Da qualche tempo si parla in Italia di rete unica nazionale, cioè di integrazione tra le reti di telecomunicazioni di TIM e Open Fiber. Niente di strano che ne parli la finanza, perché una grande aggregazione industriale in tempi di crisi sarebbe una vera manna per banche, avvocati e consulenti.
Neppure sorprende che il tema sia sostenuto da TIM, un’azienda che avrebbe un comprensibile interesse ad incorporare il suo più importante concorrente nel mercato delle reti d’accesso. Non è invece chiaro quanto questa aggregazione possa fare comodo ai maggiore ISP alternativi, in particolare Vodafone e Wind/3, che hanno pianificato la loro espansione nel fisso attraverso la rete di Open Fiber.
A seguito della fusione, i maggiori concorrenti di TIM tornerebbero sulla rete di quest’ultima, e sono in molti ad interrogarsi sull’impatto competitivo di questo scenario.
Ad ogni modo, la frenesia per la rete unica è alimentata anche da politica e sindacati, che ne evidenziano l’urgenza vista l’attuale emergenza innescata dalla pandemia. Ed a questo punto sorge la domanda: che c’entra la rete unica con il Corona-virus?
Un primo argomento sembrerebbe quello, evocato da alcuni sindacati, secondo cui in Italia, essendovi due reti nazionali d’accesso (Tim e Open Fiber) vi sarebbe stato “un notevole spreco di risorse”. Secondo il segretario dell’UilCom: “…è arrivato il momento di accelerare sulla realizzazione della rete unica, sia per motivi di efficienza del sistema delle Tlc sia economici, dato l’impatto che l’emergenza sanitaria avrà immancabilmente su produttività e occupazione”.
Spreco di risorse? Se si guarda alla storia del mercato italiano delle telecomunicazioni, semmai è vero il contrario. Mentre da tempo in Europa hanno proliferato le reti televisive via cavo, che hanno spesso agito come first mover nel mercato del broadband, l’Italia è l’unico paese europeo, assieme alla Grecia, a non avere mai avuto una rete alternativa a quella (in rame) dell’incumbent. Questa situazione di quasi-monopolio ha permesso per lungo tempo a Telecom Italia di controllare agevolmente il mercato, creando un disincentivo naturale all’ammodernamento della rete fissa.
Un ritorno al passato con la scusa del coronavirus
Non è un caso che le statistiche europee abbiano regolarmente registrato in Italia una stagnazione degli investimenti infrastrutturali ed una bassa penetrazione di broadband ed ultra-broadband. Le stesse statistiche registrano però una forte rincorsa italiana proprio negli ultimi anni, e cioè da quando è venuto a crearsi il dualismo TIM/Open Fiber, al quale si sono poi aggiunti gli investimenti in fibra degli ISP minori e regionali. Dato questo contesto, non si capisce a quale spreco di risorse facciano riferimento i sindacati ma, soprattutto, che senso possa avere riportare indietro il mercato italiano delle telecomunicazioni, peraltro in nome del Coronavirus. Il monopolio di fatto, come si è visto, non ha brillato per innovazione e propensione agli investimenti, quindi non si capisce perché questa misura possa risultare utile per combattere la crisi economica susseguente all’epidemia.
Qualche sindacato probabilmente pensa agli anni d’oro del monopolio (quello legale, però) quando Telecom Italia / SIP era il maggior datore di lavoro della penisola. Ma pensare di tornare a quella stagione con la fusione TIM/Open Fiber sarebbe un clamoroso abbaglio. Quei tempi sono ormai passati e non torneranno mai più, perché la digitalizzazione dei processi aziendali ed il massiccio ricorso all’outsourcing hanno radicalmente trasformato gli operatori di telecomunicazioni, TIM inclusa, riducendone irrimediabilmente il numero degli addetti. In un contesto del genere una fusione TIM/Open Fiber non potrebbe che aggravare questo trend negativo per gli impieghi, andando quindi a scontrarsi con il desiderio di occupazione dei sindacati. Un mercato competitivo e pluralista è quello che resta al Paese per mantenere un po’ di livello occupazionale nel settore, altro che il monopolio di ritorno.
La verità sulle connessioni degli italiani
Un secondo argomento, sempre d’origine sindacale, a favore della rete unica imposta dall’emergenza Coronavirus sarebbe quello della “tenuta” delle reti in tempi emergenziali. È stato detto che “i fatti di queste settimane ci stanno chiaramente indicando come le reti di comunicazione e connettività siano davvero uno degli assi portanti di un Paese”. Orbene, per chi abbia letto i dati di traffico (in particolare quelli del RIPE-NCC, del BEREC e dei vari Internet Exchange Points italiani) emerge una verità del tutto diversa: la rete Internet italiana, pur sotto pressione a causa dell’incremento di tele-lavoro, tele-studio e streaming, ha tenuto piuttosto bene. Vi sono stati fenomeni di congestione locali o temporanei, ma sopportabili e che non hanno messo in crisi il sistema telematico nel suo complesso. TIM, peraltro, ha annunciato di voler tornare a fare peering con gli altri operatori, rivelando così che la migliore soluzione per combattere l’incremento di traffico è quello di migliorare la cooperazione con le altre reti, non certo di unificarle.
Ovviamente, questo non vuol dire che le connessioni fisse degli italiani vadano tutte ugualmente bene di fronte al sovraccarico di traffico. Questo dipende dal tipo di connettività che il singolo utente ha prescelto per l’ultimo miglio: chi utilizza una connessione esclusivamente in fibra (FTTH: Fiber To The Home) si trova nella situazione migliore di tutti, mentre chi ha un abbonamento misto rame/fibra (il c.d. FTTC: Fiber To The Cabinet) oppure solo in rame (ADSL) viene ad essere maggiormente esposto a congestioni e disservizi nel caso l’intera famiglia sia connessa, chi per lavoro/studio, chi per svago, nello stesso momento. Anche per questo motivo l’invocazione della rete unica dovrebbe essere espressa con maggior cautela. Si sa che la rete di TIM è prevalentemente focalizzata al FTTC, mentre quella di Open Fiber è basata sul FTTH: pertanto, piuttosto che invocare una fusione tra le due società, sarebbe maggiormente opportuno, nell’interesse del paese ed in vista di future crisi epidemiche, interrogarsi sul modello tecnologico della rete italiana, o piuttosto delle reti.
Coronavirus: un’opportunità per le telco
Infine, un ultimo argomento a favore della rete unica, alla luce dell’emergenza coronavirus, è quello finanziario: la recessione economica scatenata dalla pandemia richiede di tutelare le infrastrutture e le imprese di rilevanza nazionale che potrebbero trovarsi in difficoltà. Tuttavia, anche in questo caso l’invocazione alla rete unica appare quanto mai inappropriata. A differenza di Alitalia, che si ritrova gli aerei a terra, le reti di telecomunicazioni viaggiano a pieno regime, poiché allo scoppio della pandemia gran parte del lavoro, dello studio e dell’entertainment nazionali si è spostato su di esse. A voler essere un po’ cinici, l’emergenza coronavirus ha offerto una grossa opportunità al settore delle telecomunicazioni, incoraggiando gli utenti ad utilizzare meglio e di più connettività ed applicazioni, e perciò dando una formidabile spinta al mercato. Gli operatori telecom hanno certo incontrato difficoltà nel breve periodo per vari motivi: sovraccarico di servizi, difficoltà ad organizzare le maestranze, penuria di pezzi di ricambio ecc; ma nel medio e lungo periodo la pandemia non può che risolversi in una crescita per il settore poiché, come si suole ripetere, anche al risolversi della crisi niente sarà più come prima e l’affermarsi di smart working e smart school, solo per fare alcuni esempi, diventeranno fatti irreversibili. Non solo la connettività, ma molti altri mercati contigui, in particolare quelli del cloud, dei data center e delle varie applicazioni, conosceranno un formidabile sviluppo. Da tutto ciò possono derivare grandi crescita ed occupazione per l’Italia. Imprese ed istituzioni dovrebbero cogliere al volo le opportunità offerte dalla crisi, piuttosto che difendersi evocando il ritorno al passato.