data center PA

Razionalizzazione dei CED, l’incertezza politica pesa sul futuro

Ha preso avvio la seconda parte del censimento Agid sui datacenter della PA, propedeutico alla razionalizzazione e valorizzazione del patrimonio informativo pubblico. L’assenza di un governo rischia di ritardare non solo questo processo ma anche l’attuazione di tutte le azioni per la digitalizzazione della PA

Pubblicato il 09 Mag 2018

Enrico Martini

ministero dello Sviluppo Economico

ovh privacy datacenter

A fine aprile è partita la seconda fase del Censimento AgID dei data center della Pubblica amministrazione, propedeutico alla riorganizzazione del parco dei data center della PA attraverso un’opera di razionalizzazione utile, sia a ridurre i costi di gestione, sia a uniformare e aumentare la qualità dei servizi offerti alle Pubbliche amministrazioni, anche in termini di business continuity, disaster recovery ed efficienza energetica.

La prima fase del Censimento, avviata nel dicembre 2017 e conclusa a febbraio, ha riguardato le amministrazioni regionali (incluse province autonome) e le relative in-house ICT, nonché le città metropolitane, con circa l’83% di Enti che hanno completato il questionario.

Questa seconda fase riguarda tutte le restanti pubbliche amministrazioni, come definite nell’ambito di applicazione della Circolare AgID 05/2017, ovvero quelle richiamate dall’art. 2 comma 2 del Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD).

Valorizzare il patrimonio informativo della PA

La partecipazione al censimento consentirà alle amministrazioni di valorizzare il proprio patrimonio informativo e individuare il raggruppamento di appartenenza dei Data center in uso rispetto alla classificazione contenuta nel Piano triennale. Ogni amministrazione verrà poi consigliata automaticamente su quale sia la strategia migliore in termini di migrazione verso cloud e PSN.

L’elenco di candidati PSN sarà predisposto da AgID in base alle informazioni ottenute nel censimento e i criteri di valutazione saranno basati sulle caratteristiche tecniche del data center e sulle caratteristiche organizzative dell’ente che lo gestisce, che deve essere dotato di personale sufficiente e preparato per fornire il servizio agli altri enti pubblici. La lista dei candidati, preparata da AgID entro metà 2018, sarà poi sottoposta al Governo che avrà il compito di decidere l’elenco finale dei PSN. Servirà però un Governo in carica pienamente legittimato che al momento, a distanza di alcuni mesi dalle elezioni nazionali del 4 marzo, ancora non si intravede all’orizzonte.

Migrazione dei CED verso il cloud

Per quanto riguarda la migrazione dei CED verso il cloud, una soluzione cloud IaaS è già disponibile tramite la convenzione Consip SPC Cloud e altre saranno aggiunte grazie a un processo di qualificazione operato da AgID e Consip.

Soltanto dopo che tali azioni preliminari saranno completate, tutte le Amministrazioni saranno in grado di dare avvio alla propria transizione infrastrutturale.

Nell’attuale fase rimangono i tantissimi vecchi e inefficienti data center sui quali è proibito eseguire investimenti a meno che, poche eccezioni escluse, opportuna giustificazione sia autorizzata dal vertice dell’Ente e comunicata ad ANAC e AgID.

Assenza di Governo e rischio ritardi

Ad oggi il rischio di forti ritardi è molto concreto, soprattutto a causa dell’assenza di un Governo che abbia legittimazione parlamentare e che guidi le decisioni che esulano la sfera tecnica e interessano quella politica.

Come è noto, il Piano Triennale segue l’incessante evoluzione tecnologica e per questo motivo per legge è previsto che sia aggiornato ogni anno. L’assenza di un Governo pienamente in carica rischia di bloccare, o quantomeno ritardare, l’approvazione del Piano 2018-2020, con un forte impatto negativo non solo sul processo di razionalizzazione dei data center, che nel Piano rappresenta una parte di un disegno più complessivo, ma sull’attuazione di tutte le azioni previste per la digitalizzazione della PA.

Digitalizzazione dell’economia, Italia in affanno

Sarebbe una frenata brusca che il nostro Paese non si può permettere, considerato che tra i paesi più avanzati l’Italia è quello che mostra il ritardo più ampio nei processi di digitalizzazione dell’economia, e, in particolare, nell’interazione digitale tra utenti (cittadini e imprese) e la Pubblica Amministrazione. Ricordiamo, infatti, che BEM Research nel “Rapporto sull’e-government 2016” ha stimato che una diffusione dell’e-government in linea con quella media dell’Area euro permetterebbe di aumentare la crescita del nostro Pil, a parità di spesa pubblica, di mezzo punto percentuale. Lo scarso utilizzo dei servizi di e-gov continuerebbe, quindi, a penalizzarci a lungo sia in termini di efficienza della pubblica amministrazione che dal punto di vista economico.

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