Il Recovery Plan sembra voler puntare su giovani ricercatori e tecnologie emergenti, ma per certi versi molti progetti sembrano ancora vaghi, una mescolanza di idee eterogenee a tema libero prive di un’analisi puntuale sui risultati attesi e le condizioni abilitanti per la loro implementazione. Nella proposta di Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che definisce come dovranno essere spesi i circa 223 miliardi di euro messi a disposizione dall’Unione europea, hanno trovato spazio molti interventi che vanno a ridisegnare il futuro sviluppo e a orientarlo verso la trasformazione digitale e verso un rinnovato processo d’innovazione basato su istruzione e ricerca.
Per queste misure lo stanziamento è ingente, circa 50 miliardi di euro. Risorse che andranno impegnate per il 70% entro il 2022, per il 100% entro il 2023, che andranno totalmente spesi entro il 2026.
Innovazione del sistema produttivo nel PNRR
Concentrando l’attenzione su quanto previsto in tema di competitività del sistema produttivo, l’analisi va condotta all’interno della missione di riferimento denominata “Digitalizzazione, Innovazione, Competitività e Cultura”, che ha al suo interno una componente dedicata a “Innovazione del sistema produttivo”, che può contare su una dotazione di ben 37,5 miliardi, a sua volta articolata in cinque linee progettuali.
Transizione 4.0
Lo stanziamento totale per questo progetto è di 19 miliardi, di cui 3,1 miliardi già stanziati a legislazione vigente. Il nuovo progetto Transizione 4.0 prevede misure pluriennali per favorire la pianificazione delle strategie di investimento delle imprese. Introduce significativi potenziamenti, sia in termini di aliquote e massimali delle agevolazioni, sia in termini di semplificazione e accelerazione delle procedure di erogazione del vantaggio fiscale.
L’estensione degli investimenti agevolabili, che a partire dal 2021 includono un bacino più ampio di beni strumentali immateriali, dovrebbe consentire un maggiore coinvolgimento delle piccole imprese che storicamente devono colmare un divario in termini di digitalizzazione di base. Sempre in favore delle piccole imprese, il Piano prevede un bacino più ampio di beni strumentali immateriali agevolabili e meccanismi semplificati e accelerati di compensazione dei benefici maturati per le aziende con fatturato annuo inferiore ai 5 milioni di euro. La possibilità di fruizione immediata del credito potrebbe favorire maggiori investimenti da parte delle Pmi ovviando alle note carenze di liquidità. Il progetto si basa su un credito d’imposta articolato per spese in beni strumentali (materiali e immateriali 4.0), e per investimenti in ricerca e sviluppo, nonché in processi di innovazione e di sviluppo orientati alla sostenibilità ambientale e all’evoluzione digitale.
A queste misure potranno accedere anche le imprese editoriali per le attività di digitalizzazione e per gli interventi a sostegno della trasformazione digitale dell’offerta e della fruizione di prodotti editoriale. Infine, uno specifico finanziamento di 180 milioni viene attribuito alle infrastrutture digitali per le filiere agroalimentari nelle regioni meridionali.
Innovazione e tecnologia dei microprocessori
Lo stanziamento totale per questo progetto è di 750 milioni. Il progetto è volto a sostenere il settore della microelettronica, attraverso un mix di strumenti per il sostegno finanziario agli investimenti in macchinari, attrezzature e impianti produttivi. Data la specializzazione nel settore di alcune aree territoriali, è ragionevole attendersi che una quota significativa di questa linea di intervento possa riguardare il Sud e favorire un’occupazione giovanile altamente qualificata.
Finanziamento PMI e Fondo di Garanzia
Lo stanziamento totale per questo progetto è di 800 milioni. Saranno rafforzati gli strumenti per favorire l’accesso al credito e la liquidità delle imprese, come il rifinanziamento del Fondo di Garanzia.
Banda Larga, 5G e monitoraggio satellitare
Lo stanziamento totale per questo progetto è di 4,2 miliardi. In questo ambito si prevedono interventi per la riduzione del digital divide favorendo il raggiungimento degli obiettivi europei della Gigabit society: il Piano Italia 1 Gbit/s che prevede il completamento del progetto Banda ultra larga; copertura in fibra ottica in realtà pubbliche ritenute prioritarie (completamento Piano scuole; piano sedi della sanità; piano fibra per parchi naturali; piano fibra per musei e siti archeologici); fibra per il 5G lungo le vie di comunicazione extra-urbane e diffusione di reti 5G negli impianti sportivi pubblici; promozione dei servizi 5G e la safety del 5G.
Politiche industriali di filiera e internazionalizzazione
Lo stanziamento totale per questo progetto è di 2 miliardi. Il progetto prevede di sostenere le filiere industriali, in particolare quelle che maggiormente hanno risentito degli effetti della crisi e quelle più avanzate dal punto di vista dell’innovazione e della sostenibilità ambientale, favorendone il rafforzamento anche al fine di migliorarne il posizionamento nelle catene del valore europee e globali e di ridurre la dipendenza da Paesi terzi. Particolare attenzione sarà rivolta alle imprese che promuovono nel mondo i prodotti del Made in Italy, in particolare a quelle di minori dimensioni.
Ricerca e Sviluppo nel PNRR
Concentrando l’attenzione su quanto previsto in tema di innovazione e ricerca, l’analisi va condotta all’interno della missione di riferimento “Istruzione e Ricerca”, che ha al suo interno una componente denominata “Dalla ricerca all’impresa”, che può contare su 13 miliardi, a sua volta articolata in due linee progettuali che mirano ad innalzare il potenziale di crescita del sistema economico, agendo in maniera sistemica sulla leva degli investimenti in R&S.
Rafforzamento di Ricerca e Sviluppo e delle iniziative IPCEI
Una prima direttrice di intervento è rivolta al potenziamento delle grandi infrastrutture di ricerca (1 miliardo) e al finanziamento del fondo programma nazionale della ricerca e dei nuovi PRIN – Progetti di Rilevante Interesse Nazionale (circa 2 miliardi). Per la ricerca di base gli aiuti si fermano sostanzialmente qui. Quello che purtroppo manca è proprio una strategia sulla ricerca curiosity-driven, quella a più alto rischio ma capace di generare le idee e i risultati a maggiore impatto, ponendosi sui confini più inesplorati della conoscenza.
Sono previsti poi i partenariati allargati – estesi a Università, centri di ricerca, imprese – per lo sviluppo di progetti di ricerca orientati alle sfide di innovazione che il Paese ha davanti a sé. Viene indicato come modello il Fraunhofer tedesco, ossia una rete di Istituti di ricerca applicata dove ogni centro si specializza in una tecnologia emergente e su questa stipula contratti industriali. Se in Germania è un modello di successo, tanto da farne uno tra i più studiati al mondo, viene da chiedersi quanto questo modello, così peculiare, possa essere adattato e replicato nel contesto del nostro Paese.
La prospettiva di aumentare gli investimenti pubblici e privati si ritrova anche nella misura che prevede il sostegno pubblico (tramite incentivi) alla partecipazione delle imprese italiane alle catene strategiche del valore attraverso iniziative quali IPCEI e a Partenariati in ricerca e Innovazione – Horizon Europe[1].
Il finanziamento di progetti di ricerca gestiti da giovani ricercatori per 5 anni, sul modello dei bandi ERC (nel pilastro Excellent Science del programma Horizon Europe), completano l’elenco delle proposte di questa componente.
Trasferimento di tecnologia e sostegno all’innovazione
La seconda linea progettuale delinea “ecosistemi dell’innovazione” attorno a “sistemi territoriali” allo scopo di creare le condizioni per attrarre flussi internazionali di giovani talenti e trattenerne il maggior numero possibile all’interno del sistema nazionale. Sono contemplati, in quest’ambito, investimenti per finanziare la creazione di 20 “reti nazionali di Ricerca e Sviluppo” specializzati alla “vocazione produttiva del territorio”. I sistemi territoriali d’innovazione, che si ispirano ad alcune esperienze di successo (come il Polo universitario dell’Università Federico II a San Giovanni a Teduccio), coprono un ampio spettro della collaborazione tre impresa ed enti di ricerca su alcune tecnologie: sviluppo dei sistemi di comunicazione di quinta (5G) e sesta generazione (6G); supercalcolo; tecnologie quantistiche e nuovi materiali; integrazione di biologia con intelligenza artificiale; algoritmi di intelligenza artificiale per la diagnosi e la prognosi di malattie complesse e per lo sviluppo di nuovi vaccini; impulso alle scienze della vita con nuove tecnologie ottiche non invasive per differenziare tessuti sani e malati.
Ci sarebbe davvero tanto da dettagliare su queste iniziative, soprattutto quali siano gli aspetti metodologici (quanto siamo avanti nel porci come innovatori in queste aree tematiche?) e aspetti infrastrutturali (siamo in grado di costruire consorzi e infrastrutture per assolvere alla funzioni soprattutto rispetto alla rendicontazione, coordinamento ed exploitation?).
I sette centri nazionali
In parallelo il Piano individua e consolida sette Centri nazionali, attivi in altrettanti domini tecnologici di frontiera, con dotazione strutturale e di personale:
- Centro Nazionale per l’intelligenza artificiale (l’Istituto avrà sede a Torino)
- Centro Nazionale di Alta Tecnologia ambiente ed energia
- Centro Nazionale di Alta Tecnologia quantum computing
- Centro Nazionale di Alta Tecnologia per l’Idrogeno
- Centro Nazionale di Alta Tecnologia per il Biofarma
- Centro Nazionale Agri-Tech (il Polo Agri-Tech avrà sede a Napoli)
- Centro Nazionale Fintech, (il Polo avrà sede a Milano)
Il Piano, tuttavia, non chiarisce cosa accadrà dopo il 2026, che diventa il termine entro cui i Centri nazionali dovranno dimostrare di essere in grado di autosostenersi, creando strutture in grado di moltiplicare le risorse e trovare sbocchi occupazionali adeguati. Iniziative di questo genere necessitano di una pianificazione e lungo termine, per la formazione e strutturazione del capitale umano e il raccordo con le politiche in atto, alcune proprio con finanziamenti europei, che non possono essere interpellate “a sportello”. Occorrerebbe, quindi, coinvolgere ex ante atenei ed enti di ricerca, mettendo in chiaro fin da subito impegni e contributi.
Tutti i progetti prospettati in questa componente, secondo le intenzioni del Governo, dovrebbero consentire di incoraggiare l’innovazione anche nelle PMI che tradizionalmente fanno più fatica a partecipare a questi processi virtuosi. Il sostegno all’innovazione delle PMI è stimolato anche attraverso l’istituzione di dottorati dedicati a specifiche esigenze di ricerca delle imprese. È prevista l’attivazione di percorsi di dottorato coerenti con la strategia di ecosostenibilità e di innovazione e digitalizzazione, finanziati con risorse ReactEU per 480 milioni di euro, cui si aggiungono 200 milioni per interventi all’interno dei progetti PON.
È, infine, prevista, in collaborazione con Istituzioni nazionali, la creazione di un hub finalizzato a supportare il trasferimento tecnologico dalla ricerca all’economia reale e la valorizzazione economica della ricerca prodotta dai dottorati industriali (si tratta della Fondazione Enea Tech? In caso diverso, come si raccorda con la Fondazione appena nata?)
Ricerca e Innovazione, le cose da migliorare
Ci sono alcuni nodi in tema di sviluppo e ricerca che nel PNRR andrebbero quanto prima sciolti. In tema di innovazione, ad esempio, ci sarà da capire quale sarà l’equilibrio tra investimenti pubblici – che sembrano preponderanti – rispetto a quelli in favore dei privati, a cui andranno 26 miliardi per il rinnovamento delle imprese. L’enfasi maggiore posta sugli investimenti pubblici fa sorgere la domanda se l’attuale apparato pubblico, in assenza di un nuovo sistema di regole, sarà in grado di fare gli investimenti in maniera efficiente e veloce.
Le riforme della giustizia e della semplificazione burocratica, per molti le più urgenti in quanto le uniche in grado di rimuovere i pesanti disincentivi esistenti a localizzare le imprese nel nostro Paese, sebbene riconosciute importanti nel Piano, difettano di genericità. Anche sulla digitalizzazione rimane qualche perplessità sul fatto che sia più un obiettivo auto-consistente piuttosto che uno formidabile e ineludibile fattore abilitante per attuare tutte le altre politiche. Le vocazioni territoriali sono già da tempo terreno di confronto tra Regioni e Commissione europea per l’identificazione della Smart Specialisation Strategy. La definizione dei “campioni territoriali” previsti nel PNRR non esplicita se le loro “vocazioni” siano le stesse oggetto di tale confronto, né rende conto del processo di selezione.
I progetti sul partenariato innovativo, più orientati al “modello tedesco”, di per sé interessanti, saranno messi sotto la lente della Commissione europea che procederà a un’attenta ricognizione delle differenti condizioni dei sistemi economici, spingendoci a fare delle riforme più incisive in tema di politiche del lavoro e di incentivazione finanziaria. In Germania, infatti, è un modello che funziona perché si sposa bene con il profilo delle specializzazioni industriali tipiche dell’economia tedesca. Inoltre è sostenuto da programmi di training e politiche sul lavoro, dal supporto di una rete di istituzionali nazionali e, infine, dal settore bancario.
Per il trasferimento tecnologico, la visione futura dovrebbe prevedere, tra le altre cose, più politiche nazionali (incentivi fiscali e di co-finanziamento di laboratori congiunti università/impresa/spin-off; più libertà di istituire strutture finalizzate alla valorizzazione dei risultati della ricerca; meno vincoli e regole per implementare il trasferimento tecnologico), il rafforzamento delle competenze dei professionisti del settore, l’ampliamento delle figure professionali preposte al trasferimento tecnologico (istituzione della figura del knowledge transfer manager).
Andrebbe raccolto, infine, l’appello del Piano Amaldi, che ha sottolineato la necessità di cogliere l’occasione dei fondi per raddoppiare gli investimenti in ricerca di base da cui dipenderà la ricerca applicata dei prossimi decenni. Sono questioni aperte, che il Piano ancora non ha affrontato.
Conclusioni
Rispetto a una visione strategica di lungo periodo, visti nel loro insieme, gli impegni ipotizzati nel PNRR in tema di sviluppo competitivo, di ricerca e innovazione, richiedono un supplemento di analisi, soprattutto su quelle condizioni che nel Piano ancora non ci sono e che devono trovare spazio nelle prossime versioni.
Molti progetti sono riferibili all’azione “ordinaria” delle amministrazioni centrali di riferimento (Ministero dello Sviluppo Economico e Ministero della Ricerca). Iniziative in parte già avviati, che trovano nel Piano la loro naturale collocazione, in un inerziale processo di continuità. Una raccolta di proposte ancora vaghe e non coordinate tra loro, che non sembrano tenere in dovuta attenzione il primo interlocutore, ovvero l’Europa. Per questo sarebbe necessario che i contenuti del Piano in tema di ricerca e sviluppo siano sottoposti a una rigorosa “peer review” dei progetti; un’analisi puntuale che miri al miglioramento dei progetti anche attraverso l’introduzione di un sistema di misurazione e valutazione competitiva delle proposte a ogni fase.
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Note
- Nel dettaglio, gli IPCEI, che si applicano in sei catene strategiche del valore europee, consentono di riunire conoscenze, competenze, risorse finanziarie e attori economici di tutta l’Unione, favorendo la collaborazione tra settore pubblico e privato per progetti su larga scala. I Partenariati in ricerca e Innovazione – Horizon Europe mirano a sostenere progetti di ricerca, sviluppo e innovazione individuati con specifici bandi, in raccordo con gli omologhi UE, per la partecipazione ai partenariati per la ricerca e l’innovazione. ↑