Per ciò che riguarda le reti locali, due sono le modifiche normative che regolano il passaggio del settore al post–refarming della banda 700 MHz. In primo luogo, la legge ha imposto un radicale cambiamento delle modalità di assegnazione delle risorse radio prevedendo che le frequenze destinate alle reti locali siano attribuite su base regionale ai soli operatori di rete, i quali a loro volta cedono la capacità trasmissiva ai preesistenti operatori locali, che vengono così a trasformarsi da operatori verticalmente integrati in fornitori di contenuti. In secondo luogo, la legge di stabilità 2019 ha modificato il TUSMAR disponendo il superamento della riserva di un terzo della risorsa trasmissiva da destinare alle reti locali. Queste due previsioni, che innovano profondamente il quadro regolamentare del comparto locale introducendo il cosiddetto “Horizontal entry model” anche per l’emittenza locale, hanno consentito all’Autorità di pianificare le reti locali in maniera più flessibile e sicuramente più adatta alle esigenze della televisione locale.
In merito alla riserva di un terzo delle risorse si osserva che questa poteva considerarsi anacronistica già successivamente al primo switch-off alla luce della moltiplicazione della capacità trasmissiva[1] allora operata. A parere di chi scrive, la quantità di capacità trasmissiva a disposizione delle emittenti locali non ha paradossalmente giovato alla maggior parte di questi operatori locali i quali, oltre a dover investire nella digitalizzazione della rete trasmissiva, dovevano preoccuparsi di acquisire o produrre una notevole quantità di contenuti per riempire l’esuberante numero di programmi a loro disposizione. Si è quindi assistito, in buona parte dei casi, a un peggioramento della qualità dei programmi locali, con la moltiplicazione dei canali +1, +2, etc., con l’esplosione dei programmi di televendite o, infine, con la trasmissione continua di repliche di vecchi programmi o film. E questo è avvenuto nello scorso decennio, nel quale si è assistito da una parte alla crescita della concorrenza dei canali tematici o specializzati delle TV nazionali (come visto prima) e dall’altra l’emergere delle nuove modalità di fruizione di programmi televisivi (streaming, YouTube, etc.). Ciò ha reso complicato per un operatore locale medio, dotato di inadeguate risorse finanziarie, conquistare una quota di audience sufficiente a sostenere la sua attività, tenuto anche conto che detto operatore, di norma verticalmente integrato, oltre ai costi per la produzione o l’acquisizione di contenuti, doveva anche sostenere quelli di installazione e gestione della propria rete di trasmissione. Si può quindi affermare che l’introduzione di un singolo operatore di rete a livello regionale (per la rete di 1° livello come di seguito indicato) rappresenti effettivamente un elemento di novità che consente di gestire le risorse assegnate alle reti locali con maggiore efficienza e qualità rispetto a una situazione che vedeva ciascun operatore locale costruirsi e gestirsi la propria rete, demandando a quest’ultimo la sola attività di acquisizione o produzioni di contenuti legati al territorio che costituisce, in fondo, la vera ragion d’essere del comparto televisivo locale.
Per le reti locali sono state quindi pianificate dall’AGCOM una rete di 1° livello in ciascuna delle 18 Aree Tecniche (corrispondenti all’incirca alle regioni) ciascuna con copertura maggiore o uguale al 90% della popolazione, capacità di trasporto di 37 Mbit/s e configurazione 1-SFN o 2-SFN. In alcune aree (in Lombardia -can. 34, nella Provincia Autonoma di Bolzano -can. 21, 34, 42, nella Provincia Autonoma di Trento – can. 35, 39, 41) sono state pianificate ulteriori reti di 1° livello, vista la disponibilità della risorsa. Inoltre, sono state pianificate 48 reti di 2° livello di ridotta capacità di trasporto e di estensione sub-regionale con copertura di almeno il 50% della popolazione di ciascuna provincia inclusa nell’area. Queste reti sono compatibili con le reti di 1° livello e sono realizzate con una configurazione di pianificazione più robusta ma con minore capacità trasmissiva (21 Mbit/s) rispetto alle reti di 1° livello.
TV, il refarming della Banda 700 MHz: pianificazione internazionale, DVB-T2 e piano frequenze
Conclusioni sul nuovo Piano delle Frequenze per la DTT
In conclusione, con la delibera dell’AGCOM n. 39/19/CONS sono state pianificate 12 reti nazionali e 1 rete locale di 1° livello in ognuna delle 18 Aree Tecniche con una capacità trasmissiva stimata in ciascuna area di almeno 480 Mbit/s[2] (12 multiplex nazionali + 1 multiplex locale di 1° livello x 37 Mbit/s) che, con una codifica di sorgente HEVC, consente il trasporto di oltre 500 programmi in SD. Nonostante la riduzione della risorsa frequenziale, si può quindi affermare che la capacità, in termini di numero di programmi, disponibile per il sistema televisivo nel suo complesso non si sia ridotta. Infatti, l’attuale piano DVB-T, che prevede 20 multiplex nazionali + 15 multiplex locali (in media per ciascuna Area Tecnica) usati in maggior parte con la codifica MPEG-2 (la codifica MPEG-4 viene utilizzata per i soli programmi HD) con capacità trasmissiva di circa 20 Mbit/s garantisce la diffusione di circa 230 programmi in SD. In questo modo il sistema televisivo può contare, attraverso il pieno utilizzo dell’HEVC, su di una capacità più ampia a disposizione per aumentare il numero di programmi, per offrire una qualità d’immagine superiore, un maggior numero di programmi in HD e anche in 4K, per far fronte alla concorrenza della piattaforma satellitare o di quelle streaming. In altre parole, mantenere il DVB-T, anche utilizzando esclusivamente l’MPEG-4, non garantirebbe la salvaguardia dell’attuale situazione mentre il DVB-T2 con solo l’MPEG-4 non fornirebbe capacità aggiuntiva al sistema. Solo il pieno utilizzo di DVB-T2 con HEVC garantirebbe la possibilità di trasmettere tutti i programmi attualmente diffusi e di migliorare la qualità d’immagine con lo sviluppo di HD o 4K.
La conversione dei diritti d’uso e l’assegnazione post–refarming
Chiarita la questione delle risorse a disposizione della televisione digitale terrestre dopo il refarming della banda 700 MHz, passiamo ora a descrivere brevemente come queste risorse verranno assegnate agli operatori televisivi. Le disposizioni legislative prevedono un percorso, invero articolato e di complessa attuazione, per procedere alle effettive assegnazioni di frequenze che si differenzia per i 12 canali destinati alle reti nazionali e per le frequenze destinate al multiplex locale di 1° livello e ai 48 multiplex di 2° livello. Nel primo caso, si parla di un procedimento di conversione dei diritti d’uso preesistenti alla data di approvazione della legge di stabilità 2018. Per le reti locali invece, i detentori degli attuali diritti d’uso potranno richiedere di accedere, in qualità di fornitori di servizi di media audiovisivi in ambito locale, alla capacità trasmissiva messa a disposizione dagli operatori di rete locale ai quali saranno assegnati i diritti d’uso delle frequenze locali post–refarming.
Per ciò che riguarda i diritti d’uso per gli operatori nazionali, la legge di bilancio 2018 ha previsto che i criteri per la relativa assegnazione siano definiti dall’Agcom “.. tenendo conto della necessità di assicurare il contenimento degli eventuali costi di trasformazione e di realizzazione delle reti, la riduzione dei tempi del periodo transitorio di cui al comma 1032 e la minimizzazione dei costi ed impatti sugli utenti finali”. In attuazione a tale disposizione, i criteri sono stati definiti dall’Autorità con la delibera n. 129/19/CONS e vengono di seguito riassunti.
La prima fase della procedura prevede che ciascun diritto d’uso attuale, esercito in DVB-T venga convertito in un diritto d’uso di metà della capacità trasmissiva disponibile su di un multiplex DVB-T2 (c.d. diritto d’uso generico). Tale criterio risulta coerente con i fattori di efficientamento prima descritti e derivanti dall’adozione del DVB-T2. Successivamente due diritti d’uso generici vengono tra loro associati per poter assegnare un diritto d‘uso della risorsa frequenziale, unico strumento legislativo esistente nel diritto nazionale e comunitario per conferire a un soggetto l’uso esclusivo di una frequenza, bene fisico per quanto intangibile. Per la conversione dei venti preesistenti diritti d’uso in DVB-T saranno quindi necessari un totale di 10 diritti d’uso di frequenze da esercire in DVB-T2.
Pertanto, i 3 soggetti titolari di 5 multiplex DVB-T ottengono ciascuno 2 due diritti d’uso di frequenza per l’esercizio di due reti nazionali in tecnologia DVB-T2 pianificate dal Piano dell’Autorità (c.d. diritti d’uso specifico) e un diritto d’uso generico ossia senza specificazione della frequenza. I 5 soggetti titolari di un multiplex DVB-T ricevono 1 diritto d’uso generico. Tuttavia, ai tre operatori più grandi e ai 5 soggetti di minori dimensioni che detengono gli 8 diritti d’uso generici che non trovano conversione diretta non sarà possibile assegnare immediatamente i diritti d’uso specifici di frequenza (che sono indivisibili). A tale scopo i criteri definiti dall’Autorità prevedono che due titolari di diritti d’uso generici che raggiungano un accordo commerciale per la condivisione di un canale possano essere -congiuntamente – destinatari di un diritto d’uso di frequenza in DVB-T2. Inoltre, tenuto conto che i 20 diritti d’uso preesistenti si convertono, in via diretta ma non automatica in 10 delle 12 frequenze nazionali pianificate, la legge prevede inoltre che l’ulteriore risorsa (capacità trasmissiva e frequenze) disponibile venga assegnata mediante procedura onerosa senza rilanci competitivi, secondo le regole stabilite dall’Autorità, sulla base di lotti con dimensione pari alla metà di un multiplex. Tali regole (Delibera n. 564/20/CONS) prevedono quindi che possano partecipare alla procedura operatori nuovi entranti e operatori preesistenti che si contenderanno quattro lotti con specifiche modalità di partecipazione e determinati criteri di aggiudicazione e con un cap massimo complessivo, al termine della procedura, di 3 diritti d’uso di frequenze specifici per l’esercizio di tre reti nazionali in tecnologia DVB-T2.
Occorre sottolineare che questa procedura, innovativa rispetto alla prassi e alla normativa nazionale e comunitaria, è risultata di complessa definizione e difficile attuazione. La procedura di conversione ha visto finora l’assegnazione dei primi 7 diritti d’uso definitivi (6 per conversione diretta e 1 a seguito di intesa tra due soggetti) mentre è ancora in corso la procedura competitiva per l’assegnazione dei quattro lotti con dimensione pari a metà di un multiplex. Tuttavia, non si può non riconoscere la qualità dell’intuizione che ha consentito di progettare e mettere in atto un processo di conversione comunque complesso, indipendentemente dalle modalità che si sarebbero potute utilizzare in alternativa per raggiungere lo stesso scopo.
Per ciò che riguarda il comparto locale, si è già detto che la legge ha disposto l’introduzione di un operatore per ognuna delle reti di 1° livello e di 2° livello di ciascuna area tecnica. Questi operatori dovranno mettere la capacità trasmissiva a disposizione degli operatori locali interessati, che dovranno obbligatoriamente rilasciare le frequenze esercite e operare come fornitori di servizi di media audiovisivi in ambito locale. L’assegnazione delle frequenze individuate dal Piano dell’Autorità per il comparto locale è effettuata in esito a una procedura competitiva svolta dal MiSE sulla base dei criteri indicati dalla legge stessa.
Il rilascio delle frequenze da parte degli operatori locali avviene attraverso una procedura di “rottamazione” obbligatoria, a fronte di indennizzi il cui ammontare complessivo è previsto dalla legge, che viene attuata per aree tecniche secondo il calendario (roadmap) di cui si parlerà nel paragrafo seguente. Si evidenzia che gli operatori locali possono procedere al rilascio, ottenendo il relativo indennizzo, anche in anticipo rispetto alla roadmap.
La successiva assegnazione della capacità trasmissiva ai fornitori locali avviene attraverso la predisposizione, da parte del MiSE, di una graduatoria dei soggetti legittimamente abilitati quali fornitori di servizi di media audiovisivi (FSMA) in ambito locale che ne facciano richiesta e applicando i criteri stabiliti dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 2017, n. 146. Si tratta del Regolamento relativo al riparto tra gli operatori del Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione in favore delle emittenti televisive e radiofoniche locali.
Conclusioni
Come si vede, anche in questo caso il procedimento risulta alquanto complesso e con delle tempistiche molto serrate. Questo ha provocato dei ritardi sia nello svolgimento delle gare per gli operatori di rete locali sia nella definizione delle graduatorie dei FSMA locali che potrebbero influire sull’esecuzione della roadmap già a partire dalla seconda metà del 2021.
Nella IV e ultima parte di questo articolo verrà presentata in dettaglio la roadmap per lo spegnimento dei canali televisivi della banda 700 MHz e verranno anche forniti alcuni cenni sul futuro delle frequenze in banda UHF e sulle relative innovazioni tecnologiche.
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- L’AGCOM già nel 2014 aveva segnalato l’opportunità di riconsiderare tale riserva nella delibera 480/14/CONS osservando che “CONSIDERATO ….. di fatto, quello che si può osservare a digitalizzazione avvenuta, è che certamente non è stata la capacità trasmissiva a risultare carente, anzi questa appare in molti casi largamente sovrabbondante rispetto alla disponibilità di contenuti locali da diffondere. Quanto precede per segnalare che potrebbe non essere priva di ragioni una riconsiderazione in sede legislativa della riserva in questione” ↑
- Non viene considerata, in questa stima, la capacità trasmissiva delle reti locali di 2° livello ↑