infrastrutture

Rete unica, molti interessi: così non facciamo il meglio per il Paese

La cosiddetta “rete unica” in realtà è la fusione tra il primo operatore infrastrutturale del paese con il secondo. Pertanto, parlarne in questi termini è un non-sense e non rappresenterà mai la realtà sul campo. Sarebbe meglio, come avviene nel mobile, accettare una competizione infrastrutturale anche sulla rete fissa

Pubblicato il 07 Ott 2020

Roberto Opilio

Telecommunications Senior Business Advisor, Regional Senior Advisor del Cebf per Italia e Sud Europa

ultrabroadband

Il tormentone sulla rete “unica” di telecomunicazioni fissa riappare periodicamente dalla nascita di Open Fiber e ha via via sostituito quello sullo scorporo della rete di accesso fissa di TIM che é rimasto sottotraccia, pur essendone certamente un prerequisito.

Nella confusione che spesso accompagna l’argomento, dovuta in parte a poca conoscenza del tema e in parte agli interessi particolari dei diversi attori in gioco, alzi la mano chi è in grado di rispondere alla semplice domanda: “dove inizia e dove finisce la rete unica?”

Inizia dalle centrali telefoniche cittadine (poche migliaia)? Dalle centrali periferiche (oltre diecimila)? Dagli armadi stradali (circa 150 mila)? Dai box degli edifici (diversi milioni)? Altro? E finisce alla prima presa passiva dentro le abitazioni? Oppure all’ONT (optical network termination), oggetto attivo (alimentato da corrente elettrica) necessario all’FTTH? Oppure al modem? Altro? Parliamo solo della componente passiva (rame più fibra o solo fibra?) oppure anche della componente di elettronica attiva (in centrale per ADSL, sull’armadio stradale per FTTC, alla base dell’edificio per GFAST, in casa cliente per FTTH)? Parliamo solo della componente wired (con filo fisico in rame o fibra) oppure anche di quella wireless (FWA- fixed wireless access)?

Rete unica, dividere i fatti delle opinioni

E potremmo tranquillamente continuare con le domande.

Provando ad approfondire questo tema complesso, credo che occorra distinguere in modo netto i fatti che sono accaduti dalle opinioni (pur autorevoli) che sono spesso espressione degli interessi dei diversi attori in gioco (TIM, Open Fiber, i diversi OLO, l’AIIP, Infratel, Sky, gli operatori FWA, i costruttori di rete attiva o passiva).

I fatti rilevanti che sono avvenuti sono i seguenti:

  • Il fondo KKR ha presentato un’offerta vincolante per acquisire una quota di minoranza rilevante della rete secondaria (dall’armadio stradale alla presa nelle abitazioni) di TIM per la sola componente passiva, sia in rame che in fibra. TIM conferirebbe tale infrastruttura ad una società, in cui avrebbe una partecipazione anche Fastweb, oltre a TIM e KKR. Tale società ha l’obiettivo di coprire poco meno del 60% del territorio nazionale con tecnologia FTTH.
  • Le linee fisse incluso FWA sono diminuite (dati osservatorio AGCOM al 31/32020-ultimo disponibile) a 19,47 milioni con un decremento rispetto a 12 mesi fa di circa 700 mila linee. Considerando che abbiamo ancora circa 2 milioni di linee fisse “solo voce” ed il tasso di conversione al broadband di queste linee è storicamente intorno al 45%, possiamo immaginare che il numero di atterraggio delle linee fisse broadband sarà intorno a 18,4 milioni di cui 1,4 FWA. 17 milioni di linee sono compatibili con due grandi operatori infrastrutturali più tanti operatori regionali che, a loro volta, posseggono infrastruttura fissa più gli operatori FWA?
  • L’indicatore europeo DESI (digital economy and society index) del 2019 ci dice che stiamo scalando posizioni in Europa sul grado di infrastrutturazione nelle telecomunicazioni fisse ma che siamo fermi e agli ultimi posti su tutti gli altri indici. Sui digital skill siamo proprio ultimi. Che debba diventare questa la priorità?
  • Il Consiglio Agcom, che avrà un ruolo come l’Antitrust sulla rete unica, è stato finalmente rinnovato.
  • Al sottosegretario Andrea Manzella è stata assegnata la delega sul piano ultrabroadband.
  • Infratel ha avviato la consultazione pubblica per conoscere i piani di copertura sulle aree grigie da parte degli operatori, attività propedeutica a possibili nuove gare con finanziamenti pubblici per ampliare/velocizzare la copertura FTTH nel paese.
  • Il piano Infratel per la copertuta delle aree bianche nel paese è in ritardo di 3 anni pur avendo ridotto la copertura FTTH inizialmente prevista di circa il 25%.
  • Il numero di unità immobiliari predisposte da Open Fiber in FTTH è superiore a quello di TIM ed il divario continua a crescere.
  • Franco Bernabé ha ritenuto di dover intervenire nel dibattito sostenendo che: le reti di TIM ed Open Fiber devono rimanere separate per motivi tecnici e di opportunità, al più possono cooperare nelle aree grigie; Cassa Depositi e Prestiti (CDP) deve uscire da Open Fiber e concentrarsi su TIM.

Gli interessi degli attori in gioco

Passiamo ora ad esaminare quali sono gli interessi degli attori in gioco nell’ipotetico processo di integrazione della rete TIM con la rete Open Fiber, la cosiddetta “rete unica”, ma in realtà la fusione tra il primo operatore infrastrutturale del paese con il secondo. Occorre infatti ricordare, come sottolineato più volte, che tanti altri operatori hanno sviluppato parti di rete fissa in fibra o in FWA (a cominciare da Fastweb). Ciò è dovuto sia a motivi di business sia al fatto che la regolamentazione europea, al contrario delle infrastrutture del gas e dell’energia, consente la costruzione di infinite reti di telecomunicazione per collegare un singolo cliente.

Pertanto, parlare di rete unica è un nonsense assoluto e comunque non rappresenterà mai la realtà sul campo.

Vediamo quindi gli interessi dei singoli soggetti in campo:

  • TIM: ha ovvio interesse a mantenere il controllo sulla maggior parte possibile dell’infrastruttura di accesso di rete fissa. Comprare il secondo operatore va in questa direzione.
  • Open Fiber: punta certamente a rimanere indipendente e a difendere l’importanza del modello “wholesale only” con i relativi vantaggi regolatori. Ovviamente punta a sfruttare anche i vantaggi di “italianità” che gli derivano dai suoi attuali azionisti sul tavolo politico.
  • Grandi Olo (Vodafone, Wind, Tiscali) e AIIP (Associazione Italiana Internet Provider): due fornitori di infrastruttura sono meglio di uno. In tal modo si tiene basso il valore dell’infrastruttura (un’illusione nel medio periodo) e si possono avere più margini sui servizi (quali per il mondo consumer un giorno qualcuno me lo spiegherà – pensate ad una pubblicità che vi ricordate sul tema).
  • Sky: è contro il modello di integrazione verticale dei TELCO (infrastrutture più servizi) ed a favore del modello wholesale only (ma ovviamente è a favore del modello di integrazione verticale servizi più contenuti – il suo). Pensate alla reazione che avremmo avuto se MEDIASET fosse entrata nel broadband anni fa.
  • Costruttori di rete: sono coloro che danno più lavoro sul territorio italiano. Sono ovviamente favorevoli alla competizione infrastrutturale che duri più a lungo possibile. Non vogliono trovarsi a gestire migliaia di esodi una volta che la costruzione della rete in fibra ottica sarà finita e pertanto sono anche contrari a picchi di attività.
  • Infratel: per le prossime gare pubbliche vorrebbe contare sulle capacità costruttive di TIM ma, al tempo stesso, non vuole essere accusata di favorire un’azienda a controllo straniero. TIM col controllo CDP sarebbe ideale.

Quale è invece il migliore interesse del paese?

Persa in modo scellerato l’opportunità di rientrare in TIM con CDP al momento dell’uscita di Telefonica (che controllava TIM con Mediobanca, Intesa e Generali che garantivano l’ancoraggio italiano) ed avendo complicato le cose con la creazione di Open Fiber ora è estremamente più complicato individuare il “meglio” e perseguirlo. Il mantra “meglio una rete che due” (ottimizziamo gli investimenti) è francamente fragile. Con lo stesso principio perchè abbiamo costruito 4 reti 3G ,4 reti 4G e ora costruiremo 4 reti 5G nelle telecomunicazioni mobili? E così sarà per il 6G, il 7G e così via. Con l’aggravante che nel mobile compriamo le infrastrutture dall’estero mentre nella fibra il grosso del lavoro rimane in Italia.

Credo pertanto che il migliore interesse del paese, in quanto inevitabile al punto in cui siamo arrivati, sia quello di accettare una competizione infrastrutturale anche sulla rete fissa così come nel resto d’Europa. Questa competizione sarà anche tra modelli – vertilcalmente integrato e wholesale only – e diverse tecnologie – fibra, fibra / rame, fibra / wireless. Inoltre, il modello verticalmente integrato sarà sempre più parzialmente utilizzato anche dai piccoli operatori locali, che hanno compreso che costuendo infrastrutture e non solo affittandole dagli altri possono essere più competitivi e crescere sul mercato.

Questa competizione avrà forme importanti di cooperazione come avviene nel mobile (ad esempio sharing dei siti) ma lascerà la libertà di crescere e sviluppare la propria infrastruttura e la propria tecnologia a tutti. Chi vincerà, lo deciderà il mercato.

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