L’Italia ha bisogno di banda ultralarga. Eppure stando all’indice DESI 2019 il quadro del nostro Paese è alquanto preoccupante, con una connettività e diffusione dei servizi a banda larga che ci vedono ben al di sotto della media europea. Pesa il ritardo con cui Governo e player stanno affrontando il problema delle infrastrutture digitali.
Prospettive per la banda ultralarga in Italia
Tra i pochi progressi registrati dall’Italia nel DESI si segnala l’ottima performance nella predisposizione al 5G, dove, in virtù della celerità con cui sono state definite le regole e svolta l’asta, nonché della sperimentazione condotta in diverse città, il nostro Paese si colloca in seconda posizione. Per il resto, gli indici DESI illustra un quadro negativo. Il rapporto sottolinea che “la copertura a banda larga veloce e la diffusione del suo utilizzo sono in crescita (pur se quest’ultima rimane sotto la media), mentre sono ancora molto lenti i progressi nella connettività superveloce”.
In altri termini, appaiono insufficienti i progressi nel deployment delle reti ultraveloci assicurati dall’azione congiunta di Open Fiber (con la realizzazione di una rete FTTH) e dal maggiore impegno degli operatori privati (fondamentalmente, nelle architetture FTTCab). Sono state prospettate soluzioni diverse per accelerare la realizzazione di una rete a banda ultralarga in tutto il Paese, in linea con gli obiettivi fissati dalla Commissione nella sua comunicazione “Verso una società dei Gigabit europea”.
Banda ultralarga, le due ipotesi in campo
Due sono le ipotesi principali che si stanno dibattendo: i) la costituzione di una rete unica, che metta assieme l’infrastruttura realizzata da Open Fiber e la rete di TIM; ii) lo sviluppo di forme di coinvestimento tra i diversi operatori. Come si ricorda, sono esattamente le due opzioni con cui – cinque anni fa – si concludeva l’indagine AGCOM-Autorità Antitrust sulla banda larga, con un chiaro favor espresso dalle due istituzioni per un operatore di rete “puro”, non verticalmente integrato nella fornitura di servizi agli utenti finali.
La prima prospettiva, di una rete unica, presenta due alternative, assolutamente ortogonali, a seconda del tipo di proprietà e governance che si hanno in mente: controllo pubblico, oppure controllo privato (dell’incumbent, TIM). Per una soluzione a guida pubblica militano le forze politiche, di maggioranza ed opposizione, almeno di quelle che si sono espresse esplicitamente.
Tuttavia, fino ad ora, manca una posizione del Governo che abbia l’autorevolezza e la forza necessarie per la realizzazione di una infrastruttura fondamentale per lo sviluppo dell’economia e della società italiane. Non aiutano certo il clima di continue emergenze (industriali, climatiche, politiche) e la scarsa coesione dell’attuale governo, ma – nell’elenco delle priorità – un ruolo di assoluto rilievo spetta alla trasformazione digitale del sistema economico, rispetto al quale la disponibilità di reti a banda ultralarga (fisse e mobili) è condizione necessaria. Quindi, serve una posizione chiara netta e definitiva da parte del Governo rispetto al tema della fusione tra le reti di TIM e di Open Fiber, tenuto peraltro conto che quest’ultima è controllata da Enel e CDP.
Rete unica, la posizione degli operatori
Dal canto loro, i due soggetti interessati da un’eventuale fusione dovrebbero chiarire meglio le rispettive strategie. Ad esempio, da parte dell’incumbent si portano avanti – contemporaneamente – sia il tavolo con Open Fiber per una rete unica, sia la proposta all’Antitrust di coinvestimenti con gli altri operatori di TLC. Qual è l’opzione primaria e quale la subordinata? Più in generale, gli azionisti di TIM – dopo un lungo periodo di conflitto – hanno recuperato una posizione univoca su come procedere rispetto a queste (apparenti) alternative?
Sul versante pubblico, limitandosi alle aziende, vi è una posizione dell’Enel, sulla prospettiva di proseguire o meno con l’impegno in Open Fiber, che sembra ancora in evoluzione, nonché il contributo scientifico del presidente Franco Bassanini che ha il merito di indicare una preferenza (per la rete unica), ma ritiene plausibile anche una prospettiva di competizione infrastrutturale.
Da parte del mondo politico, come detto, si registrano solo posizioni favorevoli ad una rete unica e sotto il controllo pubblico (interrogazione di Fratelli d’Italia, dichiarazioni di ministri del M5S). A questo punto, un intervento del Governo, ossia un’iniziativa del Presidente del Consiglio che coinvolga i ministeri competenti (in primis Innovazione e digitale, MEF e MISE), è un passaggio obbligato, se davvero si vuole mettere l’Italia in linea con gli obiettivi della Gigabit society.
Primo passo: ripartire dal Cobul
Insomma, bisogna ripristinare quel clima e quell’approccio che, oltre 4 anni fa, condussero al varo della Strategia per la banda ultralarga, approvata nel 2016 dalla Commissione Europea. A tal fine, sarebbe intanto necessario far ripartire il COBUL, che deve dare avvio alla fase 2 della Strategia, relativa alle c.d. aree grigie ed ai voucher a sostegno della domanda. Al tempo stesso, devono essere esaminati alcuni aspetti fondamentali di natura tecnica (perimetro e asset della rete unica), giuridica (profili antitrust e regolamentari) e sociale (impatti sull’occupazione).
Rispetto a perimetro e asset della rete unica, la questione cruciale riguarda le componenti di rete conferite alla nuova società da parte dei diversi soggetti (teoricamente, tutti gli operatori con una propria infrastruttura, altrimenti non si potrebbe parlare di rete unica). Ad esempio, nel caso di TIM, bisognerebbe capire se: i) si stia parlando della rete in fibra o anche della rete in rame; ii) si considera la rete d’accesso come attualmente strutturata, oppure sue porzioni, eventualmente ridefinite.
Rete unica, gli ostacoli antitrust
Assai complessi risultano poi gli aspetti antitrust. La costituzione di una rete unica segnerebbe – sostanzialmente – il superamento della competizione infrastrutturale, rafforzata in Italia proprio dall’ingresso di Open Fiber che ha affiancato l’operatore che per primo ha sfidato l’incumbent anche nel mercato dell’infrastruttura (Fastweb). Assai difficilmente un’Autorità Antitrust (italiana od europea) darebbe luce verde ad una fusione tra le due reti (TIM ed Open Fiber), senza porre vincoli che garantiscano il mantenimento di una effettiva concorrenza nei mercati interessati dall’operazione.
Di sicuro, in ogni caso, un eventuale controllo della società della rete da parte dell’incumbent avrebbe scarsissime probabilità di superare il vaglio antitrust. Più plausibile, ma da verificare attentamente, la possibilità che l’incumbent conservi una partecipazione (quanto significativa?) nella società della rete, senza per questo detenerne il controllo anche attraverso una limitazione dei diritti di voto. Si tratta di aspetti che sono stati esaminati con grande profondità analitica nel corso del convegno ADEC-LUISS del 15 novembre, e che i policy maker farebbero bene a tenere in considerazione.
Tim-Open Fiber, l’impatto sull’occupazione
Anche dal punto di vista regolamentare, vi sarebbero conseguenze: innanzitutto, andrebbe rivista la regolamentazione dei mercati dell’accesso e collegati, sforzo che AGCOM ha concluso da pochi mesi, dopo un’istruttoria durata 2 anni e 7 mesi. Da ultimo, vanno considerate le preoccupazioni per gli impatti che la fusione TIM-Open Fiber avrebbe sull’occupazione. Si tratta di un profilo di grande rilievo, al pari di quello antitrust, come testimonia anche la modifica dell’articolo 50 ter del Codice delle comunicazioni elettroniche, introdotta a dicembre 2018, con il consenso di tutte le forze politiche rilevanti, laddove si prevede che l’Autorità di regolazione tenga conto anche “della forza lavoro dei soggetti giuridici coinvolti”, nel momento in cui definisce gli obblighi regolamentari.
Si tratta di un passaggio assai rilevante, ora sottoposto allo scrutinio di Bruxelles, che è in attesa di chiarimenti dallo Stato italiano circa la compatibilità di questa modifica normativa rispetto alle previsioni del Codice europeo delle comunicazioni elettroniche, entrato in vigore il 28 dicembre 2018.
In conclusione, sul tema della rete unica deve pronunciarsi necessariamente – ed il più rapidamente possibile – il Governo, nella sua massima espressione e con il coinvolgimento dei ministeri interessati. Ciò servirà a dare alle imprese del settore, a cominciare da quelle riconducibili al controllo pubblico, un chiaro indirizzo sulla praticabilità di questa operazione, per presentare quindi alle autorità antitrust e di regolazione un progetto con una visione di sistema, in cui siano chiari anche i diversi diritti che entrano in gioco.