociale sempre più accentuato (il reddito del 10% più ricco della popolazione mondiale è cresciuto negli ultimi anni di nove volte quello del 10% più povero) e sempre più ampliato da una disoccupazione rispetto alla quale non sono visibili politiche internazionali di contrasto significative e radicali.
Una delle esperienze recenti di “costruzione” di una capacità di resilienza di comunità è quella, citata nel Rapporto, della Resilient America Roundtable, basata su un approccio multistakeholder pubblico-privato, con esperti provenienti anche dal mondo accademico e scientifico. I progetti pilota lanciati si basano su un approccio strutturato intorno a quattro attività chiave:
- comprensione e comunicazione dei rischi;
- identificazione di misure o metriche di resilienza, incluse considerazioni sull’accettabilità o meno delle conseguenze dei rischi;
- costruzione o rafforzamento di coalizioni e partnership per la costruzione della resilienza nella comunità;
- condivisione di informazioni o dati legati alle buone pratiche di processi decisionali per costruire comunità resilienti.
Visione Globale
In cima ai rischi tecnologici ci sono naturalmente i “cyber attack”, gli attacchi informatici, che ci si aspetta possano aumentare sia per la crescita dell’interconnessione sia per la diffusione del cloud, che porta ad una quantità di dati (anche sensibili) sempre maggiore gestita in rete dalle organizzazioni, sia per l’evoluzione dell’Internet of Things (IoT). Solo negli Stati Uniti si stima che il costo degli attacchi informatici sia pari a 100 miliardi di dollari ogni anno.
La diffusione di innovazioni pervasive come l’IoT, proprio per la loro potenza distruttrice sui modelli di business consolidati, può rappresentare un rischio per l’economia globale lì dove non adeguatamente governata. Il rapporto qui evidenzia l’urgenza di adeguare l’infrastruttura Internet sui temi della sicurezza, poiché attacchi sull’IoT possono non solo causare il furto di dati personali (es. chi ha noleggiato quale auto e dove) ma anche di sicurezza fisica (alterando il sistema di controllo stesso dell’auto).
Consapevolezza e Governance
La governance auspicata si basa sulla capacità di gestire i cambiamenti dal punto di vista normativo, culturale, economico, finanziario. E qui il tema della Governance di Internet esce definitivamente dalla nicchia “tecnologica” per diventare a tutti gli effetti parte fondamentale del nodo più ampio della governance dei fenomeni mondiali. Come già emerso dai lavori e dalle proposte che hanno portato alla “Dichiarazione dei diritti di Internet”, i temi tecnici di interoperabilità e quelli più generali della sicurezza rispetto agli attacchi informatici, della Net neutrality, della privacy e della libertà di espressione diventano elementi fondamentali per fronteggiare i rischi globali della nostra società.
Da questo punto di vista, il rapporto esprime grande preoccupazione sulla debolezza dell’attuale governance, in cui i soggetti principali (Internet Engineering Task Force (IETF) , World Wide Web Consortium (W3C), Regional Internet Registries (RIRs), Internet Corporation for Assigned Names and Numbers (ICANN), Internet Governance Forum (IGF)) esprimono indicazioni da adottare volontariamente o con convenzioni ad hoc. Il risultato è la deriva attuale, in cui ciascun Paese definisce e percorre soluzioni “nazionali”, spesso orientate alla protezione localistica, comunque di breve termine e senza un’ottica generale e internazionale. Con il rischio che questo “nazionalismo dei dati” danneggi e comprometta le potenzialità di Internet di stimolare innovazione e creare valore economico e sociale. Di qui l’iniziativa avviata da parte del Wef per una iniziativa strategica e multistakeholder che coinvolga governi, imprese, società civile e comunità tecnica, integrando l’attività dell’IGF, che chiaramente il Wef afferma così come debole e inefficace.
Di qui consegue a mio avviso la necessità che anche in Italia e in Europa si acquisisca un approccio globale e organico alle tematiche della rete e del digitale, unico in grado di consentirci di affrontare i rapidi cambiamenti della nostra era. Un approccio in cui la società civile deve saper giocare un ruolo attivo e strategico.